La filosofia europea dopo la morte di Hegel: la scuola e la dissoluzione dell’idealismo
Indice
1. Destra e sinistra hegeliane
1.1 I giovani hegeliani
2. La reazione antihegeliana
Videolezione: [Gianfranco Marini, Destra e sinistra hegeliana]
Destra e sinistra hegeliane
Dopo la morte di Hegel, avvenuta nel 1831, i suoi seguaci si divisero in correnti diverse che proposero interpretazioni opposte della religione e dei fenomeni storico-sociali.
Dopo alcuni anni, l’ampiezza della frattura portò alla dissoluzione della scuola stessa e al superamento dell’idealismo.
Le principali questioni su cui si concentrò il dibattito subito dopo la morte di Hegel furono il rapporto tra filosofia e religione cristiana e il significato politico della stessa filosofia hegeliana.
Su tali questioni si verificò quasi subito una spaccatura tra i cosiddetti vecchi e giovani hegeliani.
La divaricazione divenne evidente nel 1837, quando David Friedrich Strauss propose di denominare le due fazioni “destra” e “sinistra” hegeliana, usando un’immagine che rievocava la disposizione degli schieramenti nel parlamento francese.
I vecchi hegeliani conferivano particolare importanza al sistema hegeliano ed erano particolarmente inclini a servirsene per giustificare l’esistente, dallo stato prussiano ai dogmi della religione cristiana.
La loro era una posizione fortemente conservatrice che arrivò ad utilizzare la filosofia di Hegel per legittimare aprioristicamente le istituzioni statali, ritenute razionali in quanto reali, secondo l’insegnamento dei Lineamenti di filosofia del diritto.
1.1 I giovani hegeliani
A questo tipo di interpretazioni si opposero altri studiosi, più giovani e inquieti, maggiormente interessati agli aspetti dialettici, dunque critici, della filosofia hegeliana, come il dissolversi dei momenti contraddittori della realtà.
Anche gli esponenti della sinistra hegeliana si occuparono di religione, a partire da David Strauss che nel suo Vita di Gesù (1835-36) propose un’interpretazione della religione come mito, intendendo la figura di Gesù come l’umanità nella sua interezza nella quale Dio si è incarnato.
Questa spiegazione secolarizzata del figlio di Dio ebbe un’enorme risonanza, ma Strauss dovette abbandonare il suo posto di docente a Tubinga e gli fu preclusa per tutta la vita la carriera accademica.
L’opera di Strauss suscitò accanite discussioni, attirando su di sé critiche durissime ma anche alcuni sostenitori, uno dei quali fu Bruno Bauer che proclamò un aperto ateismo con l’opera del 1841 La tromba del giudizio universale contro Hegel, ateo e anticristo.
Nello stesso periodo si attestarono su posizioni hegeliane di sinistra Moses Hess e Arnold Ruge (La filosofia del diritto di Hegel e la critica del nostro tempo, 1842).
In questo panorama teorico, si distingue la figura di Ludwig Feurbach che, partendo da posizioni di sinistra hegeliana, approdò a posizioni di sinistraantihegeliana, con un approccio che risultò decisivo ai fini del superamento dell’idealismo e del passaggio a una filosofia della prassi che sarà sviluppata in modo più organico e coerente da Karl Marx.
La reazione antihegeliana
Presentandosi come l’ultimo grado di sviluppo della realtà e come l’ultima parola della filosofia, l’idealismo hegeliano diviene il principale interlocutore e bersaglio polemico dei filosofi contemporanei, la cui maniera specifica di rapportarsi ad Hegel può essere schematizzata nei quattro termini della rottura (Kierkegaard), del rifiuto (Schopenhauer), del capovolgimento (Feuerbach), e della demistificazione (Marx).
Kierkegaard combatte la totalità hegeliana, identificata nello sviluppo del sistema, in nome del singolo, ossia dell’individuo nella sua irriducibile concretezza esistenziale, il quale non si “risolve” nell’infinito, ma sta, solo, di fronte ad esso.
Schopenhauer ha, invece, un atteggiamento di radicale opposizione ad Hegel.
Alla concezione hegeliana della realtà come manifestazione necessaria del Logos o della Ragione, espressione del panlogistico (panlogismo = tutto è ragione) proprio del filosofo di Stuttgart, egli infatti contrappone un irrazionalismo tragico fondato sulla duplice convinzione che il noumeno (o realtà) del mondo non è l’’Idea nel suo farsi, ma una volontà di vivere senza ragione e senza scopo e che la storia non è un progresso continuo, ma la ripetizione incessante di un immutabile dramma di dolore [nel cui ambito vale la massima biblica (Qoelet) e orientale (Veda) «non c’è nulla di nuovo sotto il sole»].
Anche Marx si propone di capovolgere l’hegelismo, facendolo camminare sui «piedi» anziché «sulla testa».
Egli non si limita però, come Feuerbach, a porre al centro la concretezza materiale umana, ma la interpreta in termini socio-economici (cioè come una realtà determinata – sebbene non integralmente – da specifici processi storici di produzione e distribuzione della ricchezza), avanzando l’esigenza di una radicale demistificazione (= smascheramento) del concetto idealistico di Spirito, volta a mettere in luce le radici socio-politiche (e non semplicemente logico-ideali) delle mistificazioni (= falsificazioni) filosofiche dell’idealismo.
La demistificazione marxiana sfocia così in una nuova visione della filosofia che accantona gli aspetti contemplativi e si fonde con gli elementi attivi della realtà sociale per cambiarla. Come afferma Marx nell’undicesima tesi su Feuerbach:
«I filosofi hanno soltanto interpretato in modo diverso il mondo, ora è tempo di cambiarlo».
Marx reagisce, con ciò, sia ad una filosofia intesa come contemplazione della realtà compiuta (nella storia), cioè come critica impotente a quanto si è realizzato (in quanto poteva realizzarsi):
«La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perché l’uomo continui a trascinarla spoglia e triste, ma perché la getti via e colga il fiore vivo». Critica della filosofia hegeliana del diritto
Ma anche alla critica etica del dover essere kantiano (quel non ancora destinato a non realizzarsi mai, stigmatizzato sia da Hegel che dallo stesso Marx, oltre che da Schopenhauer).
Commenti recenti