Un veloce confronto tra le due opposte visioni dello sviluppo infantile che affondano in due concezioni profondamente diverse dell’uomo e del suo rapporto col mondo.
Indice
1. Jean Piaget
1.1 L’intelligenza come processo attivo di adattamento
1.2 Il processo cognitivo
1.3 Lo sviluppo stadiale dell’intelligenza
1.4 Le implicazioni pedagogiche
2. Lev Vygotskij
2.1 La critica all’egocentrismo infantile di Piaget
2.2 Il linguaggio come prodotto sociale e base dell’intelligenza.
2.3 L’origine sociale dei processi psichici superiori
2.4 L’educazione e la zona di sviluppo prossimale
1. Jean Piaget
1.1 L’intelligenza come processo attivo di adattamento
Per Piaget, il bambino è predisposto fin da piccolo al pensiero intuitivo; è un bambino “competente”, capace di rappresentarsi il mondo attraverso mappe mentali coerenti e organiche.
Lo studioso pensava che l’intelligenza fosse un processo articolato e attivo che impegna il bambino fin dall’infanzia nell’interpretazione dei dati sensoriali e nella costruzione di significati. Come ogni altro fenomeno biologico, essa emerge dall’adattamento dell’individuo all’ambiente.
Piaget cercò di superare la classica contrapposizione fra costruttivismo ed innatismo immaginando un soggetto che non risponde passivamente agli stimoli esterni, ma non è nemmeno è il veicolo di idee innate.
Insistette su una conoscenza intesa come costruzione attiva dell’individuo, vista, quindi, non come uno stato, ma come un processo, cioè un’interazione costante fra il soggetto e il mondo esterno nella quale il soggetto costruisce le proprie strutture mentali in un rapporto attivo e non semplicemente ricettivo con gli stimoli esterni.
In questo senso, Piaget pensava che l’intelligenza fosse la migliore capacità di adattarsi attivamente all’ambiente: intelligente è, quindi, dal suo punto di vista, il comportamento appropriato alle richieste dell’ambiente. Lo sviluppo dell’intelligenza avviene per stadi (o fasi): l’intelligenza, come vedremo, ha origini senso-motorie per sviluppare poi strutture cognitive capaci di astrazione.
1.2 Il processo conoscitivo
Questo processo di sviluppo avviene mediante delle regole di funzionamento generale che governano tutte le attività della persona e che Piaget chiama invarianti funzionali.
Questi sono, appunto, l’adattamento, che Piaget distingue in assimilazione e accomodamento, e l’organizzazione, cioè l’accordo del pensiero con le cose e del pensiero con se stesso.
Le strutture cognitive del bambino piccolo sono chiamate schemi.
Ogni schema è una totalità organizzata che, nell’interazione con l’ambiente, si generalizza e si coordina con altri schemi d’azione per costruire strutture più complesse.
Ad esempio, lo schema suzione, inizialmente manifestato a vuoto, si coordina poi con gli schemi visione, motricità e prensione, per guardare un oggetto in movimento, allungare il braccio, prenderlo e portarlo alla bocca per succhiarlo.
Solo quando gli schemi di azione diventano schemi mentali e si organizzano in unità più ampie, si può parlare di vera struttura mentale (nei primi 7-8 anni di vita del bambino).
L’assimilazione è il processo di incorporazione di dati dell’esperienza all’interno degli schemi (o strutture) che l’individuo possiede e che non vengono, quindi, modificati dall’incontro con stimoli nuovi.
Nel processo di assimilazione, le informazioni provenienti dall’ambiente vengono filtrate dalla struttura cognitiva del bambino; la realtà circostante viene quindi adeguata all’organizzazione cognitiva che ha già maturato.
L’accomodamento è invece il processo inverso, per cui lo schema si modifica per accogliere i nuovi dati dell’esperienza.
Ad esempio, dopo la fase dell’oralità, il bambino interviene sugli oggetti in modo diverso: li manipola, li getta, li compone: lo schema iniziale dell’esplorazione orale si è modificato, accomodato, attraverso i nuovi stimoli di cui il bambino ha fatto esperienza.
L’organizzazione indica il fatto che il pensiero tende a essere costituito da strutture, le cui parti sono integrate in modo da formare un insieme che orienta il comportamento e consente all’individuo di comprendere la realtà e attribuire significato all’esperienza.
1.3 Lo sviluppo stadiale dell’intelligenza
Avendo notato che in alcuni momenti dello sviluppo prevale l’assimilazione, in altri l’adattamento, Piaget sviluppò la distinzione degli stadi dello sviluppo cognitivo, individuando 4 periodi fondamentali, invariabili da individuo a individuo: lo stadio sensomotorio; lo stadio preoperatorio, lo stadio operatorio concreto e lo stadio operatorio formale.
Lo stadio sensomotorio (dalla nascita fino ai due anni): caratterizzato da un’attività essenzialmente percettiva nella quale il bambino parte da semplici schemi innati (riflessi) per arrivare all’acquisizione dei primi schemi motori (la prima forma di adattamento); il bambino è assolutamente egocentrico (egocentrismo radicale o adualismo) e non distingue il mondo da se stesso.
