La logica del razzismo

by gabriella
Oleg Shuplyak, Due tipi della stessa razza

Oleg Shuplyak, Due tipi della stessa razza

Due testi utili all’analisi del dispositivo razzista: lo stralcio iniziale della recensione di Maurizio Iacono, L’eterno ritorno del diverso al libro di Alberto Burgio, La guerra delle razze e il nuovo ordine mondiale [Il Manifesto, 6 luglio 2001] e una scheda sul libro di Burgio, Gabrielli, Il razzismo. Qui, Il razzismo è una brutta storia, una ricerca condotta dagli studenti di alcune scuole superiori sui temi dell’integrazione razziale e della lotta al razzismo.

Che cos’è la naturalizzazione? E’ quel processo che fa sembrare come naturali fenomeni ed eventi che sono storici. Qual è l’effetto della naturalizzazione? Far apparire eterne e immodificabili situazioni, relazioni, condizioni in modo da legittimarle nella loro conservazione e permanenza. Il processo di naturalizzazione è qualcosa che risulta dalla trasfigurazione di un bisogno reale, il bisogno di essere rassicurati attraverso una perversione del senso di permanenza e di stabilità. Questo, invece di accompagnarsi al mutamento, si trasforma in un’immutabilità garantita dalla natura e da ciò che appare naturale. Da questo punto di vista, dire che la schiavitù esiste per natura e dire che gli uomini sono eguali per natura esprimono lo stesso errore epistemologico: entrambe le affermazioni delegano a un legge esterna, naturale quel che appartiene ai rapporti storici fra gli uomini. Per solito tuttavia la naturalizzazione ha funzionato e funziona soprattutto per far soggiacere le alterità e le diversità al mantenimento e alla perpetuazione delle disuguaglianze.

L’idea di razza e il razzismo appartengono sicuramente all’ambito della naturalizzazione. Ed entro tale contesto Alberto Burgio sta conducendo un’intelligente ricerca filosofica e storica che è anche una lotta contro il razzismo. Burgio, in questa direzione, è al suo secondo libro. In precedenza aveva pubblicato L’invenzione delle razze. Studi sul razzismo e revisionismo storico (manifestolibri, 1998) di cui ora esce quello che egli stesso aveva definito il complemento ideale, La guerra delle razze. L’ipotesi teorica centrale dei due libri è che l’ideologia razzista, in ogni sua variante, si colloca

su un dispositivo ideologico unitario: la trascrizione in termini naturalistici delle identità storiche, la loro naturalizzazione.

A differenza del precedente, La guerra delle razze è più attento ai dati empirici e alle questioni di attualità sociale, dal dibattito sulla definizione dell’epoca attuale all’identificazione della figura di Haider nell’ambito del razzismo contemporaneo, ai mutamenti incorsi nel mondo a partire dalla Guerra del Golfo, alla questione dei fondamentalismi.

Nell’intenso capitolo intitolato ‘Razze’ in guerra – che di fatto funge da introduzione ma soprattutto da asse centrale dell’interpretazione del concetto di razzismo – Burgio constata che ancora una volta, pur nel grande cambiamento storico-politico degli ultimi anni, il razzismo si mostra dietro il velo della naturalizzazione e che non è il caso di illudersi: l’orrore dei lager non ha prodotto nessun efficace antidoto.

Oggi come ieri – scrive -, la trasformazione di gruppi umani in ‘razze inferiori‘ si compie in forza della traduzione in termini naturalistici di loro caratteri storicamente determinati. E come in passato (nell’intero processo di sviluppo della modernità), la funzione del razzismo consiste tuttora nella legittimazione di pratiche discriminatorie (sino al genocidio) in cui si riverbera la schizofrenia della modernizzazione, il suo procedere in forza di un inestricabile intreccio tra dinamiche inclusive e processi di esclusione, di un contraddittorio impasto di universalismo e privilegio.

Alberto Burgio, Gianluca Gabrielli, Il razzismo

1670-5 Razzismo_F-?_cop_12-20:12-20“Il razzismo resiste, si mimetizza in forme nuove e dà preoccupanti segni di ripresa”: dunque è necessario continuare ad analizzarlo senza mai cedere alla tentazione di pensare di conoscerlo, e dunque di sapere come combatterlo, una volta per tutte. Da questa premessa nasce il libro di Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli, recentemente pubblicato da Ediesse Il razzismo: una utile ricostruzione storica delle radici del razzismo moderno, indispensabile per comprendere sino in fondo i dispositivi logici e i processi cognitivi che sottendono le teorie e le pratiche razziste del nostro tempo.

Il libro ripercorre l’evoluzione del razzismo dagli inizi dell’età moderna ad oggi partendo da una tesi ben precisa:

Il razzismo non è un effetto collaterale della modernità, tanto meno un suo corollario accidentale. Nella misura in cui costituisce un’efficace strategia di legittimazione del dominio e delle sue implicazioni più caratteristiche (inferiorizzazione, esclusione, discriminazione, spoliazione, persecuzione), il razzismo è un’istituzione chiave della modernità, uno dei capitoli fondamentali della sua biografia “morale e intellettuale”.

La ricostruzione della storia del razzismo moderno serve agli autori per dimostrare l’esistenza di una configurazione unitaria del discorso razzista, di una logica comune che sta alla base delle ideologie razziste, pur assumendo esse forme diverse (mimetizzazioni) nei vari contesti storici e sociali. Gli elementi costitutivi di questo dispositivo logico, secondo gli autori, sono la costruzione simbolica delle “razze”, l’istituzione di nessi psico-fisici dei quali il razzismo afferma la durata nel tempo e la trasmissione ereditaria ma anche l’impossibilità di definire a priori i gruppi umani suscettibili di razzizzazione in quanto, essendo le “razze” delle invenzioni, qualsiasi gruppo umano può essere inferiorizzato.

