Archive for ‘Scuola Pubblica’

27 Agosto, 2016

Daniele Lo Vetere, La scuola sotto tutela. A proposito di un certo modo di parlare di didattica e insegnanti

by gabriella
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L’insegnante supereroe

Un catalogo delle critiche di senso comune alla scuola e della loro vacuità, in un bell’articolo apparso il 5 novembre 2015 su Letteraturaenoi.it.

Leggerlo aiuta a comprendere cosa si sta chiedendo agli insegnanti e cosa significhino concretamente idee di grande appeal come (solo per fare degli esempi) progettare di tenere aperte le scuole d’estate, di notte o di domenica (quando chi insegna deve studiare) o, quali conseguenze sulla qualità degli apprendimenti abbiano soluzioni meno note al grande pubblico come l’apertura delle “cattedre” di insegnamento  (vale a dire la possibilità di essere chiamati a insegnare materie “affini” a quelle per le quali si è “abilitati”).

Domenica 25 ottobre, sulla Domenica del Sole 24 ore è uscito un breve articolo a firma di Angelo Bardini e Gilberto Corbellini sull’utilità delle nuove tecnologie per la didattica. In realtà i due autori hanno scelto per le proprie considerazioni un orizzonte ben più vasto di quello delle sole TIC e mettono in campo considerazioni più generali sui processi di innovazione scolastica e didattica. Quest’articolo a me pare un buon esempio di un certo modo di parlare di scuola, motivato da buone intenzioni e corredato da proposte pratiche, ma ideologicamente insidioso e, per certi versi, irricevibile. Penso perciò che sia possibile, partendo da esso, tentare una generalizzazione e dire che cosa in questo genere di discorso convinca poco: a mio avviso quattro idee.

Prescrizione di saperi e competenze “assolutamente necessari” al docente (del futuro)

Tutti parlano di scuola. Tutti hanno un’opinione su perché essa non funzioni e su che cosa in essa andrebbe assolutamente riformato, o rivoluzionato. In questo coro infinito si distinguono, naturalmente, le opinioni degli esperti, fondate su saperi meno vaghi del comune buon senso (o della comune insensatezza) e su una maggior cognizione di causa.

Tuttavia, poiché la scuola è un luogo complesso, poiché molti sono i fattori dell’apprendimento, poiché molte sono le cose che gli insegnanti dovrebbero sapere o saper fare per essere buoni insegnanti, gli esperti che sono in diritto di esprimere la propria opinione, o addirittura di prescrivere indirizzi d’azione, sono molti. (E bisognerà ammettere che il loro diritto di parola è, in effetti, del tutto legittimo).

Il problema è che la forma generale nella quale di solito si esprimono tali opinioni e prescrizioni è la seguente:

«Gli insegnanti sanno poco o niente dell’argomento X (o dei suoi più recenti sviluppi) e bisognerebbe provvedere ad aggiornarli con urgenza».

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25 Agosto, 2016

Marco Magni, Come la scuola rafforza le diseguaglianze

by gabriella
Pierre Bourdieu

Pierre Bourdieu

romitoLa recensione di Marco Magni ai risultati di un’inchiesta etnografica condotta in due scuole medie della periferia milanese, contenuta nel libro di Marco Romito, Una scuola di classe [Guerini, 2016].

Come si legge nell’articolo di Magni, uscito su Micromega, si tratta di un testo che, attraverso l’osservazione del lavoro istituzionale ed interviste agli insegnanti, trova le rilevazioni di Pierre Bourdieu sulla discriminazione per via scolastica e l’inconsapevolezza (o il cinismo) dei professori, drammaticamente confermate, il che lo rende prezioso sia per la rarità di contributi del genere nell’attuale panorama culturale che per l’occasione, da sempre mancata in Italia, di una ricezione almeno parziale del lavoro di Bourdieu.

Inserisco perciò davanti all’articolo il classico bourdieuiano L’école conservatrice a cui l’indagine di Romito si è ispirata [Revue française de sociologie, 1966, 7, pp. 325-347] accessibile in pubblico dominio a cura di Persée.

Download (PDF, 2.02MB)

Il rimosso della diseguaglianza

I libri dedicati alla scuola ne ignorano quasi sempre il carattere sociale. I tratti dominanti del discorso sono costituiti, da un lato dall’idealizzazione del merito, dell’efficienza, della razionale allocazione della spesa, della libertà di scelta tra pubblico e privato o, per converso, dalla istanza della difesa della natura “pubblica” e democratica della scuola, dalla valorizzazione della passione per l’insegnamento e della sua (platonica) dimensione erotica. La diseguaglianza sociale rimane normalmente, perlomeno nella letteratura più diffusa e di successo, una glossa o una nota a margine. Una rimozione che riguarda trasversalmente destra e sinistra, anche se cifre molto vistose ci dicono che stiamo vivendo, nel campo dell’istruzione, un’epoca di crescita delle differenze sociali: i neoiscritti all’università provenienti dai tecnici e i professionali sono diminuiti, negli ultimi 10 anni, dal 40% al 26.4%.

