Questo bel saggio di Felice Cimatti – incluso nel testo collettaneo Il transindividuale, appena uscito per Mimesis (pp. 253-271) – è dedicato a una teoria della mente che si avvale degli strumenti messi a punto da Marx e Vygotskij per mettere a fuoco i limiti e le aporie dell’individualismo cognitivo e del biologicismo delle neuroscienze.
Se per Marx, l’individuo è «l’insieme dei rapporti sociali», per Vygotskij
«la mente individuale è il punto di arrivo di un processo di emancipazione dalle condizioni naturali, ma anche da tutte le relazioni storico-sociali che si presentano di fronte all’individuo come se fossero naturali».
L’individuo non è dunque la premessa della relazione, ma il suo effetto.
Indice
1. «La coscienza è un rapporto sociale» 2. Vygotskij e la relazione individuo-società 3.Dal transindividuale all’individuo 4.Il ‘pensiero verbale’ 5.Individuazione e transindividuale
«è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa. È quella stessa [attività vitale]» Marx, Manoscrittieconomico-filosofici del 1844.
Le tre figlie di Marx erano particolarmente appassionate di una sorta di gioco di società, pare molto diffuso nell’età vittoriana, che consisteva nella formulazione di alcune domande che avrebbero dovuto far emergere la personalità dell’interrogato.
Tratto da U. Curi, Marx e la rivoluzione, 8. Capire la filosofia. La filosofia raccontata dai filosofi. La biblioteca di Repubblica, 2011.
Le domande che le figlie rivolgevano a Marx riguardano anche aspetti davvero minori, secondari nella vita dell’autore:
La virtù che preferisci? La semplicità
La qualità che preferisci in un uomo? La forza
La qualità che preferisci in una donna? La debolezza
La tua caratteristica principale? La determinazione
La tua idea della felicità? Lottare
La tua idea dell’infelicità? La sottomissione
Il difetto che scusi di più? La credulità
Il difetto che detesti di più? Il servilismo
La tua occupazione preferita? Razzolare tra i libri
Il tuo poeta preferito? Shakespeare, Eschilo, Goethe
Il tuo eroe preferito? Spartaco, Keplero
Il tuo piatto preferito? Il pesce
Il tuo motto preferito? De omnibus disputandum(occorre discutere e dubitare di tutto)
La tua massima preferita? Nihil humani a me alienum puto (Terenzio, Heautontimoroumenos “niente di ciò che è umano mi è estraneo”).
Traggo da Consecutio temporum questa bella ricostruzione degli interessi che Marx e Ruge [e Feuerbach] condensarono intorno alla pubblicazione a Parigi del primo [ed unico] numero degli Annali franco-tedeschi, dedicati alla ricerca dei mezzi necessari alla realizzazione pratica della filosofia, il compito che Marx le darà nell’undicesima tesi su Feuerbach.
E così ho finito con il nostro compito comune, ossia l’analisi del filisteo e del suo Stato. Non dirà che ho troppa fiducia nel presente; e se tuttavia non dubito di esso è solo perché la sua situazione disperata mi riempie di speranza. Non parlo affatto dell’incapacità dei signori e dell’indolenza dei servi e dei sudditi, i quali lasciano che tutto vada come piace a Dio; anche se le due cose insieme basterebbero già a provocare una catastrofe. Richiamo la sua attenzione sul fatto che i nemici del filisteismo, ossia tutti coloro che pensano e soffrono, sono giunti a un’intesa per la quale in passato mancavano loro i mezzi; e che persino il sistema passivo di riproduzione degli antichi sudditi arruola ogni giorno nuove reclute al servizio della nuova umanità […] Da parte nostra dobbiamo portare completamente alla luce del giorno il vecchio mondo e creare positivamente il nuovo mondo. Quanto più a lungo gli eventi lasceranno all’umanità che pensa tempo per riflettere e all’umanità che soffre tempo per unirsi, tanto più perfetto verrà al mondo il frutto che il presente porta in grembo.
La riforma della coscienza consiste solo nel rendere il mondo consapevole di se stesso, nel ridestarlo dal suo ripiegamento trasognato, nello spiegargli le sue proprie azioni. Come per la critica della religione di Feuerbach, il nostro scopo non è altro che condurre alla forma umana autocosciente tutte le questioni religiose e politiche.
Karl Marx
Nel marzo 1844 apparve l’unico numero della rivista che Marx, allora deciso a prendere in teoria ed in pratica la massima distanza dalla Germania, aveva fondato a Parigi con Arnold Ruge. Questa pubblicazione comprendeva tre contributi firmati da Marx: uno scambio di lettere con Arnold Ruge, l’articolo su La questione Ebraica (in risposta ad un articolo pubblicato sotto lo stesso titolo da Bruno Bauer) e un’Introduzione alla critica della filosofia del diritto pubblico, redatta a partire del commentario dei passi della terza parte dei Lineamenti della filosofia del diritto di Hegel consacrati allo Stato costituzionale, commentario che Marx – che aveva senza dubbio intrapreso questo lavoro nel 1842 – aveva abbozzato a Kreuznach nel 1843, ma lasciato incompiuto.
