Recalcati esamina le distorsioni educative della scuola contemporanea (non solo, ma soprattutto, italiana): la stupidità valutativa, il ripiegamento su un insegnamento trasmissivo, la finalizzazione della didattica al principio di prestazione, ma anche la rinuncia ad insegnare davvero una disciplina, un campo del sapere, a vantaggio di una generica accoglienza che lascia i giovani privi di «quel trasporto erotico verso la cultura che costituisce il vero antidoto per non smarrirsi nella vita». Tratto da Repubblica, 20 settembre 2013.
In queste settimane che la Scuola riapre le sue porte auguro che ogni insegnante ritrovi il senso del suo lavoro – bistrattato e umiliato economicamente e socialmente – come uno tra quelli più decisivi nella formazione dell’individuo. Auguro loro di saper ritrovare passione nello spiegare una poesia di Ungaretti, le leggi della termodinamica, la deriva dei continenti, una lingua nuova, la bellezza formale di una operazione di matematica o di un teorema di geometria.
Auguro che la loro parola riesca a tenere vivi gli oggetti del sapere generando quel trasporto amoroso ed erotico verso la cultura che costituisce il vero antidoto per non smarrirsi nella vita. Nel nostro tempo la scuola di ogni ordine e grado sembra ridotta ad un “esamificio”. L’impeto della valutazione vorrebbe imporre scansioni dell’apprendimento uguali per tutti. Sempre più si sta imponendo una scuola che il “sogno” di un recente ministro della pubblica istruzione codificava con le tre “i” (impresa, inglese, informatica), cioè una scuola fondata sul principio di prestazione.
Un catalogo delle critiche di senso comune alla scuola e della loro vacuità, in un bell’articolo apparso il 5 novembre 2015 su Letteraturaenoi.it.
Leggerlo aiuta a comprendere cosa si sta chiedendo agli insegnanti e cosa significhino concretamente idee di grande appeal come (solo per fare degli esempi) progettare di tenere aperte le scuole d’estate, di notte o di domenica (quando chi insegna deve studiare) o, quali conseguenze sulla qualità degli apprendimenti abbiano soluzioni meno note al grande pubblico come l’apertura delle “cattedre” di insegnamento (vale a dire la possibilità di essere chiamati a insegnare materie “affini” a quelle per le quali si è “abilitati”).
Domenica 25 ottobre, sulla Domenica del Sole 24 ore è uscito un breve articolo a firma di Angelo Bardini e Gilberto Corbellini sull’utilità delle nuove tecnologie per la didattica. In realtà i due autori hanno scelto per le proprie considerazioni un orizzonte ben più vasto di quello delle sole TIC e mettono in campo considerazioni più generali sui processi di innovazione scolastica e didattica. Quest’articolo a me pare un buon esempio di un certo modo di parlare di scuola, motivato da buone intenzioni e corredato da proposte pratiche, ma ideologicamente insidioso e, per certi versi, irricevibile. Penso perciò che sia possibile, partendo da esso, tentare una generalizzazione e dire che cosa in questo genere di discorso convinca poco: a mio avviso quattro idee.
Prescrizione di saperi e competenze “assolutamente necessari” al docente (del futuro)
Tutti parlano di scuola. Tutti hanno un’opinione su perché essa non funzioni e su che cosa in essa andrebbe assolutamente riformato, o rivoluzionato. In questo coro infinito si distinguono, naturalmente, le opinioni degli esperti, fondate su saperi meno vaghi del comune buon senso (o della comune insensatezza) e su una maggior cognizione di causa.
Tuttavia, poiché la scuola è un luogo complesso, poiché molti sono i fattori dell’apprendimento, poiché molte sono le cose che gli insegnanti dovrebbero sapere o saper fare per essere buoni insegnanti, gli esperti che sono in diritto di esprimere la propria opinione, o addirittura di prescrivere indirizzi d’azione, sono molti. (E bisognerà ammettere che il loro diritto di parola è, in effetti, del tutto legittimo).
Il problema è che la forma generale nella quale di solito si esprimono tali opinioni e prescrizioni è la seguente:
«Gli insegnanti sanno poco o niente dell’argomento X (o dei suoi più recenti sviluppi) e bisognerebbe provvedere ad aggiornarli con urgenza».
Posted in Scuola Pubblica | Commenti disabilitati su Daniele Lo Vetere, La scuola sotto tutela. A proposito di un certo modo di parlare di didattica e insegnanti
Ho scritto questo articolo durante il ministero Profumo, quando i test INVALSI non erano ancora uno degli strumenti di valutazione delle scuole. Vi commentavo un testo pionieristico degli anni ’60 [alcuni stralci in fondo all’articolo], con cui Burrhus Skinner aveva provato a reinterpretare, ad un decennio dalla loro introduzione nella scuola americana, le “macchine per insegnare” (computer-assisted instruction) che aveva teorizzato nel contesto dell’applicazione alla didattica della psicologia comportamentista.