È intorno ai sei mesi che comincia a farsi un’idea di sé come entità separata dalle altre in un mondo di cose indipendenti, superando l’egocentrismo assoluto.
Lo stadio preoperatorio (2-7 anni): caratterizzato dall’inizio dell’attività simbolica, rivelata dal linguaggio verbale, dall’imitazione differita (imitare un’azione a distanza di tempo) e dal gioco simbolico (fingere di mangiare, di bere, di dormire) e dall’egocentrismo, cioè l’incapacità di concepire punti di vista differenti dai suoi.
Il bambino riesce a rappresentarsi un’azione con il pensiero, ma non è in grado di compiere operazioni con il pensiero, cioè di modificare tramite il pensiero i dati percettivi di un’attività motoria.
In questa fase, il dominio della percezione impedisce l’impiego della logica, carenza a cui il bambino supplisce con la sola intuizione. Il bambino, quindi, non è in grado di compiere una seriazione o una classificazione.
Lo stadio delle operazioni concrete (7-11 anni): il bambino conquista la capacità di compiere operazioni mentali (o intellettuali) sugli oggetti, ma solo con un riferimento concreto a oggetti materiali e ad azioni reali.
Le azioni interiorizzate si coordinano e si raggruppano per dar luogo a delle strutture di insieme, appunto le operazioni intellettuali, caratterizzate dalla reversibilità: ogni azione è collegata logicamente alla sua inversa.
Il bambino, pertanto, è in grado di compiere le più importanti e basilari operazioni logiche, ovvero classificare e costruire delle serie, riesce così a effettuare delle operazioni aritmetiche di numerazione.
Acquisisce la nozione di conservazione della sostanza, dei liquidi, del peso, del volume, ecc. nonché le nozioni di tempo, spazio, velocità, causa, caso, che costituiscono le operazioni infra-logiche.
Lo stadio delle operazioni formali (da 11 anni): il pensiero non esige più il sostegno dell’esperienza, né di schemi d’azione o di supporti materiali, ma procede da dati teorici e si esercita su ipotesi, lavora con concetti astratti e ricava conclusioni logiche attraverso deduzioni e induzioni: utilizza il procedimento ipotetico-deduttivo: il bambino sviluppa così il pensiero scientifico, oggettivo.
Parallelamente allo sviluppo intellettuale, si forma anche il giudizio morale. Il bambino passa infatti dall’anomia tipica dell’egocentrismo originario all’eteronomia dell’esteriorità della regola e dell’obbedienza all’adulto, fino all’interiorizzazione delle regole morali e all’autonomia, stimolata dalla cooperazione con gli altri e dalla reciprocità.
1.4 Le implicazioni pedagogiche
In questo quadro, l’insegnante non è qualcuno che trasmette un sapere cristallizzato, ma colui che aiuta il bambino a problematizzare l’esperienza, rendendolo consapevole delle proprie costruzioni mentali.
L’educazione non può precedere lo sviluppo, ma solo seguirlo, perché gli apprendimenti sono sostanzialmente l’esito di uno sviluppo biologico che procede per stadi.
L’epistemologia genetica di Piaget ha, dunque, fornito all’attivismo pedagogico una base scientifica.
Poiché il bambino non impara in modo passivo, ma attraverso un’assimilazione attiva in rapporto all’ambiente, è infatti importante che la scuola sia organizzata in modo da permettere questa modalità di apprendimento.
In virtù di questa concezione, per Piaget l’intelligenza precede il linguaggio. La visione opposta è invece presente in Vygotskij e nella scuola storico-sociale.
2. Lev Vygotskij
la natura psicologica dell’uomo rappresenta l’insieme delle relazioni sociali trasportate
all’interno e divenute funzioni della personalità e forme della sua struttura
Nonostante la sua morte precoce e la doppia censura subita prima in Unione sovietica, poi negli Stati Uniti (quando, negli anni ’70, il suo Pensiero e linguaggio, scritto nel 1934, fu pubblicato), Lev Vygotskij rappresenta la più importante alternativa all’epistemologia genetica di Piaget.
Vygotskij nacque in Bielorussia nel 1896, studiò poi a Mosca dove si trasferì definitivamente dopo aver raggiunto una grande notorietà con le sue ricerche di psicologia dello sviluppo che evidenziano i limiti del modello piagettiano.
2.1 La critica all’«egocentrismo infantile» di Piaget
Dal punto di vista teorico, lo psicologo sovietico ha criticato l’assunto dell’«egocentrismo infantile» con cui Piaget riconduce a unità i vari elementi che caratterizzano la logica de bambino, trasformando una massa di tratti caotici e disordinati in un tutto strutturato di fenomeni spiegato da una causa.
