Dire che una società funziona è un’ovvia verità,
ma dire che ogni cosa nella società funziona,
è un’assurdità.
Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, 1958
Indice
1. Il funzionalismo
2. Le origini del funzionalismo
3. Parsons
3.1 Il modello AGIL
3.2 L’interiorizzazione del modello sociale
3.3 La teoria dell’azione sociale razionale
1. Il funzionalismo
L’ipotesi di base del funzionalismo è che la società sia un insieme di parti interconnesse tra loro in modo funzionale al mantenimento del sistema. Come in un organismo vivente, nessuna parte vale dunque di per sé, ma assume significato in relazione alla funzione o al compito che svolge per mantenere e riprodurre la struttura sociale.
Le parti del corpo sociale sono le istituzioni deputate a rispondere ai suoi bisogni. Perché una società possa sopravvivere e proiettarsi nel futuro, ha infatti il bisogno economico di utilizzare le risorse disponibili, nonché quello politico di mantenere la coesione del sistema; ha bisogno di un sistema educativo che trasmetta alle giovani generazioni i modelli culturali elaborati nel passato e di istituzioni religioso-metafisiche che forniscano spiegazioni del mondo e giustifichino la realtà esistente.
Queste istituzioni non operano isolatamente, ma in modo sinergico tra loro, essendo in mutuo rapporto di interdipendenza; nessuna, infatti, potrebbe funzionare senza l’altra o assicurare da sola la riproduzione sociale.
Modellato sul paradigma biologico, il funzionalismo postula uno stato di equilibrio (o salute) della società che si ottiene quando ogni parte svolge correttamente il proprio compito. Le scienze biologiche hanno infatti osservato che gli organismi viventi tendono all’omeostasi, rispondono cioè alle sollecitazioni in modo da mantenere costante il proprio stato interno.
Ad esempio, se la temperatura esterna sale, la sudorazione e la vasodilatazione della pelle fanno aumentare la dispersione di calore, mentre si riduce la produzione di calore generata dal metabolismo. In questo modo, la temperatura corporea tende a rimanere stabile. I funzionalisti guardano alle dinamiche sociali in modo analogo, postulando che ogni volta che interviene una perturbazione, il sistema risponda in modo da ripristinare l’equilibrio preesistente.
Questo indirizzo sociologico studia quindi la società dal punto di vista della conservazione delle condizioni di esistenza delle forme di vita sociale, cioè del funzionamento e della riproduzione della società (o integrazione), con particolare accentuazione dei fenomeni di coesione e stabilità sociale.
Il funzionalismo non ha però prodotto solo una teoria della società e del suo funzionamento, ha anche elaborato un metodo di studio, l’analisi funzionale, che ha avuto importanti utilizzazioni anche in campo antropologico (nello struttural-funzionalismo). Essa consiste nell’interrogare istituzioni e fenomeni sociali per individuare la loro funzione all’interno della società e comprendere così il loro significato e quello complessivo della società che li pone in essere.
2. Le origini del funzionalismo
Uno degli usi più antichi della metafora organicista a fini di conservazione dello stato è stato quello riferito da Tito Livio nel contesto della lotta tra plebei e patrizi del 494 a.C.. Lo storico racconta infatti, come, dovendo mediare nella contesa, il console Menenio Agrippa rivolse alla plebe in tumulto un celebre apologo che paragonava persuasivamente l’ordinamento sociale romano ad un corpo umano:
« Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso [ad attendere cibo], ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute » [Tito Livio, Ab urbe condita, II, 32].
La plebe ne fu convinta, tanto che tornò pacificamente alle proprie occupazioni dopo aver ottenuto l’istituzione della sua prima rappresentanza politica: i tribuni e gli edili della plebe e l’assemblea in cui venivano eletti, il concilium plebis.
Nella teoria sociologica, le origini del funzionalismo si trovano nell’organicismo di Saint-Simon e Comte, entrambi convinti che la società sia retta dal funzionamento armonico di ogni componente e che la perturbazione di una si ripercuota sull’intero corpo sociale.
La loro visione, si accompagna, come è noto, alla fiducia in un mondo moderno capace di autoregolarsi, progredire e resistere alle spinte disgregatrici.
L’effettivo iniziatore del funzionalismo è però Émile Durkheim, il quale non si è limitato a riprendere la concezione organicistica della società, ma ha posto le basi dell’analisi funzionale.
Ne Le regole del metodo sociologico (1895), lo studioso ha enunciato chiaramente i principi del metodo di ricerca funzionalistico, sostenendo che studiare la società vuol dire analizzare le sue istituzioni, e che per comprendere un’istituzione occorre chiarire i compiti che svolge in rapporto ai
«bisogni generali dell’organismo sociale».
L’eredità di Durkheim è ben presente nel funzionalismo contemporaneo di Parsons, Merton, Alexander e Luhmann.
3. Parsons
Biologo di formazione, lo statunitense Talcott Parsons si specializzò in scienze sociali a Londra con Malinowsky per addottorarsi poi ad Heidelberg con una tesi su Weber e Sombart.
Tornato negli Stati Uniti, insegnò per quarant’anni ad Harvard dove elaborò la sua teoria della società e dell’azione sociale secondo il modello struttural-funzionalista, proponendosi cioè di illustrare la struttura di fondo della società attraverso il funzionamento delle sue componenti.
In questo sforzo teorico tentò di conciliare gli opposti approcci di Weber e Durkheim circa la priorità di individuo e società nell’analisi sociale.
3.1 Il modello AGIL
L’organizzazione funzionale dei sistemi sociali teorizzata da Parsons in The Social System (1951) è uno degli esempi più ortodossi di teoria funzionalista.