Cornelius Castoriadis spiega la logica e il funzionamento della democrazia greca, là dove il popolo è lo stato e le magistrature sono elette, ma i rappresentanti sono estratti a sorte e sottoposti a rigorosa rotazione. Lo fa ponendola magistralmente a confronto con le post-democrazie moderne, ormai oligarchie liberali [qui video e testo con sottotitoli in italiano].
Dopo il video dell’intervista filmata nel 1989 da Chris Marker per la Sept (la futura Arte France) – incluso nella serie L’héritage de la chouette – una scelta di passi significativi tradotti dall’originale francese, disponibile su mediapart.fr.
Ce n’est que le peuple qui doit vivre sous ses lois qui peut décider quelles sont les meilleures.
Solo il popolo che deve vivere sotto le sue leggi può decidere quali siano le migliori.
Perché la società si sgretola in un pullulare di egoismi, razzismi, disuguaglianze crescenti e perdite di solidarietà? Perché cresce l’assenteismo elettorale, mentre i partiti sono sempre meno “rappresentanti del popolo” e sempre più burocrazie volte a perpetuare il loro potere? Perché sembra che esista “una sola politica possibile”, quella del liberismo di mercato suggerita dalla tecnocrazia capitalista?
Per Castoriadis, la crisi della democrazia è la crisi dei presupposti filosofici impliciti dell’occidente. (…)
Sotto il video [a cui ho aggiunto sottotitoli in italiano], l’intervista concessa a Maurizio Blondet, su Avvenire, 26-2-1992. In coda all’articolo un breve stralcio di un’intervista in cui il filosofo spiega il funzionamento della democrazia ateniese.
Per sua esplicita ideologia, la nostra società non ha alcun progetto collettivo, e non vuole averne. Si ritiene che siano gli individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo. Ciò che è un’assurdità’ totale. Ogni neonato dovrà inventarsi la propria lingua? [Cornelius Castoriadis su Le Monde]
Beh…più o meno sono le cose di vario tipo che accadono nella nostra testa e nel nostro comportamento… e quando abbiamo a che fare con altre persone… e quando andiamo su e giù per le montagne…. e quando ci ammaliamo e poi stiamo di nuovo bene… Tutte queste cose si interconnettono e, di fatto, costituiscono una rete che, in un linguaggio orientale, si potrebbe chiamare Mandala. Io mi sento più a mio agio con la parola Ecologia, ma sono idee che hanno molto in comune.
Alla radice vi è la nozione che le idee sono interdipendenti, interagiscono, che le idee vivono e muoiono. Le idee che muoiono, muoiono perché non si armonizzano con le altre. E’ una sorta di intrico complicato, vivo, che lotta e che collabora, simile a quello che si trova nelle boschi di montagna, composto dagli alberi, dalle varie piante e dagli animali che vivono lì – un’ecologia , appunto. All’interno di questa ecologia vi sono temi importanti di ogni genere che si possono enucleare e su cui si può riflettere separatamente. Naturalmente si fa sempre violenza al sistema nel suo complesso se si pensa alle sue parti separatamente; ma se vogliamo pensare dobbiamo fare così, perché pensare a tutto contemporaneamente è troppo difficile. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente,Steps to an Ecology of Mind, 1972].
Uno stralcio dell’introduzione a Cosi parlò Umberto Eco [raccolta di articoli e interviste di prossima pubblicazione in traduzione araba per Dar El Farabi] in cui Fabbri presenta la semiotica di Eco come una disciplina del sospetto e una pratica di indagine poliziesca alla ricerca dei moventi della falsificazione. due anni dalla morte del semiologo. L’intera introduzione è accessibile su Doppiozero.
La reputazione di Eco, il tratto pertinente della sua figura intellettuale, resta tuttavia quello di Semiologo, analista di linguaggi e decifratore di segni. A dispetto d’una certa crisi disciplinare, era la semiotica, l’ardua disciplina – come recitavano i suoi elogi funebri – di cui era il semioforo edi cui credeva ottimo lo spread, cioè la differenza di rendimento con altre discipline umanistiche.
Per Eco, è quasi superfluo ricordarlo, il segno è vettore e attrattore di comunicazione – per Agostino di Ippona era “qualcosa che fa venire nella testa degli altri quello che c’era nella mia”.
Il tratto più rilevante però e il più produttivo nel pensiero dell’autore di Semiotica e filosofia del linguaggio (1984) e del Numero zero (2015) – è che il
“segno è fatto per mentire”.