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18 Luglio, 2016

Victor Hugo, La libertà d’insegnamento (La liberté de l’enseignement)

by gabriella
Victor Hugo (1802 - 1885)

Victor Hugo (1802 – 1885)

Nel 1848, alcuni anni dopo essere stato nominato pari di Francia dal re Luigi Filippo d’Orleans, Victor Hugo divenne deputato dell’Assemblea costituente. E’ in questa veste che il 15 gennaio 1850 tenne un Discorso sulla libertà e la laicità d’insegnamento schierandosi contro il partito cattolico, maggioritario nell’Assemblea.

Il partito di maggioranza aveva ottenuto Da Luigi Bonaparte il conferimento della carica di ministro dell’Istruzione al cardinale Frédérique de Falloux. L’assemblea legislativa era stata appena riunita che il Ministro aveva presentato un disegno di legge sull’insegnamento che consegnava l’istruzione pubblica nelle mani del clero. La discussione sui principi generali della legge si aprì il 14 gennaio 1850, occupando tutta la prima seduta e metà della seconda giornata di dibattito. Victor Hugo rispose agli interventi di Barthélemy Saint-Hilaire e di Parisis, vescovo di Langrès, esponenti del partito cattolico, con un intervento memorabile ed emozionante, a tratti spiazzante per l’evocazione di un sentimento religioso tanto forte quanto l’anticlericalismo dell’autore. E’ nel corso di questo intervento che lo scrittore evoca per la prima volta nella storia il droit de l’enfant, i diritti del bambino.

Il tema della libertà e della laicità dell’insegnamento è sviluppato in passi molto belli alle pagine 315 e 316, quello della liberazione dalla miseria e della costruzione di un mondo migliore alle pp. 317-18. Successivamente, Hugo insiste sulla differenza tra l’autentico spirito religioso e il clericalismo e denuncia i secoli di censura e repressione dello spirito e delle arti perpetrato dalla chiesa romana. L‘Italia e la Spagna, da secoli nelle mani del clero, sono in uno stato compassionevole, dunque a questo clericalismo che chiede di guidare l’insegnamento non è possibile concederlo:

intendiamoci sulla libertà che voi reclamate; è la libertà di non insegnare. Ah, voi volete che vi siano dei popoli da istruire. Molto bene. Vediamo i vostri allievi. Vediamo i vostri prodotti. Che avete fatto dell’Italia? Che avete fatto della Spagna? Da secoli voi tenete nelle vostre mani, a vostra discrezione, alla vostra scuola, sotto la vostra bacchetta, queste due grandi nazioni, illustri tra le più illustri, che ne avete fatto? Ve lo dirò. Grazie a voi l’Italia, della quale nessun uomo che pensi può più pronunciare il nome che con un inesprimibile dolore filiale, l’Italia, questa madre di geni e di nazioni che ha riversato sull’universo tutto le più abbaglianti meraviglie della poesia e dell’arte, l’Italia che ha insegnato a leggere al genere umano, l’Italia oggi non sa leggere! [p. 323].

Propongo sotto una mia traduzione del testo, accessibile in versione originale in Victor Hugo, Oeuvres complètes. Actes et paroles (1802-1855), Paris, Société d’éditions littéraires et artistiques, 1926, pp. 315-336 [del file pdf], digitalizzata dalla Bibliothéque Nationale de France.

Che mi sia permesso di dire qui e di dichiarare […] io ci credo profondamente a questo mondo migliore, esso è per me ben più reale di questa miserabile chimera che inghiottiamo e che chiamiamo vita, è sempre davanti ai miei occhi, ci credo con tutta la potenza del mio convincimento, e dopo così tante lotte, così tanti studi e prove è la suprema certezza della mia ragione come la suprema consolazione della mia anima.

Victor Hugo (pp. 317-318)

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7 Luglio, 2016

Povertà educativa e dispersione scolastica

by gabriella

adolescentiDal rapporto di Save The Children sui bambini italiani, presentano nel maggio 2016, emerge la «povertà educativa» del nostro paese: il 20% dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenza in lettura e il 25% quella in matematica.

