Posts tagged ‘INVALSI’

28 Gennaio, 2021

Fighting (the fear of) the test

by gabriella

Dopo l’introduzione dei test INVALSI e davanti al proliferare dei test d’accesso ai corsi di Laurea, ho cominciato, non senza dubbi e perplessità, a introdurre nel lavoro scolastico prove a risposta chiusa.

Nelle righe sottostanti, un piccolo resoconto etnografico dell’impatto di questi test su ragazzi abituati a prove di altro tipo, come i miei studenti di Filosofia di quinta di qualche anno fa.

Indice

1. Come fu che cominciai
2. I primi giorni di scuola del settembre 2016
3. Risultati e reazioni

3.1 La didattica tra resistenza e teaching to test

 

4. Epilogo

 

Non credo alla tv, vende la gente lesa,
io leggo libri, leggo solo per autodifesa, sapere più degli altri è la chiave per non farti comandare
e io non voglio comandarti.

Woody Allen

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4 Febbraio, 2019

Massimo Gramellini, INVALSI 2018 Il bambino azienda

by gabriella

Sta passando il principio che la scuola serva soltanto a trovare un lavoro e non anche se stessi.

Condizionati dal Pensiero Unico Materialista, gli estensori dei questionari Invalsi hanno chiesto ai bambini della primaria:

«Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi?».

Segue un elenco di traguardi esistenziali immaginati come eccitanti per dei bambini di dieci anni: avere abbastanza soldi, comperare ciò che si vuole, trovare un buon lavoro. Alle piccole cavie vengono concesse sei gradazioni possibili di risposta, da «per niente» a «totalmente».

Se avessi dieci anni, ma non è detto che non li abbia, risponderei: «per niente».

E, con un linguaggio appena un po’ più ingenuo di quello che userò, aggiungerei:

«Alla mia età rivendico il diritto di potere ancora sognare e di non associare la felicità al possesso di beni materiali. Il lavoro e i soldi sono importanti, specie se non li hai. Ma dalla scuola mi aspetto che insegni anche altro. Che mi dia gli strumenti culturali per vivere meglio, per cogliere la bellezza in un’opera d’arte, per ammirare un tramonto e non solo una vetrina.

Che, almeno alle elementari, mi spinga a fantasticare e a cercare dentro di me il talento unico e irripetibile che sicuramente posseggo, come tutti. Che non faccia di me solo un consumatore compulsivo e uno sbarratore di crocette nei questionari, ma un essere umano completo, capace di abitare la vita nella sua interezza o — come direste voi — totalmente».

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27 Dicembre, 2018

Cathy O’Neill, Armi di distruzione matematica

by gabriella

La recensione di Rosario Paone su Laletteraturaenoi del libro della studiosa americana, tradotto da Bompiani nel 2018 [di cui Google Books offre un’ampia porzione]

La tesi di ‘ONeill non è nuova, ma l’autorevolezza della fonte e la chiara indicazione che la costruzione di Big data dell’educazione e l’uso inconsapevole dei metodi quantitativi in ambito scolastico siano vere e proprie armi di distruzione matematica ne fanno una lettura indispensabile per gli insegnanti e per tutti quelli che si servono dei dati sulla scuola.

Indice e immagini sono mie.

 

1. Un linguaggio costruttivo dalle potenzialità infinite
2. Scuole e Università in classifica
3. La minaccia delle armi di distruzione matematica

3.1 Tre domande

3.1.1 Chi fa ricorso allo strumento matematico ha chiaro il metodo usato per modellizzarlo?
3.1.2
Il modello va contro l’interesse del soggetto? Potrebbe modellizzarlo?
3.1.3 Il sistema può scalare?

Cathy O’Neill

La matematica è il più potente strumento di cui l’uomo disponga. Per quanti non sono matematici di professione essa è un ricordo scolastico o un utile strumento per i calcoli della vita quotidiana. Ma l’idea più corrente su di essa è che “non è un’opinione”. Per distruggere quest’ultima convinzione è utile la lettura di Cathy O’Neill Armi di distruzione matematica (Bompiani, 2018).

