Un interessante articolo dell’Economist, Technology and Jobs: Coming to an office near you [traduzione mia], analizza la nuova ondata di distruzione tecnologica dell’occupazione appena iniziata. Il settimanale evidenzia come il 47% degli impieghi oggi esistenti sia suscettibile di automatizzazione nei prossimi vent’anni e come anche le iniziative economiche di successo siano oggi a bassa intensità di lavoro ed alta specializzazione (ad es.: Istagram, 30 milioni di utenti, 13 impiegati, un milione di dollari di profitto).
L’articolo snocciola dati drammatici e dipinge un futuro prossimo socialmente insostenibile, nonostante mantenga uno sguardo fiducioso sulla distruzione creatrice dell’attuale fase economica. Il testo si conclude con la considerazione che l’unica leva in mano ai governi per sostenere le proprie popolazioni è di innalzare la qualità della scuola e cercare di fornire strumenti di crescita intellettuale e sviluppo della creatività ai giovani. Il nostro paese ha invece imboccato la strada opposta.
L’innovazione, il volano del progresso, ha sempre fatto perdere alla gente il proprio lavoro. Durante la rivoluzione industriale, gli artigiani vennero infatti spazzati via dal telaio meccanico. Durante gli ultimi trent’anni, la rivoluzione digitale ha smantellato molti dei lavori specializzati che hanno caratterizzato la classe media del XX secolo. Dattilografi, impiegati di banca, impiegati nei servizi e insieme a loro molti lavori produttivi sono stati accantonati così come era accaduto agli artigiani. Per quelli che, anche nel nostro settimanale, credono che il progresso tecnologico abbia reso il mondo un posto migliore in cui vivere, una simile perdita è parte di una crescente prosperità.
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