Fahrenheit del 30 aprile ha dedicato il dibattito d’apertura all’esposto presentato dalle associazioni Giuristi per la vita e Pro Vita onlus contro gli insegnanti del Giulio Cesare di Roma, accusati di aver fatto leggere ai loro studenti pagine di Sei come sei di Melania Mazzucco, «di forte impronta omosessualista in cui alcuni passi rivelano un forte contenuto pornografico».
Gran parte della discussione si è incentrata sul tema dell’omosessualità e sull’opportunità di affrontare scolasticamente il tema con le scene di erotismo gay incluse nella lettura, nonostante il Direttore generale del MOIGE [Associazione di genitori che si dichiara aconfessionale, ma si ispira strettamente alla morale cattolica] sia andato dritto allo scopo, usando la circostanza per accusare il Giulio Cesare e la scuola pubblica [quando esercita la libertà d’insegnamento], di «violazione del patto di corresponsabilità educativa» [il suo intervento qui da 8:22 a 13:22].
Ciò che Antonio Affinita (MOIGE) censura, è «la dinamica da Minculpop» per la quale «uno può autonomamente svegliarsi e parlare di quelli che sono i propri modi di intendere queste tematiche» ovvero, esprimersi liberamente in conflitto con la morale dominante. Secondo il MOIGE, la scuola dovrebbe invece negoziare con i genitori i contenuti da veicolare agli studenti, astenendosi dall’insegnare quelli che non incontrano il loro gradimento: questo il significato, a loro avviso, del principio costituzionale che attribuisce a scuola e famiglia la responsabilità educativa. Non viene in mente ad Affinita che il principio della corresponsabilità educativa implica appunto che nessuna agenzia formativa possa arrogarsi il monopolio della parola e che la scuola repubblicana sia appunto il luogo in cui i giovani possono entrare in contatto con la diversità culturale e la molteplicità dei punti di vista.
Sono quindi i desiderata del MOIGE ad essere aspirazioni da Minculpop, voglia di ritorno a un insegnamento ex cathedra dell’etica “naturale” che si vuole ora impartito anche dalla scuola pubblica e non solo dalle scuole confessionali, da tempo scandalosamente finanziate dallo stato. In questa auspicata scuola normalizzata, la didattica sarebbe libera di proporre solo quanto condiviso dalla vulgata corrente, tornata ad essere, cinquecento anni dopo Galilei, criterio di scienza. Saffo, il Simposio, l’Origine delle specie, Nietzsche e Freud sarebbero esclusi dai programmi che censurerebbero prima di ogni altra cosa, s’intende, la notizia che i protocolli psichiatrici mondiali hanno escluso l’omosessualità dalle patologie psichiche fin dal 1973. La scuola pubblica non può che respingere al mittente.
Intendiamoci sulla libertà che voi reclamate; é la libertà di non insegnare. Ah, voi volete che vi siano dei popoli da istruire. Molto bene. Vediamo i vostri allievi. Vediamo i vostri prodotti. Che avete fatto dell’Italia? Che avete fatto della Spagna? Da secoli voi tenete nelle vostre mani, a vostra discrezione, alla vostra scuola, sotto la vostra bacchetta, queste due grandi nazioni, illustri tra le più illustri, che ne avete fatto? Ve lo dirò. Grazie a voi l’Italia, della quale nessun uomo che pensi può più pronunciare il nome che con un inesprimibile dolore filiale, l’Italia, questa madre di geni e di nazioni che ha riversato sull’universo tutto le più abbaglianti meraviglie della poesia e dell’arte, l’Italia che ha insegnato a leggere al genere umano, l’Italia oggi non sa leggere! [Victor Hugo, Sur la liberté de l’enseignement, 1850, p. 323].
sul mio dolore […]
chi mi biasima possano i venti portarselo via […].
Saffo
Massimo Recalcati, Omosessualità, chi ha paura di un libro a scuola
Quelli della mia generazione si ricorderanno forse improbabili corsi di educazione della sessualità di tipo botanico. Uno strano “esperto della materia” mostrava dei semi sulla cattedra. E le loro possibili combinazioni da cui sarebbero scaturiti i caratteri del nuovo nato. I corpi sessuali in carne ed ossa restavano coperti e solo enigmaticamente allusi. Erano anni dove la censura morale prevaleva ottusamente provando ad esorcizzare il demone del sesso. Era l’Italia cattolico-fascista che dopo la contestazione del ‘68 avrebbe però ben presto lasciato il posto ad un altro padrone.
Questo nuovo padrone — quello che Pasolini denominava negli anni Settanta “nuovo fascismo” — non agirà più in nome della censura ma offrirà una immagine della libertà senza limiti. Il suo imperativo non risponderà più alla logica del dovere e del sacrificio ma a quella di un godimento senza argini. Nel nostro ultimo ventennio questa rappresentazione della libertà troverà la sua enfatizzazione più radicale e, al tempo stesso, più fatua. È una constatazione banale: basta girare in un qualunque aeroporto italiano per trovarsi davanti agli occhi corpi di donne seminude e ammiccanti a promuovere prodotti coi quali non hanno alcuna relazione di senso. La discreta solitudine dei semi sulla cattedra ha lasciato il posto ad una proliferazione di immagini sessuali o a sfondo sessuale che hanno ormai invaso la nostra vita più ordinaria.
Ecco perché la denuncia nei confronti di alcuni professori del liceo Giulio Cesare di Roma che avevano proposto ai loro allievi un percorso di letture su temi di attualità, tra cui quella della differenza di genere, non può non colpire. Non l’opportunità dell’iniziativa di quei docenti — ai miei occhi totalmente legittima — , ma proprio l’atto che la vuole denunciare come “pornografica”. Il nuovo fascismo sembra qui lasciare il suo passo ad un ritorno del vecchio. L’ideale di una sessualità anatomicamente e naturalmente eterosessuale, una educazione morale rigidamente normativa, accompagnata dall’omofobia e dall’esaltazione della virilità, sono stati invocati contro i professori degeneri. Grave errore di giudizio. Come non vedere che se c’è una salvezza dallo scempio iperedonista che ogni giorno ci invade facendo dei corpi erotici carne da macello, se c’è una salvezza dalla violenza che scaturisce da una rappresentazione tutta fallica della sessualità, essa non è nel ritorno ad un Ordine giustamente defunto, ma proprio nel libro, nella lettura, nella vita della Scuola.
È attraverso, il libro, la lettura, la Scuola che si gioca infatti la vera prevenzione ai rischi della barbarie e della dissipazione in un godimento senza soddisfazione. Il libro incriminato non è un libro pornografico, ma un libro che racconta la storia di una formazione e di una filiazione. Un libro di letteratura non è mai pornografico ma, casomai, erotico nel senso che anima il desiderio di sapere. Resta sullo sfondo la vera questione: come si può parlare a Scuola di sessualità senza ricorrere alla tristezza dei semi sulla cattedra e al suo moralismo implicito, ma senza nemmeno — come accade oggi — ridurre tutto all’altrettanto arida descrizione senza veli della spiegazione scientifica di come, per esempio, funzionano gli organi genitali. L’educazione alla sessualità dovrebbe preservare sempre il velo del mistero. Cosa di meglio allora della letteratura e della poesia? La sessualità senza amore ha il fiato corto sia essa cosiddetta omosessuale o eterosessuale. Quando invece l’amore feconda il sesso non c’è mai gesto erotico che rischi l’oscenità. Sia esso cosiddetto omosessuale o eterosessuale.
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