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10 Luglio, 2018

Scuola: l’America fa dietrofront. Più conoscenze, meno competenze

by gabriella

e il suo collega Daniel Willingham

Il pedagogista americano Timothy Shanahan

Le conclusioni di un panel di esperti consultati dall’Ente nazionale di valutazione americano: gli studenti non imparano più a leggere perché a scuola si fanno solo test e si trascurano storia e letteratura, arte e scienze. Tratto dal Corriere.it.

23 Ottobre, 2017

Il dibattito sul metodo nella ricerca sociale. 1. I principali dilemmi

by gabriella

I principali dilemmi metodologici della ricerca sociale: la realtà sociale va semplicemente studiata o la sociologia deve contribuire a cambiarla? La sociologia può mettersi al servizio delle concrete domande dell’industria o deve limitarsi alla fare ricerca teorica? E deve avvalersi di metodi qualitativi o quantitativi?

Nel novecento si è sviluppato un ampio dibattito sul ruolo dello scienziato sociale e della sociologia nell’arena pubblica e sui metodi da preferire nella costruzione del sapere sociologico. Le principali opzioni si sono aggregate intorno alla coppia neutralità vs intervento nelle politiche sociali; ricerca teorica vs ricerca empirica; ricerca qualitativa vs ricerca qualitativa.

 

Neutralità vs intervento

Con che coraggio posso perdere il mio tempo a conoscere il segreto delle stelle,
quando davanti agli occhi ho sempre presente o la morte o la schiavitù?
Agitato dall’ambizione, dalla cupidigia, dalla temerarietà, dalla superstizione,
e avendo dentro di me altri simili nemici della vita, mi metterò a pensare al moto del mondo?

Anassagora, A Pitagora [Michel de Montaigne, Essays, 26].

Gramsci

Antonio Gramsci (1891 – 1937)

Nei Quaderni dal carcere, Antonio Gramsci aveva delineato l’identità e il ruolo di un intellettuale di tipo nuovo, l’intellettuale organico, proveniente dalla classe lavoratrice e ad essa legato dal compito di costruirne attivamente l’emancipazione. In questo che può essere considerato il prototipo dell’intellettuale impegnato in politica, Gramsci vedeva il superamento della distinzione tra homo faber e homo sapiens e la creazione di un’intellettualità diffusa capace di determinare cambiamenti sociali attraverso una nuova egemonia – concetto dalla lunga gestazione da Rousseau a Marx.

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12 Maggio, 2016

INVALSI? No, grazie

by gabriella

cyrano-de-bergeracCosa meglio di Rostand per incorniciare la giornata di chi sciopera mentre tanti si rassegnano, piegano la testa e fanno finta di trovarsi d’accordo?

LE BRET: Se tu provassi a mettere un po’ da parte questo tuo animo da moschettiere, Cirano, il successo e gli onori ti…
CIRANO: E che dovrei fare? Cercarmi un protettore? Trovarmi un padrone? Arrampicarmi oscuramente, con astuzia, come l’edera che lecca la scorza del tronco cui si avvinghia, invece di salire con la forza?
No, grazie.
Dedicare versi ai ricchi come qualsiasi opportunista? Fare il buffone nella speranza vile di vedere spuntare sulle labbra di un ministro un sorriso che non sia minaccioso?
No, grazie.
Mandar giù rospi tutti i giorni? Logorarmi lo stomaco? Sbucciarmi le ginocchia per il troppo genuflettermi? Specializzarmi nel piegare la schiena?
No, grazie.
Accarezzare la capra con una mano e annaffiare il cavolo con l’altra?  Avere sempre a portata di mano il turibolo dell’incenso in attesa di potenti da compiacere?
No, grazie.
Progredire di girone in girone, diventare un piccolo grande uomo da salotto, navigare avendo per remi madrigali e per vele sospiri di vecchie signore?
No, grazie.
Farmi pubblicare dei versi a pagamento dall’editore Sercy?
No, grazie.
Farmi eleggere papa da un concilio di dementi in una bettola?
No, grazie.
Affaticarmi per farmi un nome con un sonetto invece di scriverne degli altri?
No, grazie.
Trovare intelligente un imbecille? Essere angosciato dai giornali e vivere nella speranza di vedere il mio nome apparire sulle riviste letterarie?

