Intervistato sul legame tra immigrazione e meningite, il primario di Malattie Infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano, Adriano Lazzarin ha osservato che :
tra le ondate migratorie e i casi di meningite registrati in Italia non c’è nessun collegamento per due motivi: prima di tutto, perché in Africa è diffuso il meningococco di tipo A, mentre da noi si sono verificati finora soltanto casi di infezione riconducibili ai ceppi B e C. Bisogna poi considerare – continua Lazzarin – che il meningococco non lo “importiamo” dall’Africa, ma è già presente in Italia: secondo l’Istituto Superiore di Sanità nel nostro paese ci sono tra i 5 e i 10 milioni di portatori sani di meningococco. Quindi è molto più probabile essere contagiati da un italiano piuttosto che da un migrante.
Il post, riferisce Repubblica, ha già ottenuto 6mila like e oltre 9mila condivisioni e continuerà a circolare perché alla segnalazione del contenuto per la rimozione (“Il post insulta o attacca qualcuno in base a religione, etnia o orientamento sessuale”), il sito ha risposto che foto e messaggio “rispettano gli Standard della comunità” (sic).
This Latina journalist interviewed members of the KKK in North Carolina. She’s the first black person to ever set foot on their property. pic.twitter.com/i86cdvGowJ
Se c’è una parola che negli ultimi tempi è diventata buona per tutte le occasioni è “degrado”. Lo è un po’ dappertutto – basta fare una ricerca su Google per accorgersi di quanto questa parola sia penetrata in profondità nel dibattito pubblico – ma a Roma in particolare non si parla d’altro.
Il fascismo non è morto nel ‘45, al contrario, lasua visione del mondo (e la sua psicologia, come pensava Adorno) precedono la forma storica assunta nel ventennio e sono (malauguratamente) più longeve della dittatura mussoliniana.
Nel testo seguente, la tesi di Umberto Eco nei quattordici punti dell’articolo uscito sulla “New York Review of Books”, il 22 Giugno 1995. La traduzione italiana è tratta da Punk4free.
Eco titolò questo saggio Ur-fascism che in italiano è stato reso con Ur-fascismo, il fascismo perenne. Ho sostituito “persistente” a “perenne”, per segnalare da un lato la perniciosa resistenza dei tratti culturali e psicologici più elementari e inconsapevoli [che Adorno chiamò «etnocentrismo, personalità fascista o autoritaria»], dall’altro, l’assoluta contingenza e storicità di ciò che è umano, anche quando sembra eterno.
1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione
Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all’alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. “Sincretismo” non è solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti.
La più importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant’Agostino e Stonehenge, questo è un sintomo di Ur-Fascismo.
2. Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo
Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali.
Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l’aspetto superficiale di una ideologia basata sul “sangue” e la “terra” (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’eta’ della Ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna. In questo senso, l’Ur-Fascismo può venire definito come “irrazionalismo”.
3. L’irrazionalismo dipende anche dal culto dell’azione per l’azione
L’azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione.
Perciò la cultura é sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Dalla dichiarazione attribuita a Goebbels (“Quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola”) all’uso frequente di espressioni quali “Porci intellettuali”, “Teste d’uovo”, “Snob radicali”, “Le università sono un covo di comunisti”, il sospetto verso il mondo intellettuale è sempre stato un sintomo di Ur-Fascismo. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
4. Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica
Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l’Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento.
5. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità
L’Ur-Fascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
6. L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale
Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi “proletari” stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
7. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese
È questa l’origine del nazionalismo: inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale.I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia.
Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. In America, ultimo esempio dell’ossessione del complotto è rappresentato dal libro The New World Order di Pat Robertson.
8. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici
Quando ero bambino mi insegnavano che gli inglesi erano il “popolo dei cinque pasti”: mangiavano più spesso degli italiani, poveri ma sobri. Gli ebrei sono ricchi e si aiutano l’un l’altro grazie a una rete segreta di mutua assistenza. I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre, perché sono costituzionalmente incapaci di valutare con obiettività la forza del nemico.
9. Per l’Ur-Fascismo non c’è lotta per la vita, ma piuttosto “vita per la lotta”
Il pacifismo è allora collusione col nemico; il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. Questo tuttavia porta con sé un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici debbono e possono essere sconfitti, ci dovrà essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un’eta’ dell’Oro che contraddice il principio della guerra permanente. Nessun leader fascista è mai riuscito a risolvere questa contraddizione.
