Da dove viene il potere politico, il comando dell’uomo sull’uomo? Queste le domande al centro del breve, illuminante, saggio La question du pouvoir dans le société primitives (1976) di Pierre Clastres [1934-1977], disponibile in traduzione italiana ne L’anarchia selvaggia. Le società senza stato, senza fede, senza legge, senza re, Milano, Elèuthera, 2013, pp. 25-31.
Clastres osserva che l’etnologia occidentale ha sofferto di un etnocentrismo che le ha impedito di prendere sul serio le forme politiche delle società tradizionali, nelle quali l’assenza di stato è stata interpretata come segno di immaturità e incompletezza. Analoga sorte è stata riservata alle forme economiche, considerate espressione di un’economia di sussistenza, sinonimo di arretratezza e sottosviluppo.
La cultura occidentale pensa infatti il potere in termini di relazioni gerarchiche e autoritative di comando e obbedienza, dimensione assente in società non coercitive e prive di stato come quelle tradizionali. Ne segue che le cosiddette società primitive sarebbero incapaci di esprimere relazioni di potere, di darsi organizzazione politica: sarebbero cioè allo stato presociale o di natura. Clastres nota invece che il potere politico è diretta emanazione del fatto sociale, quindi universale, ma si realizza nella doppia modalità coercitiva e non coercitiva, così che la prima non esprime l’essenza del potere politico, ma semplicemente un suo caso particolare [Copernic et le sauvages, (1969) poi in La société contre l’Etat, 1974].
Nelle società «senza stato, il cui corpo non possiede organi separati di potere», cioè in cui «il potere non è separato dalla società», i capi, i Big Man, non hanno alcun potere sulla tribu: come osservarono i conquistatori europei del XVI secolo, si trattava di selvaggi «senza fede, senza legge, senza re».
[l’uomo moderno] ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza.
Sigmund Freud, Il disagio della civiltà
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