La semiotica echiana è una disciplina illuminista, che guarda al Vero dal punto di vista del Falso e del Segreto, della Menzogna e del Complotto. Il Segreto, tanto più potente quanto è più vuoto, e soprattutto il Falso – epistemico, politico, religioso ecc. – che sarebbe un motore della storia, teatro di illusioni. Per questo Eco sostiene che nella sua immensa biblioteca non c’erano autori come Freud e Darwin, ma tanti inventori di pseudo semiotiche, testi occultisti e alchimisti in attesa di nuova lettura, di cui era un noto ed erudito collezionista. La sua semiotica è disciplina del sospetto continuo e dell’indagine poliziesca acutamente argomentata.
Una procedura conflittuale, una guerra in cui i segni falsi simulano quelli veri e quelli veri fingono di essere falsi; le prove sono sempre riprovevoli e inquinate, le affermazioni smentite da smentire; anche i silenzi la dicono lunga. I ferri del mestiere di chi investiga i nessi narrativi della causalità sono la paranoia privata e i Complotti collettivi. Seguendo K. Popper, Eco ha mostrato e illustrato che la pretesa spiegazione di un fenomeno sociale consiste nella scoperta di uomini o gruppi interessati al verificarsi di un dato fenomeno (un interesse nascosto che va prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo.
Le pretese cospirazioni delle società segrete e le loro fantasiose gerarchie hanno ispirato a Eco gli intrecci di romanzi come Il cimitero di Praga (2010), che illustra gli infami “Protocolli di Sion”, redatti dalla polizia segreta russa agli inizi del Novecento. Seppur smascherato fin dagli anni ’20, questo falso rapporto di un progetto ebraico per il controllo planetario è ancora creduto e diffuso. Eco ne trae l’ovvia conclusione che la causa, se non la ragione, non è l’accidia cognitiva o la stupidità dei riceventi, ma la tattica di interessi riconoscibili e tuttora in gioco.
Il testo definitivo della costituzione giacobina sarebbe arrivato dopo pochi mesi (giugno 1793) per essere immediatamente cancellato dal rovesciamento termidoriano. Tratto da Œuvres de Maximilien Robespierre [Tome IX, Édition du Centenaire de la Société des études robespierristes, Éditions du Miraval à Enghien-les-Bains, pp. 459-469], traduzione mia.
Il pensiero di Ludwig Feuerbach rappresenta il rovesciamento materialistico dell’idealismo hegeliano e l’avvio contemporaneo di una critica radicale alla religione portata poi a termine da Marx.
Indice
1.Il distacco da Hegel 2. Feuerbach maestro di una generazione di filosofi 3.La critica radicale della religione e il concetto di alienazione
1. Il distacco da Hegel
Dapprima studioso e seguace di Hegel, Feuerbach matura presto critiche al sistema del maestro, approdando a posizioni di «sinistra hegeliana», poi di «sinistra antihegeliana», che risulteranno decisive ai fini del superamento dell’idealismo hegeliano e della costruzione della filosofia della prassi di Marx.
La critica di Feuerbach si appunta soprattutto sull’astrattezza e sull’immaterialismo del sistema hegeliano di cui sottolinea la matrice teologica. I primi incisivi scritti antihegeliani sono i due testi del 1842 e 1843, Tesi provvisorie per la riforma della filosofia e Principi della filosofia dell’avvenire nei quali sferra un attacco radicale
«alla tanto vantata identità speculativa dello spirito e della materia, del finito e dell’infinito del divino e dell’umano» [Principi della filosofia dell’avvenire].
In questo articolo del Sole24Oreuna riflessione antieconomicista stimolata dall’osservazione della complessità che il management deve fronteggiare.
Le considerazioni dell’autore, sebbene non nuove nella letteratura sull’organizzazione, colpiscono particolarmente chi ha assistito, con la “Buona scuola”, all’ingresso del management a scuola (il regno della complessità per eccellenza) con Rapporti di Autovalutazione, Piani di Miglioramento, Analisi SWOT ecc.
Scopriamo, in pratica, che per essere efficaci, occorre (tornare ad) essere filosofi.
Al di là dei toni, chiaramente ironici, quanti manager sono davvero consapevoli della fallacia dei principi descritti in tutte le formazioni? In fondo, molti dei suggerimenti rappresentano prassi quotidiane nelle aziende. Vi sono tre princìpi che continuano a caratterizzare il management,pur non essendo funzionali al governo della complessità:
1. L’ossessione per il controllo e per la misurazione: le imprese seguendo il principio «ciò che non si può misurare non si può gestire» hanno determinato un proliferare di KPI, forme di reporting, audit e strumenti di controllo che hanno appesantito e rallentato l’agire organizzativo. 2. La modellizzazione: nonostante la difficoltà di prevedere gli scenari, l’azione manageriale si basa ancora fortemente sulla stesura di piani d’azione, piani strategici e business plan. L’analisi a tavolino prevale sul «try&learn». 3. La ricerca di efficienza e ottimizzazione: l’assunto di base è che se tutte le Funzioni/Dipartimenti raggiungono i loro obiettivi, l’azienda nel complesso raggiungerà i propri target complessivi.
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