10. L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico
Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare”. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito.Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
11. In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe
In ogni mitologia l'”eroe” è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma. Questo culto dell’eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: “Viva la muerte”. Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L’eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L’eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
12. Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’Ur-Fascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali
È questa l’origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un gioco difficile da giocare, l’eroe Ur-Fascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
13. L’Ur-Fascismo si basa su un “populismo qualitativo”
In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza).
Per l’Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo piu’ bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”.
A ragione del suo populismo qualitativo, l’Ur-Fascismo deve opporsi ai “putridi” governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu:
“Avrei potuto trasformare quest’aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli.”
Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.
14. L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”
La “neolingua” venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell’Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico.
«Ausmerzen ha un suono dolce e un’origine popolare. È una parola di pastori, sa di terra, ne senti l’odore. Ha un suono dolce ma significa qualcosa di duro, che va fatto a marzo. Prima della transumanza, gli agnelli, le pecore che non reggono la marcia vanno soppressi».
E’ uscito, per le edizioni Età dell’Acquario, un testo sulla storia dei cagots, sottocasta di reiettinoti già alle fonti medievali, che condivisero con ebrei, eretici e streghe, una storia secolare di demonizzazione e persecuzioni. Quale esempio di biologizzazione di un gruppo umano identificato da una condizione sociale, un credo o una culturale, la storia dei cagots costituisce una delle pagine più esemplari e drammatiche della storia del razzismo in Europa. Quali bersaglio di colpevolizzazione, un esempio storico di capro espiatorio.
Sotto l’introduzione degli autori, Enrica Perucchietti e Paolo Battistel.
Il 21 giugno 1321 un editto emesso a Poitiers dal re Filippo V di Francia e Navarra ordinava la reclusione e l’eccidio dei lebbrosi che erano stati giudicati colpevoli di complotto. Le cronache riportano infatti che i malati – sotto tortura – avevano confessato di essersi alleati con gli ebrei per contaminare acque, fontane e pozzi [Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino 2008].
E’ poco noto che Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieucominciò la sua brillante carriera, in qualità di consigliere e poi presidente del parlamento di Bordeaux, agli inizi del diciottesimo secolo, difendendo la dignità di una casta di reietti, i cagots. Fu in quell’occasione che formulò le sue teorie egualitarie, seguendo questo ragionamento (pseudo-sillogismo):
le tirannie si fondano sulla paura > i cagots sono temuti > l’uguaglianza e la democrazia dovranno servire ad abolire la paura.
I cagots (variamente denominati Cagots, Gézitain, Chrestians, Gahets, Capots, Agots) della regione pirenaica Francese e Spagnola rappresentano il primo e uno dei più formidabili ed atroci esempi di biologizzazione di una categoria umana (cioè di naturalizzazione di una differenza culturale). Questi sfortunati esseri umani furono trasformati in una sub-specie, una casta di intoccabili segregati ed ostracizzati dal resto della popolazione.
Questo episodio della storia del razzismo è importante perché mostra che il razzismo era presente anche nei paesi mediterranei di tradizione greco-romana ed è possibile che in qualche modo questo fenomeno fosse collegato al tentativo di biologizzare le differenze culturali di Mori ed Ebrei nella Spagna dell’Inquisizione. Sappiamo infatti che l’Inquisizione impiegò medici spagnoli per determinare il grado di purezza razziale degli imputati (Alcalà, 1984) e lo stesso avvenne nella Germania nazista, quando ai medici genetisti (Erbarzt) venne richiesto di stabilire la proporzione di “ebraicità” dei certi cittadini tedeschi.
L’articolo sottostante, tratto da Popular Resistence, ricorda la storia rimossa degli zoo umani, una delle eredità più grottesche del colonialismo. L’articolo sottolinea come questo fenomeno disumano sia continuato fino al 1950.
Human zoos, is deeply embedded in our culture. Slavery of African people, ethnic cleansing of Native Americans and colonialist imperialism are seeds that intertwine to create racism that still has impacts today. One example of the sad human history of racism — of colonizers seeing themselves as superior to others — is the long history of human zoos that featured Africans and conquered indigenous peoples, putting them on display in much the same way as animals. People would be kidnapped and brought to be exhibited in human zoos. It was not uncommon for these people to die quickly, even within a year of their captivity. This history is long and deep and continued into the 1950s. Several articles below with lots of photos so we can see the reality of this terrible legacy.