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12 Maggio, 2016

Dalle “macchine per insegnare” all’iPad. Verso una scuola della mediocrità

by gabriella

Ho scritto questo articolo durante il ministero Profumo, quando i test INVALSI non erano ancora uno degli strumenti di valutazione delle scuole. Vi commentavo un testo pionieristico degli anni ’60 [alcuni stralci in fondo all’articolo], con cui Burrhus Skinner aveva provato a reinterpretare, ad un decennio dalla loro introduzione nella scuola americana, le “macchine per insegnare” (computer-assisted instruction) che aveva teorizzato nel contesto dell’applicazione alla didattica della psicologia comportamentista.

In queste riflessioni, Skinner ribadiva che le macchine per insegnare non costituiscono soltanto una innovazione tecnica ma rappresentano l’attuazione di nuovi princípi nel campo dell’insegnamento. Esse permettono infatti di “accelerare l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul rinforzo del comportamento corretto (l’insegnamento qui è semplice addestramento).

Questa tecnologia richiede però la ridefinizione degli obiettivi educativi non più in termini di “capacità da migliorare”, o di “processi mentali da sviluppare”, ma di comportamenti, prestazioni che si desidera produrre come risultato (osservabile e verificabile) dell’apprendimento [è questo il fondamento epistemologico dei test INVALSI]. 

friedrich_nietzsche_zeichnung_by_berzelmayrNella riflessione di Skinner è dunque già contenuta l’analisi di un modello scolastico le cui retoriche sono tratte dal linguaggio, familiare agli insegnanti, del cognitivismo (la didattica per competenze), ma i cui obiettivi sono quelli comportamentisti della riduzione dell’insegnamento ad addestramento a compiti più o meno sofisticati e della rinuncia all’educazione di una generazione: il programma della decostituzionalizzazione della scuola italiana, della nuova Zuchtung (in versione decisamente peggiorativa rispetto a quella conformistica, ma formativa, che Nietzsche detestava).

L’articolo presenta brevemente la psicologia e l’antropologia comportamentiste, segue una breve illustrazione della pedagogia e della didattica computer assisted e uno stralcio della riflessione critica di Skinner a dieci anni dalla sperimentazione negli USA delle macchine per insegnare. Qui, invece, la mia proposta didattica (rivolta ad un quinto liceo) in relazione ai test a risposta chiusa: Fighting (the fear of) the test.

Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta. 

Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione.

Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi.

Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese. 

Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.

Chris Hedges, Perché gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico2012

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11 Maggio, 2015

Marco Barone, “Chi” è l’INVALSI

by gabriella

world bankStralcio la parte centrale dello studio di Marco Barone sulla composizione e gli intrecci di consulenze e interessi degli organismi che operano per l ‘INVALSI, l’ente che valuta gli apprendimenti degli studenti italiani, il cui Presidente è direttamente nominato dall’esecutivo. Come mostra Barone, questa organizzazione opera in sinergia con enti legati alla Banca Mondiale e alle organizzazioni degli industriali e con istituzioni che si prefiggono la diffusione o il consolidamento dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di tutto il mondo. Osservare la composizione bypartisan delle associazioni e fondazioni che sostengono l’INVALSI chiarisce più di ogni altra cosa perché gli accademici abbiano difeso così debolmente la scuola e quali siano le forze politiche che concretamente operano per l’abbandono del progetto costituzionale e per un nuovo modello di istruzione in Italia.