La condizione più decisiva perché un’analisi dinamica sia buona, è che in essa ogni problema venga continuamente e sistematicamente riferito allo stato del sistema considerato come una totalità […] Un processo o un insieme di condizioni o “contribuisce” alla conservazione (o allo sviluppo) del sistema, oppure è “disfunzionale” , nel senso che attenta all’integrità e all’efficacia del sistema [Essays in Sociological Theory Pure and Applied, 1957].
Il sociologo descrisse il sistema sociale attraverso un modello che chiamò AGIL, dall’acronimo delle quattro funzioni principali (o «imperativi funzionali») della società: quella di
- adattamento (Adaptative);
- di raggiungimento dei fini (Goal Attainment),
- di integrazione (Integrative)
- e di mantenimento dei modelli latenti (Latent pattern).
La funzione di adattamento risponde al problema di ricavare sufficienti risorse dall’ambiente e di distribuirle nel sistema. A svolgere questo compito indispensabile per la sussistenza provvedono le istituzioni economiche.
Affinché il sistema sociale possa raggiungere fini specifici occorre un potere in grado di decidere e mobilitare la società: è il compito delle istituzioni politiche.
Il bisogno di integrazione consiste nella necessità di tenere uniti i membri della società e di coordinare le azioni evitando disordini, compito di cui, secondo Parsons, si incarica il sistema giuridico, controllando che si rispettino le regole e sanzionando i comportamenti devianti.
I modelli latenti sono invece quella parte del sistema sociale che dipende dal mondo interiore degli individui, come forgiato dalle istituzioni educative, religiose e familiari.
Secondo Parsons, i quattro imperativi funzionali sono presenti non solo in tutte le società, ma anche in ciascuna istituzione all’interno della società.
La famiglia, ad esempio, deve provvedere alla sussistenza e alla distribuzione delle risorse al suo interno, all’organizzazione decisionale del gruppo, nonché all’integrazione e alla gestione degli aspetti psicologici e relazionali della convivenza.
Nella visione tradizionalista di Parsons, il padre accentra le prime tre funzioni, mentre la madre si incarica del mantenimento dei modelli latenti, curando l’integrazione psicologica dei componenti.
3.2 L’interiorizzazione del modello sociale
La teoria di Parsons non si limita a considerare il sistema sociale e le sue istituzioni, ma prende in esame anche il versante individuale, soggettivo, della società. Perché il sistema sociale si mantenga e si riproduca non bastano infatti le istituzioni, ma occorre il concorso attivo degli individui al suo funzionamento. Scrive infatti, Parsons:
«Sono necessari molti complicati processi per mantenere il funzionamento di ogni sistema sociale; se i suoi membri non intervenissero mai, una società cesserebbe di esistere molto presto».
Ciò che assicura che gli individui si comportino in modo adeguato alle necessità istituzionali è, oltre alla motivazione del vantaggio esterno, l’interiorizzazione dei modelli sociali, dei loro principi e valori.
Parsons riprende da Freud l’idea di un Super-Io, cioè una coscienza morale che governa le nostre scelte in base alle esigenze della società. In sociologia la tesi era stata già avanzata da Durkheim, per il quale la realtà sociale
«oltrepassa le coscienze individuali, e nello stesso tempo è loro immanente».
Nella concezione di Parsons la società è composta da più sistemi stratificati e in connessione tra loro: il sistema culturale, fatto di conoscenze, simboli, valori, il sistema sociale, strutturato dalle posizioni, dai ruoli, dalle norme, dalle istituzioni, fino al sistema personale in cui si svolge la vita interiore dell’individuo, e quello sistema fisico-biologico.
E’ il sistema culturale a dominare sugli altri, influenzando il sistema sociale e penetrando negli individui, portandoli ad adeguarsi alla cultura a cui appartengono e a seguire le regole del sistema sociale.
3.3 La teoria dell’azione sociale razionale
L’integrazione sociale non è assicurata però solo dall’interiorizzazione dei contenuti culturali. Occorre anche che gli individui agiscano conseguentemente, cioè in modo conforme ai dettati del sistema sociale.
Per spiegare come ciò accada, Parsons propone una teoria dell’azione sociale razionale [La struttura dell’azione sociale, 1937], sostenendo che le persone si comportano conformemente alle regole sociali perché sono esseri razionali che decidono che cosa fare coerentemente con le mete che si prefiggono:
Il punto di partenza logico per l’analisi del ruolo che gli elementi normativi svolgono nell’azione umana, è la constatazione empirica che gli uomini non soltanto rispondono a stimoli, ma in un certo senso cercano di conformare la loro azione a modelli, che sono ritenuti desiderabili dall’attore e da altri membri della collettività.
Secondo Parsons, poiché è la società che suggerisce a ciascuno quali mete prefiggersi e quali strategie seguire per raggiungerle, l’individuo finisce per conformarsi al sistema sociale.
Vediamo qui Parsons muoversi sul terreno opposto a quello di Pareto, che aveva sostato particolarmente sulle componenti irrazionali della vita individuale e sociale, discostandosi anche da Durkheim per il quale la coesione sociale è dovuta in primo luogo al sentimento del legame, e solo secondariamente può essere rafforzata da considerazioni razionali.
Conformemente al suo ottimismo sociologico, Parsons considerò anche i comportamenti devianti funzionali al sistema. Si tratta ai suoi occhi di perturbazioni marginali, non in grado di nuocere alla tenuta complessiva del sistema sociale, il cui sanzionamento contribuisce al rafforzamento simbolico dell’ordine sociale.
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