In Italia il 48% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro, se non quelli scolastici, nell’anno precedente. Il 69% non ha visitato un sito archeologico; il 55% non ha mai messo piede in un museo. E il 46% – in pratica uno su due – non ha svolto alcuna attività sportiva. È il preoccupante quadro che emerge dal Rapporto di Save the Children «Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo?»´, presentato oggi a Roma in occasione della conferenza di rilancio della campagna Illuminiamo il Futuro. 

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6 Luglio, 2016

Luca Ricolfi, La disuguaglianza studia all’ultimo banco

by gabriella

sbarreUscito su IlSole24Ore del 12 giugno 2016.

Di disuguaglianze non si smette mai di parlare. Ci sono le disuguaglianze economiche, le disuguaglianze sociali, le disuguaglianze nella salute. Ci sono le disuguaglianze nel capitale ereditato dalla famiglia, nelle opportunità di vita, nel talento individuale. E ci sono, naturalmente, le disuguaglianze nel livello di istruzione, ossia nei titoli di studio che ognuno riesce ad aggiudicarsi.

C’è un tipo di disuguaglianze, tuttavia, che è enormemente cresciuto negli ultimi venti anni, e di cui nessuno parla. Un tipo di disuguaglianze che regala a una minoranza della popolazione una vita piena di opportunità e di soddisfazioni, mentre impone alla maggioranza un’esistenza difficile o comunque piena di limitazioni.

Di che cosa si tratta?

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17 Giugno, 2016

Christian Raimo, Trentadue punti più uno per la scuola dell’anno che verrà

by gabriella

La manifestazione nazionale contro la Buona scuola, a Roma, il 2 ottobre 2015. - Antonio Masiello, NurPhoto/Corbis/Contrasto

E’ uscito a fine dicembre 2015 su Internazionale, questo bell’articolo di Christian Raimo che confronta le politiche scolastiche del governo in carica con gli effetti di quelle precedenti, alla luce di una serie di studi e interventi recenti. Ne emerge uno spaccato della situazione attuale della scuola in 32 punti che prende in considerazione, tra gli altri aspetti, la condizione economica e giuridica degli insegnanti, la deriva della valutazione,  la retorica della “riforma” e l’assenza del monitoraggio sugli effetti, l’assenza di progettualità per la rimozione degli squilibri strutturali, con un omaggio finale a Giorgio Israel che condivido.

Quando s’insediò al governo nel febbraio del 2013 Matteo Renzi volle da subito chiarire che la priorità per il suo esecutivo sarebbe stata la scuola. Ha continuato a ripeterlo in moltissime occasioni, facendo nel frattempo approvare una riforma in parlamento, la cosiddetta Buona scuola. Ma purtroppo è proprio sulle politiche dell’educazione che l’Italia sta vivendo la sua crisi più grande. Cos’è che non va? Cos’è che potrebbe andare meglio? Quali sono le urgenze e le ambizioni di una politica dell’educazione oggi in Italia?

Ho provato a mettere in fila una trentina di punti, usando molti studi e articoli di dibattito sulla scuola usciti nel 2015 e citando in maniera consistente e spesso quasi testuale due libri recenti: La scuola, le api e le formiche di Walter Tocci (Donzelli) e Senza educazione di Adolfo Scotto di Luzio (Il Mulino) (sull’ultimo numero del domenicale del Sole 24 Ore, c’è già un breve interessante intervento di Sergio Luzzatto su questi due testi).

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16 Giugno, 2016

Orientamento in uscita. Relazione a.s. 2015/2016

by gabriella

13 Giugno, 2016

Federico Batini, NEET

by gabriella

neetLa rivista Lifelong Lifewide Learning ha dedicato il numero 26 alle categorie emergenti di Neet e Dropout inserendoli nel più ampio discorso della crisi economica. Essa ha influito negativamente soprattutto sui giovani, i quali sono infatti prevalentemente occupati con contratti atipici e questo spiega perché sono anche i primi a perdere il lavoro, quando la situazione economica tende al peggioramento.

Il termine Neet è un acronimo inglese: Not engaged in Education, Employment or Training. Fu il governo del Regno Unito ad utilizzarlo per indicare tutti quei soggetti tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati in alcun percorso di istruzione e formazione né nel lavoro (o in percorsi assimilabili). Secondo i dati OCSE del 2012 si evidenzia come la performance peggiore, per la più alta percentuale di Neet, sia del Messico, mentre al secondo posto è stata collocata l’Italia. Nel nostro paese la situazione è di due milioni e quattrocentomila, in continua crescita; di questi solo il 28% cerca di fare qualcosa per trovare un’occupazione. In base al rapporto Istat “Noi Italia 2011, cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo” definiamo Neet i giovani che non lavorano, non studiano e non risultano iscritti a corsi riconosciuti dalla Regione di durata non inferiore a 6 mesi o 600 ore.