Per la formulazione delle sue prove, l’Invalsi si avvale in particolar modo dei test preparati dal TIMSS and PIRLS International Study Center, adattati al contesto italiano, il cui direttore è stato consulente della Banca Mondiale. La cosa interessante è che TIMMS e PIRLS sono in stretta connessione con il Boston College, fondato dalla Compagnia di Gesù nel 1863, e specialmente con l’International Association for the Evaluation of Educational Achievement, che ora chiamerò brevemente IEA, cosa comunque ben visibile sul sito del TIMSS and PIRLS.

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7 Maggio, 2015

Anna Angelucci, La valutazione negli Stati Uniti: storia di un fallimento

by gabriella
Milton Friedman (1912 - 2006)

Milton Friedman (1912 – 2006)

L’intervento di Anna Angelucci al Convegno “Educare alla critica: quale valutazione?”. Liceo Classico Mamiani, Roma, 26 novembre 2013.

Economisti che sui problemi della scuola si costruiscono carriere, imprenditori e faccendieri a caccia di nuovi guadagni, insieme a politici e burocrati compiacenti, stanno imponendo il governo tecnocratico nella scuola e nell’università, un governo che inneggia all’individualismo e alla competizione sfrenata, dove l’istruzione ridotta a prodotto di mercato, e che liquida come anacronistico retaggio del passato ogni dimensione del sociale. Una pletora di decisori senza idee che, a dispetto di ogni evidenza, vogliono imporre oggi in Italia quello che la storia mostra aver fallito altrove. In questo scenario il test non è neutro e non è innocuo: è un dispositivo di controllo che agisce come strumento performativo retroattivo, trasformando ciò che facciamo e il senso di ciò che facciamo a scuola .

La “cultura della valutazione” nasce nella seconda metà del secolo scorso negli Stati Uniti d’America, imposta dal modello economico neoliberista, che applica anche all’istruzione il principio imprenditoriale dell’analisi costi-benefici a breve termineLe scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti», così Milton Friedman, nel 1955, in “The role of Government in education”].

reaganPer fare questo occorreva individuare un’entità misurabile circoscritta, una unità di misura e uno strumento di misurazione, che permettesse di valutare “oggettivamente e sistematicamente” il livello degli  apprendimenti di uno studente, di una classe, di una scuola, di uno Stato.

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14 Maggio, 2014

Valeria Pinto, Valutare e punire

by gabriella

pintoValutare e punire. Una critica della cultura della valutazione, Cronopio, Napoli, 2012.

 

I presupposti cognitivisti della valutazione

[…] l’identificazione – assunta spesso del tutto ingenuamente – della conoscenza con i processi computazionali, ovvero con quella che si può ben chiamare una considerazione disincarnata e disincarnante della conoscenza, una certa idea cognitivista. Essa distacca la conoscenza dai processi materiali e soggettivi che la materiano, distillando da un lato una conoscenza meramente funzionale e dall’altro dei portatori di conoscenza sempre più alieni (e alienati) dalla (e nella) conoscenza che ‘supportano’: soggetti neu(t)rali e neu(t)ralizzati, da rendere anzi sempre più tali, cioè sempre meno coinvolti e capaci di interferire con la conoscenza che sono chiamati a produrre. Si tratta di un’idea letteralmente ingegneristica della conoscenza, legata alla progettazione di ‘sistemi esperti’ e guidata dal principio metodico per il quale conoscere qualcosa vuol dire essere in grado di riprodurlo, ovvero essere sempre in grado di delucidare il proprio operato.

