La storia degli IMI, i militari italiani internati nei lager nazisti

by gabriella

internati-militari-italianiI militari italiani internati (IMI) nei lager tedeschi furono 700.000.

Di loro, oltre 600.000 [tra cui mio nonno], davanti alla possibilità di aderire alla Repubblica di Salò ed essere liberati, rifiutarono, preferendo conservare la loro dignità di soldati, rigettare la guerra e respingere il fascismo, ora inquadrato con chiarezza nelle responsabilità condivise con l’alleato nazista.

Cinquantamila non tornarono.

Tra i novantamila che giurarono fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, moltissimi rientrarono in patria per disertare e per formare bande partigiane. In Liguria, sul Monte Rosa, interi battaglioni erano composti di soli IMI.

Come racconta Luca Borzani [La guerra di mio padre, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2013], si trattò di un fenomeno imponente che coinvolse quasi tre milioni di famiglie; un fenomeno, come osserva, Ercole Ongaro [Storia della Resistenza nonviolenta in Italia, Bologna, I libri di Emil, 2013] non compreso immediatamente dagli storici che, nel dopoguerra si concentrarono sui partigiani di montagna [al fine di difenderne la memoria, precocemente infangata].

Per capire chi erano bisogna leggere i due passi delle lettere ai familiari di Francesco Grasso e Giuseppe de Toni riferite da Ercole Ongaro.

Indice

1. Dall’intervista a Luca Borzani a Fahrenheit
2. Dall’intervista di Ercole Ongaro a Uomini e profeti

2.1 La lettera di Francesco Grasso
2.2 La lettera di Giuseppe de Toni

 

Internati militari italiani21. Dall’intervista di Luca Borzani a Fahrenheit

La loro condizione intermedia tra lo statuto di prigionieri di guerra e di prigionieri politici impedì che fossero protetti dalle convenzioni internazionali, ma risparmiò loro lo smistamento nei campi di sterminio, senza che ciò impedisse la morte di molti per fame, tifo e assideramento.

Dopo la guerra, fu loro negato qualsiasi riconoscimento e stentarono a raccontare a chi voleva presto dimenticare ciò che avevano vissuto.

Negli stessi anni in cui Primo Levi si vedeva rifiutare da Einaudi la pubblicazione di Se questo è un uomo, spesso tacevano o si limitavano a far emergere frammenti della grande fame e del freddo che avevano patito.

Il loro silenzio privato, osserva lo storico, era una conseguenza del silenzio pubblico che dimenticava la molteplicità della resistenza civile per ricordare soltanto – o negare altrettanto – la sola resistenza militare del “partigiano di montagna”.

 

internati_militari2. Dall’intervista di Ercole Ongaro a Uomini e profeti

Commentando con Gabriella Caramore il proprio libro dedicato alla resistenza civile [quella non armata o disarmata, come fu appunto quella degli IMI], Ercole Ongaro ha ricordato che l’8 settembre erano alle armi un milione e mezzo di militari italiani. 810.000 furono fatti prigionieri dai tedeschi, mentre 700.000 riuscirono a sottrarsi alla cattura.

Tra i prigionieri, 13.000 morirono nel viaggio di deportazione, 90.000 scelsero di collaborare con i tedeschi – molti di loro disertarono appena rientrati in Italia. Dei 700.000 che arrivarono a destinazione, oltre 600.000 resistettero per venti mesi nei lager, rifiutando di aderire alla Repubblica di Salò.

 

2.1 La lettera di Francesco Grasso, 31 dicembre 1944

Ufficiale pugliese cinquantacinquenne, internato nel lager di Chestokova. Dopo aver visto aderire alla Repubblica di Salò una settantina di suoi colleghi ufficiali, scrisse nel suo diario:

Quando degli uomini come noi sono stati ridotti, senza alcuna loro colpa, allo stato di esseri inferiori e sottoposti ad ogni sorta di umiliazioni e privazioni, quando da quattro mesi soffrono la fame i cui stimoli diventano sempre più tormentosi, quando hanno dovuto prima recuperare le briciole di patate rimaste attaccate alle bucce e poi divorare le bucce stesse, quando sono stati messi nelle condizioni di frugare nell’immondizia come cani randagi, di precipitarsi sui mastelli del rancio per raccogliere con le mani e con il cucchiaio gli avanzi melmosi della sbobba, quando ogni minimo loro atto diventa fatica, quando essi si sentono da tutti abbandonati e sui loro animi e sui loro cuori premono particolari situazioni di famiglia, un giudizio veramente sereno sulla grave decisione da loro presa non può essere formulato. Il Signore mi conceda la forza per resistere.

2.1 La lettera di Giuseppe de Toni

Bresciano, alla lettera del fratello che gli rimprovera di non aver aderito alla Repubblica Sociale anche sapendo che avrebbe potuto disertare e riunirsi in seguito alla famiglia, risponde:

Carissimo Nando,

tu non sei stato strappato con volgare inganno, con un inganno che da solo basta a disonorare una nazione, alla tua famiglia, alla tua casa, alla tua patria, tu non hai visto le caserme devastate, sotto i tuoi occhi non hanno ferito o ucciso donne ree di aver buttato a noi qualche pezzo di pane, tu non sei stato disarmato, tu non hai provato il viaggio, affamati, assetati, chiusi peggio che bestie nei carri, tu non hai sentito e subito il frustino sulla schiena, sul viso, contro te non sono stati aizzati i cani […].

Noi non vogliamo restare qui, come qualcuno insinua, per vigliaccheria, quasi imboscati, siamo tutti ex combattenti, molti decorati, molti volontari, e del resto noi abbiamo i nostri morti e questa è forse peggio che una prima linea di combattimento, noi non siamo degli attendisti, non è per calcolo, per capriccio, né per puntiglio, ma solo per coerenza, per un principio di dignità, di amore, di giustizia. Noi non vogliamo arrenderci alla forza, alla prepotenza, all’inganno. Ho qualcosa di più della responsabilità della vita dei miei ufficiali, ho quella del loro onore e non possono transigere, di fronte a tutti devo essere di esempio.

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