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12 Maggio, 2016

INVALSI? No, grazie

by gabriella

cyrano-de-bergeracCosa meglio di Rostand per incorniciare la giornata di chi sciopera mentre tanti si rassegnano, piegano la testa e fanno finta di trovarsi d’accordo?

LE BRET: Se tu provassi a mettere un po’ da parte questo tuo animo da moschettiere, Cirano, il successo e gli onori ti…
CIRANO: E che dovrei fare? Cercarmi un protettore? Trovarmi un padrone? Arrampicarmi oscuramente, con astuzia, come l’edera che lecca la scorza del tronco cui si avvinghia, invece di salire con la forza?
No, grazie.
Dedicare versi ai ricchi come qualsiasi opportunista? Fare il buffone nella speranza vile di vedere spuntare sulle labbra di un ministro un sorriso che non sia minaccioso?
No, grazie.
Mandar giù rospi tutti i giorni? Logorarmi lo stomaco? Sbucciarmi le ginocchia per il troppo genuflettermi? Specializzarmi nel piegare la schiena?
No, grazie.
Accarezzare la capra con una mano e annaffiare il cavolo con l’altra?  Avere sempre a portata di mano il turibolo dell’incenso in attesa di potenti da compiacere?
No, grazie.
Progredire di girone in girone, diventare un piccolo grande uomo da salotto, navigare avendo per remi madrigali e per vele sospiri di vecchie signore?
No, grazie.
Farmi pubblicare dei versi a pagamento dall’editore Sercy?
No, grazie.
Farmi eleggere papa da un concilio di dementi in una bettola?
No, grazie.
Affaticarmi per farmi un nome con un sonetto invece di scriverne degli altri?
No, grazie.
Trovare intelligente un imbecille? Essere angosciato dai giornali e vivere nella speranza di vedere il mio nome apparire sulle riviste letterarie?

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12 Maggio, 2016

Dalle “macchine per insegnare” all’iPad. Verso una scuola della mediocrità

by gabriella

Ho scritto questo articolo durante il ministero Profumo, quando i test INVALSI non erano ancora uno degli strumenti di valutazione delle scuole. Vi commentavo un testo pionieristico degli anni ’60 [alcuni stralci in fondo all’articolo], con cui Burrhus Skinner aveva provato a reinterpretare, ad un decennio dalla loro introduzione nella scuola americana, le “macchine per insegnare” (computer-assisted instruction) che aveva teorizzato nel contesto dell’applicazione alla didattica della psicologia comportamentista.

In queste riflessioni, Skinner ribadiva che le macchine per insegnare non costituiscono soltanto una innovazione tecnica ma rappresentano l’attuazione di nuovi princípi nel campo dell’insegnamento. Esse permettono infatti di “accelerare l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul rinforzo del comportamento corretto (l’insegnamento qui è semplice addestramento).

Questa tecnologia richiede però la ridefinizione degli obiettivi educativi non più in termini di “capacità da migliorare”, o di “processi mentali da sviluppare”, ma di comportamenti, prestazioni che si desidera produrre come risultato (osservabile e verificabile) dell’apprendimento [è questo il fondamento epistemologico dei test INVALSI]. 

friedrich_nietzsche_zeichnung_by_berzelmayrNella riflessione di Skinner è dunque già contenuta l’analisi di un modello scolastico le cui retoriche sono tratte dal linguaggio, familiare agli insegnanti, del cognitivismo (la didattica per competenze), ma i cui obiettivi sono quelli comportamentisti della riduzione dell’insegnamento ad addestramento a compiti più o meno sofisticati e della rinuncia all’educazione di una generazione: il programma della decostituzionalizzazione della scuola italiana, della nuova Zuchtung (in versione decisamente peggiorativa rispetto a quella conformistica, ma formativa, che Nietzsche detestava).

L’articolo presenta brevemente la psicologia e l’antropologia comportamentiste, segue una breve illustrazione della pedagogia e della didattica computer assisted e uno stralcio della riflessione critica di Skinner a dieci anni dalla sperimentazione negli USA delle macchine per insegnare. Qui, invece, la mia proposta didattica (rivolta ad un quinto liceo) in relazione ai test a risposta chiusa: Fighting (the fear of) the test.

Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta. 

Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione.

Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi.

Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese. 

Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.

Chris Hedges, Perché gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico2012

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