In queste riflessioni, Skinner ribadiva che le macchine per insegnare non costituiscono soltanto una innovazione tecnica ma rappresentano l’attuazione di nuovi princípi nel campo dell’insegnamento. Esse permettono infatti di “accelerare l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul rinforzo del comportamento corretto (l’insegnamento qui è semplice addestramento).
Questa tecnologia richiede però la ridefinizione degli obiettivi educativi non più in termini di “capacità da migliorare”, o di “processi mentali da sviluppare”, ma di comportamenti, prestazioni che si desidera produrre come risultato (osservabile e verificabile) dell’apprendimento [è questo il fondamento epistemologico dei test INVALSI].
Nella riflessione di Skinner è dunque già contenuta l’analisi di un modello scolastico le cui retoriche sono tratte dal linguaggio, familiare agli insegnanti, del cognitivismo (la didattica per competenze), ma i cui obiettivi sono quelli comportamentisti della riduzione dell’insegnamento ad addestramentoa compiti più o meno sofisticati e della rinuncia all’educazione di una generazione: il programma della decostituzionalizzazione della scuola italiana, della nuova Zuchtung (in versione decisamente peggiorativa rispetto a quella conformistica, ma formativa, cheNietzsche detestava).
L’articolo presenta brevemente la psicologia e l’antropologia comportamentiste, segue una breve illustrazione della pedagogia e della didattica computer assisted e uno stralcio della riflessione critica di Skinner a dieci anni dalla sperimentazione negli USA delle macchine per insegnare. Qui, invece, la mia proposta didattica (rivolta ad un quinto liceo) in relazione ai test a risposta chiusa: Fighting (the fear of) the test.
Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta.
Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione.
Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi.
Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese.
Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.
Per il capitale, «il tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale e sia pure nella terra dei sabbatari [sono] fronzoli puri e semplici».
Il massacro della scuola pubblica è in atto ormai da anni. La diminuzione delle risorse e i tagli lineari, che comunque non coinvolgono le scuole private, paritarie o meno, sono accompagnati da una tendenza alla ristrutturazione in senso aziendalistico che trasforma i presidi in manager (dirigenti scolastici) e gli insegnanti in «facilitatori», che non devono più trasmettere un sapere, ma aiutare gli studenti a produrre il proprio partendo dalle conoscenze in loro possesso, senza forzarli in alcuna direzione. Una maieutica senza ricerca della verità.
Delicata e ironica la lettera di saluto della 5B alla sua insegnante in questo video che è anche un documento etnografico della povertà materialedi una scuola che, quando funziona, si aggrappa alle relazioni per sopportare il degrado presente mentre, quando non ci riesce – non è il caso di questa fortunata classe e di quest’ottima collega -, riproduce nell’anima quel deserto esteriore.
Insegnare ed essere professore per Gilles Deleuze, in un frammento dell’intervista nota come L’Abécédaire de Gilles Deleuze, messa in onda da Arte dopo la sua morte (4 novembre 1995). La versione sottostante è sottotitolata in spagnolo.
Parnet: Oggi hai 64 anni e durante gli ultimi quaranta sei stato professore. Prima al Liceo, poi all’Università. Dunque quest’anno è il primo in cui le tue settimane sono senza lezioni. Ti mancano? Anche perché tu dicevi di aver tenuto con passione i tuoi corsi. Ti manca oggi, non tenere corsi?
Deleuze: No, per niente, per niente. E’ vero che ciò è stato la mia vita, una parte della mia vita molto importante. Ho amato profondamente fare lezione, però quanto sono andato in pensione sono stato felice perché avevo meno voglia di insegnare. E’ molto semplice la questione dell’insegnamento. Io credo che tenere lezioni sia .. ha il suo equivalente in altri campi .. ma credo che un corso sia qualcosa che si prepara moltissimo e questa è forse la ricetta di molte attività, se si vogliono cinque, dieci minuti o più di ispirazione, allora bisogna prepararsi molto, moltissimo, per avere questo momento. Allora io mi rendevo conto che più andavo avanti, più lo facevo, e amavo farlo, dovevo prepararmi molto per avere questi momenti d’ispirazione. E più andavo avanti e più dovevo prepararmi a lungo per avere un’ispirazione sempre più modesta. Quindi era ora (ride) e non mi è piaciuto affatto, perché fare lezione è qualcosa che ho amato più di altre cose di cui avevo meno bisogno. Allora ciò che mi resta è scrivere, non pone problemi, ma non mi piace affatto. Però ho amato profondamente fare lezione, si.
Parnet: E per esempio, quando dici “prepararsi molto”, quanto tempo ti prendeva prepararti?
Questa è la lettera che gli insegnanti della scuola in cui lavoro hanno inviato ai genitori dei propri studenti per invitarli a sostenere la battaglia della scuola in difesa dell’istruzione pubblica.