Sganciata dalle percezioni corporee, depurata dalle sensazioni e dai sentimenti, dalle fantasie come dai desideri e dai bisogni concreti, dalle aspettative come dalle rinunce, svincolata cioè dall’accidentalità e caoticità dei contenuti di cui è intessuta e del tutto aliena dalla capacità di formulare giudizi, interpretare e determinare svolte o decidere alcunché, questa idea di conoscenza si sposa fino a combaciarvi con le esigenze di controllo funzionale attive negli approcci di tipo sistemico. È un’idea di conoscenza concepita interamente sotto il segno della esecuzione, dell’ubbidienza senza sforzo e senza tentennamenti a un sistema di regole definito in anticipo, dall’esterno e dall’alto.
Le considerazioni di tipo sistemico sono divenute ormai un modello privilegiato per trattare le questioni della conoscenza e della sua organizzazione soprattutto a livello istituzionale, grazie alla loro efficacia in fatto di gestione e progettazione di realtà complesse. Le esigenze di ottimizzazione che la valutazione persegue si intrecciano qui con il principio fondamentale del rendere più lineari e definite le funzionalità di sistema. Ora, in un sistema non meccanico ma ‘socio-tecnico’ qual è il sistema della conoscenza, il maggior elemento di variabilità, divergenza e attrito è rappresentato dalle individualità che lo compongono. Un’esigenza di sistema prioritaria è quindi quella di depurare per quanto possibile i soggetti in gioco dal potenziale di disturbo o ‘rumore’ implicito in ciò che eccede la loro funzione di portatori indifferenti e fungibili della conoscenza. A quest’opera di neutralizzazione e contenimento necessaria all’autoconservazione del sistema la valutazione mette a disposizione la sua capacità di portare in luce, estrarre, rendere trasparente il sapere tacito, cioè trattenuto e/o disperso (due cose che non sono affatto opposte tra di loro) dai suoi possessori.

 

La recensione di Eleonora de Conciliis, da Kainós.

In un’epoca di conformismo gregario travestito da individualismo radical chic, e in un’università, come quella italiana, giunta a sua volta ad uno snodo epocale (ovvero alla definitiva trasformazione in agenzia formativa tra le altre, che vende saperi spendibili su un mercato del lavoro cognitivo ormai tragicamente saturo), Valeria Pinto, che in quest’università insegna come professore associato di filosofia teoretica, ha deciso di prendere posizione – una posizione abbastanza solitaria e quindi scomoda, per non dire paradossale, visto che il suo libro, foucaultiano fin dal titolo e documentato con un’acribia ironicamente coniugata all’impegno teorico, attacca frontalmente la logica della valutazione che ha generato il decreto ministeriale in virtù del quale la stessa Pinto dovrà essere valutata per accedere, o almeno aspirare al ruolo di professore ordinario.

Poiché mi sono formata nella stessa università nella quale si è formata e attualmente insegna Valeria Pinto (la “Federico II” di Napoli), e poiché sono reduce da un’animata discussione intorno a questi temi svoltasi nella sede della casa editrice che l’ha pubblicato (Cronopio), la mia recensione, più che illustrare il contenuto del volume (già ampiamente recensito su quotidiani e riviste) sarà una riflessione su quell’incontro ed anche – in parte – un dialogo con coloro che colà sono intervenuti.

Ciò premesso, il principale merito genealogico di questo libro rischiosamente ‘militante’ ma, come vedremo, assolutamente impolitico, consiste nel mostrare fino a che punto ciò che sembra ormai a molti docenti (universitari e non) qualcosa di assolutamente naturale, apriorico e indiscutibile – la docimologia quantitativa, il sistema dell’istruzione come sistema di servizio per un’utenza e, dulcis in fundo, le famose mediane dell’abilitazione scientifica nazionale – sia in realtà qualcosa di costruito, artificiale, storico, per non dire basso e volgare: allo sguardo illuminante e indocile della critica 1, la sacra triade ‘trasparenza, valutazione e merito’ non appare affatto come natura, ma come storia, così come storica e impura è la logica concorrenziale che si è innestata nelle menti dei valutatori.

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