Stralcio da Senzasoste alcuni passi del ritratto di Nelson Mandela, icona di un Sudafrica liberato dall’apartheid, ma non ancora dalla diseguaglianza di cui quel razzismo era giustificazione.
Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!
Nelson Mandela, 1980
Il carisma di Mandela, sopravvissuto a 27 anni di carcere nel Sudafrica dell‘apartheid, è stato sicuramente quello del liberatore. Quello di una figura, costruita da un popolo, che deve indicare un percorso di uscita dalla minorità e dalla schiavitù. Per tre quarti di esistenza la biografia politica di Mandela è stata questo.
Poi ci sono stati gli anni ’90, la fine dell’apartheid e il suffragio universale. Ma anche gli anni dell’ingresso a pieno titolo del Sudafrica nel mercato globale, dopo la fine delle sanzioni legate all’apartheid, grazie a quella corposa zona che sta tra diamanti, oro e finanza, ben presente negli affari dello stato africano. Mandela ha innegabilmente accettato e favorito questo processo e il suo partito, l’African National Congress, è diventato un organo di potere, tra ripetuti scandali di nepotismo e corruzione. Con condizioni di lavoro nelle miniere che restano inaccettabili. Come è inaccettabile la disparità sociale ancora presente, come 20 anni fa, in Sudafrica.
L’altro quarto di vita di Mandela, alla cui morte una delle figlie era al cinema con gli eredi al trono di Inghilterra, è stato quello di icona pop del capitalismo globale. Ma non si è trattato di quello che George Jackson, un grandissimo rivoluzionario nero, definiva un “negro bianco”. Ovvero un nero addomesticato dalle leggi del capitalismo dei bianchi. Si è trattato di un liberatore che ha accettato il capitalismo globale quasi fosse ineluttabile. Le cui scelte di politica estera sono scivolate verso un solido nazionalismo sudafricano.
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Agosto 2012, La polizia uccide 34 minatori a Marikana
Soweto
La lotta di Mandela e la solidarietà delle commesse di Dublino, ricordate dal TG1
Les damnés de la terre esce nel novembre 1961 nel corso della guerra d’Algeria, mentre Frantz Fanon, un giovane psichiatra impegnato nella lotta anticolonialista, è in fin di vita in un ospedale americano – dove muore l’8 dicembre. Il libro, che esce con la prefazione di Jean-Paul Sartre, viene immediatamente bandito in Francia per «attentato alla sicurezza interna dello stato».
Vous condamnez cette guerre mais n’osez pas encore vous déclarer solidaires des combattants algériens ; n’ayez crainte, comptez sur les colons et sur les mercenaires : ils vous feront sauter le pas. Peut-être, alors, le dos au mur, débriderez-vous enfin cette violence nouvelle que suscitent en vous de vieux forfaits recuits. Mais ceci, comme on dit, est une autre histoire. Celle de l’homme. Le temps s’approche, j’en suis sûr, où nous nous joindrons à ceux qui la font.
Jean-Paul Sartre
Il n’y a pas si longtemps, la terre comptait deux milliards d’habitants, soit cinq cents millions d’hommes et un milliard cinq cents millions d’indigènes. Les premiers disposaient du Verbe, les autres l’empruntaient. Entre ceux-là et ceux-ci, des roitelets vendus, des féodaux, une fausse bourgeoisie forgée de toutes pièces servaient d’intermédiaires.Aux colonies la vérité se montrait nue ; les « métropoles » la préféraient vêtue ; il fallait que l’indigène les aimât. Comme des mères, en quelque sorte.
L’élite européenne entreprit de fabriquer un indigénat d’élite ; on sélectionnait des adolescents, on leur marquait sur le front, au fer rouge, les principes de la culture occidentale, on leur fourrait dans la bouche des bâillons sonores, grands mots pâteux qui collaient aux dents ; après un bref séjour en métropole, on les renvoyait chez eux, truqués. Ces mensonges vivants n’avaient plus rien à dire à leurs frères ; ils résonnaient ; de Paris, de Londres, d’Amsterdam nous lancions des mots « Parthénon ! Fraternité ! » et, quelque part en Afrique, en Asie, des lèvres s’ouvraient : « … thénon !… nité ! » C’était l’âge d’or.
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