I militari italiani internati (IMI) nei lager tedeschi furono 700.000.
Di loro, oltre 600.000 [tra cui mio nonno], davanti alla possibilità di aderire alla Repubblica di Salò ed essere liberati, rifiutarono, preferendo conservare la loro dignità di soldati, rigettare la guerra e respingere il fascismo, ora inquadrato con chiarezza nelle responsabilità condivise con l’alleato nazista.
Cinquantamila non tornarono.
Tra i novantamila che giurarono fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, moltissimi rientrarono in patria per disertare e per formare bande partigiane. In Liguria, sul Monte Rosa, interi battaglioni erano composti di soli IMI.
Come racconta Luca Borzani [La guerra di mio padre, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2013], si trattò di un fenomeno imponente che coinvolse quasi tre milioni di famiglie; un fenomeno, come osserva, Ercole Ongaro [Storia della Resistenza nonviolenta in Italia, Bologna, I libri di Emil, 2013] non compreso immediatamente dagli storici che, nel dopoguerra si concentrarono sui partigiani di montagna [al fine di difenderne la memoria, precocemente infangata].
Per capire chi erano bisogna leggere i due passi delle lettere ai familiari di Francesco Grasso e Giuseppe de Toni riferite da Ercole Ongaro.
Indice
1. Dall’intervista a Luca Borzani a Fahrenheit
2. Dall’intervista di Ercole Ongaro a Uomini e profeti
2.1 La lettera di Francesco Grasso
2.2 La lettera di Giuseppe de Toni
Commenti recenti