2.2 Il linguaggio come prodotto sociale e base dell’intelligenza
Vygotskij sostiene, invece, che lo sviluppo del pensiero non va dall’individuale al sociale, ma segue la direzione inversa e che il linguaggio non segue il pensiero, ma lo precede.
L’idea centrale della prospettiva di Vygotskij è, infatti, che lo sviluppo della psiche è guidato e influenzato dal contesto sociale, quindi dalla cultura del particolare luogo e momento storico in cui l’individuo si trova a vivere e che provoca quindi delle stimolazioni nel bambino, e si sviluppa tramite “strumenti” (come il linguaggio) che l’ambiente mette a disposizione.
Dunque, mentre per Piaget, il linguaggio egocentrico non aveva una funzione importante nello sviluppo del bambino, per Vygotskij il ruolo socializzante del linguaggio è fondamentale nello sviluppo cognitivo, perché la coscienza è appunto il prodotto dello sviluppo dell’uomo nella società.
La coscienza infantile, quindi, non emerge dallo sviluppo biologico, ma è un prodotto della socializzazione.
Di conseguenza, anche il rapporto sviluppo/apprendimento non è un rapporto causale: se per Piaget esso doveva seguire gli stadi d’apprendimento, per Vygotskij al contrario, è un agente socializzante che attiva l’evoluzione della mente infantile.
Si tratta del completo rovesciamento della prospettiva di Piaget: l’individuo non diventa sociale, lo è originariamente, ed è attraverso le sue interazioni sociali che si individualizza. La relazione tra l’individuale e il sociale è una relazione dialettica: il linguaggio come tutti i prodotti culturali, è indissociabile dal suo impiego sociale.
2.3 L’origine sociale dei processi psichici superiori
In virtù di tale caratteristica, i processi psichici superiori (pensiero, linguaggio, memoria) non hanno un’origine naturale, ma sociale e li si può comprendere solo prendendo in considerazione la storia sociale.
Secondo Vygotskij e, successivamente, Bruner, l’intelligenza si sviluppa quindi a partire dalla negoziazione sociale del significato ed ha dunque natura relazionale: pensiero e linguaggio procedono insieme.
L’aspetto caratteristico dello sviluppo, per Vygotskij, è dunque la sua socialità.
Ne segue che se per Piaget, il lavoro pedagogico deve essere commisurato alla maturità cognitiva del bambino, per Vygotskij, al contrario, perché l’apprendimento sia fecondo il maestro deve lavorare sull’area prossimale (o potenziale) di sviluppo.
E’ l’adulto e la relazione educativa, insomma, a fornire al bambino il supporto su cui salire per costruire la propria conoscenza. Lo sviluppo umano dipende quindi dalla dimensione sociale dell’educazione.
Felice Cimatti, L’individuo è l’essere sociale. Marx e Vygotskij
2.3 L’educazione e la zona di sviluppo prossimale
Ciò conferisce all’educazione un ruolo centrale, anche perché ci sono momenti ottimali, età sensitive, in cui gli adulti possono intervenire per incrementare le capacità di apprendimento del bambino. Vygotskij parla di una «zona prossimale di sviluppo» in ogni bambino, uno stato di sviluppo intellettivo effettivo che, con l’aiuto di un adulto o di un compagno, può aumentare la sua portata:
«in collaborazione, sotto la direzione e con l’aiuto di qualcuno, il bambino può sempre fare di più e risolvere problemi più difficili di quando agisce da solo».
Per Jean Piaget la pressione dell’ambiente non ha effetto sul sistema nervoso (il bambino impara interagendo da sé sugli oggetti) mentre per Vygotskij è l’ambiente culturale a consentire lo sviluppo cognitivo.
Il salto qualitativamente superiore delle abilità cognitive avviene secondo Vygotskij tramite età stabili ed età critiche, la relazione fra queste consente lo sviluppo cognitivo.
Le età stabili sono quei periodi di vita in cui i cambiamenti sono minimi ma che con l’accumularsi portano alla creazione di età critiche che consentono il passaggio allo stadio successivo. Queste crisi sono importanti perché se superate correttamente garantiscono uno sviluppo cognitivo corretto nel bambino.
La psiche non è altro che il riflesso delle condizioni materiali, le quali possono essere modificate e trasformate in prospettiva di un fine concreto.
Vygotskij accetta l’ipotesi che la struttura base dei processi psichici sia la sequenza stimolo-reazione, ma in merito a processi psichici superiori (il livello delle funzioni intellettive) inserisce un nuovo elemento: lo stimolo mezzo. Lo stimolo-mezzo è uno stimolo “creato” dall’uomo; è utilizzato per instaurare un nuovo rapporto stimolo-risposta e promuovere lo svolgimento del comportamento in una direzione diversa. In particolare egli studia l’importanza dell’uso di strumenti e simboli nello sviluppo umano come stimoli-mezzo.
L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustra il concetto di stimolo-mezzo è quello del fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione e l’azione-risposta. Il comportamento umano non è quindi per Vygotskij la semplice interazione fra stimoli e risposte, ma è mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni (il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.
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