Il fatto che le razze umane non esistano (in quanto realtà di fatto) non impedisce loro di esistere (in quanto creazioni simboliche).

Gli autori si chiedono perché né la memoria storica né la scienza riescono a impedirlo e forniscono questa risposta:

Propaganda nazista, Ebreo usuraio

Propaganda nazista, Ebreo usuraio

Il fatto è che la guerra tra le ideologie non si svolge in un’aula universitaria, ma su quel terreno impervio e vischioso, soggetto a ogni sorta di influenze e manipolazioni, che è il senso comune. Le ideologie si affermano (e sono capaci di suscitare senso e mobilitazione) non in quanto scientificamente fondate, ma perché capaci di rispondere a bisogni sociali concreti e diffusi.

La ricostruzione storica proposta nel libro che attraversa la storia dell’antisemitismo, ripercorre il razzismo coloniale ottocentesco, ricorda l’evoluzione del razzismo nei confronti dei neri negli Stati Uniti e le politiche di apartheid Sud-africane, svela i germi dei nuovi razzismi dei nazionalismi europei di fine ottocento, riporta alla memoria gli orrori del nazismo e giunge alla storia Europea e italiana più recente, riesce ad esplicitare in modo efficace i dispositivi logici comuni, ma anche la ricorrenza di alcuni elementi di contesto che, pur non determinando da soli la diffusione della xenofobia e del razzismo, concorrono al suo successo.

Le “incertezze” prodotte dalla modernizzazione industriale a fine ottocento fanno da sfondo alla diffusione dell’antisemitismo in Francia in Austria, in Germania e in Russia: la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion (1895) dimostrò secondo gli autori come

l’odio antisemita riuscisse a cementare un blocco sociale ampio e variegato, convogliando contro gli ebrei le inquietudini e i risentimenti di ceti e soggetti politici anche molto distanti tra loro.

Allo stesso modo le “incertezze” prodotte dalla globalizzazione a fine novecento hanno favorito la comparsa di nuove forme di razzismo e xenofobia grazie al loro utilizzo strumentale da parte di partiti e movimenti politici interessati a costruire, con la creazione di nuovi capri espiatori (i rom, i migranti, gli omosessuali, i musulmani e così via), il proprio consenso.

Comuni ai diversi razzismi sono i meccanismi di inferiorizzazione, gerarchizzazione, discriminazione e persecuzione del gruppo prescelto, di volta in volta, come bersaglio. Comune (anche se spesso mascherata) la costruzione della “razza” sulla base di una connessione arbitraria tra caratteri fisici e caratteri morali che si presume caratterizzino il gruppo stigmatizzato. Il mito dell’ebreo usuraio “per natura”, autore di omicidi rituali di bambini o untore, diffuso a partire dal 1500 non è poi così diverso dal mito dello “zingaro rapitore di bambini” che continua incredibilmente a trovare un consenso ancora oggi. La giustificazione dell’enorme espansione coloniale di fine ottocento con “la volontà di estendere la civiltà a popoli arretrati e inferiori” non è poi così diversa dalle giustificazioni addotte per l’avvio delle nuove guerre “umanitarie” del nostro tempo.

Manifesto del Tea Party, Obama assimilato alle scimmie

Manifesto del Tea Party, Obama assimilato alle scimmie

Kyenge

Montaggio su Fb dopo le dichiarazioni di Calderoli sulla somiglianza di Cécile Kyenge ad un orago

La “bestiarizzazione” del gruppo inferiorizzato caratterizza il razzismo contro i neri negli Stati Uniti, le repressioni della rivoluzione algerina, l’ideologia nazista, il sessismo, ma anche molta propaganda razzista islamofoba e anti-rom degli ultimi trent’anni di storia italiana. Per altro, ci aiutano a ricordare gli autori, può poggiare su una ricca tradizione di pensiero che sin dalla fine del settecento postula un collegamento tra gli aspetti fisici e gli aspetti psichici degli esseri umani costruendo sulla loro base un sistema di gerarchizzazione e la legittimazione di differenze tra gruppi umani considerate “naturali”: da Petty a Voltaire, da Camper a Virey, da Lawrence a Lombroso, da De Gaubinau a Le Bon (l’ispiratore di Hitler).

Le teorie razziste sono oliste, essenzialiste e deterministe:

Una ragione del successo del dispositivo razzista consiste proprio in questo: nel fatto che esso traduce in termini naturalistici caratteristiche storicamente determinate di individui e gruppi ancorando dinamiche sociali a un terreno immutabile e non soggetto a revoche di legittimazione.

Il racconto di Miguel: "Io insultato e riempito di sputi perché nero, ma vivo in Italia da 18 anni"

"Non è una cosa bella, sentirsi dare del negro così a buffo, poi sputarmi in faccia…"Lo sfogo e le lacrime di Miguel, in Italia da 18 anni e insultato perché nero: http://fanpa.ge/RbzEP

Publié par Agorà Fanpage.it sur vendredi 16 février 2018

Il libro ha anche il merito di ricordare perché il mito degli “italiani brava gente” è, appunto, il frutto di una rimozione: non ha dato il proprio terribile contributo al razzismo solo il regime fascista con l’approvazione delle Leggi razziali, ma anche l’Italia risorgimentale, sebbene con un razzismo non codificato (viene ricordato l’istituto del madamato in base al quale i colonialisti italiani erano usi “affittare” le donne eritree e stringere matrimoni temporanei per poi abbandonarle al ritorno in patria) e il movimento irredentista con il suo razzismo anti-slavo. Per non parlare del razzismo anti-meridionale che trovò in Alfredo Niceforo, allievo di Lombroso, uno dei suoi più importanti teorici.

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