Caro genitore,
il motivo per cui abbiamo deciso di metterci in agitazione è che vogliamo lottare contro lo spread. Anzi contro gli spread. Lo spread più famoso in Italia è la differenza tra il rendimento dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi, cioè quelli più virtuosi d’Europa, ed è espresso in punti base (ogni punto percentuale vale cento punti base). Quello che a 450 punti cadono i governi.
Ecco gli spread contro i quali noi vorremmo combattere (mentre il governo sembra non volerlo fare).
Primo spread: la dispersione scolastica (cioè quanti tra i 24 e i 64 anni hanno come massimo titolo di studio la licenza media). 3720 punti. Questa è la differenza tra il paese più virtuoso d’Europa, la Lituania, e l’Italia. In Italia il 45,2% delle persone tra 24 e 64 anni ha soltanto la terza media, in Lituania l’8%. Ovviamente “bassi livelli di istruzione espongono le persone adulte a una minore inclusione nel mercato del lavoro e riducono le probabilità di accesso ai programmi di formazione continua nel corso della vita”, come dice il rapporto ISTAT del 2012. Cioè in parole povere fanno guadagnare di meno nel corso della vita.
Problema
Per contrastare la dispersione scolastica è meglio assegnare più classi agli insegnanti (e farli lavorare di meno per ogni singolo studente), oppure meno classi (e farli lavorare di più per ogni singolo studente, in particolare, per esempio, per quelli a rischio dispersione)?
Arrivano da ogni parte le notizie della spontanea reazione di disgusto che si è levata ieri pomeriggio,alla revoca dello sciopero di CISL, UIL, GILDA e SNALS, dagli insegnanti, studenti e genitori che (nelle scuole non occupate) erano riuniti nei consigli di classe.
Dall’interno deipalazziromani era probabilmente difficile immaginare che una scuola al lavoro in squallidi androni senza riscaldamento, impegnata nel primo bilancio dell’attività annuale – consueto bollettino di guerra degli studenti che non ce la fanno, morti, feriti e dispersi della guerra mossa alla scuola -, avrebbe accolto la notizia come un insulto.
E invece è successo. Ci sono eventi infatti che innescano choc cognitivi capaci di riconnettere improvvisamente elementi fino ad allora tenuti separati. Quando questo accade, il solito loop della ricerca delle responsabilità, dei ragazzi che non studiano, degli insegnanti che non insegnano e dei genitori che non educano, si inceppa e diviene chiaro in pochi istanti cosa legaquesti fatti.
E’ allora che la notizia che CISL, UIL, GILDA e SNALS avrebbero trovato l’accordo viene colta nel suo senso autentico e lascia emergere davanti a tutti il grottesco che contiene: accordosu che?Sugli “scatti”? Tagliando di un terzo il Fondo d’Istituto? Tagliando cioè, in uno, le già minime possibilità di recupero e rimotivazione degli studenti e il salario accessorio di chi entra in questo macello per milletrecento euro al mese?
Assumersi la responsabilità di questa decisione, in un momento come questo, mette automaticamente questi sedicenti sindacati fuori dalla scuola.Insegnanti e studenti sciopereranno senza di loro e non certo per fedeltà di sigla a CGIL o COBAS.
e dappertutto contesta i delegati CISL, UIL, GILDA e SNALS, le cui sigle in giornata hanno revocato l’adesione allo sciopero del 24, fingendo che la protesta degli insegnanti e degli studenti sia montata per l’adeguamento salariale e che i fondi reperiti all’ultimo momento non siano stati sottratti alle scuole stesse.
Ieri, anche nella scuola in cui lavoro si è tenuto un collegio docenti straordinario per decidere le forme di protesta attraverso cui la seconda scuola superiore dell’Umbria per numero di iscritti, intende opporsi alla decisione del governo di portare a 24 ore l’orario di cattedra a parità di stipendio – peraltro già bloccato nella progressione stipendiale prevista da un contratto scaduto nel 2009.
Davanti all’enormità della decisione governativa con la quale, per la prima volta nella storia italiana, si vorrebbe sospendere un contratto di lavoro per mezzo di una legge finanziaria imponendo lavoro gratuito, il collegio ha deciso di sospendere le attività aggiuntive[cioè il lavoro docente che si aggiunge a quello pomeridiano “funzionale alla didattica” (preparazione lezioni, verifiche, correzioni ecc.) retribuito forfettariamente, e consistente in altro lavoro extra-18 (corsi di recupero, accompagnamento delle classi in viaggio di istruzione, funzioni strumentali, coordinamento delle classi ecc.)], fino alla data dello sciopero del 24 novembre.
In pratica, si è deciso di smettere di lavorare gratis o con compensi da rimborso spese per dieci giorni, bloccando di fatto la scuola che sul lavoro volontario e pressoché gratuito dei docenti vive da tempo.
Commenti recenti