Posts tagged ‘morte’

24 Aprile, 2021

Jean Paul Galibert, Essere o non essere? Le quattro possibilità di Amleto

by gabriella

Amleto

Durante l’illustrazione della dottrina dell’essere in Parmenide ad una delle ragazze della 3D è venuto in mente il monologo Amleto, dove quell’«essere» su cui si interroga il principe di Danimarca assume un significato completamente diverso da quello inteso dall’eleate.

Come mostra Jean-Paul Galibert [Philosophie de l’inexistence], applicando all’Amleto il quadrato semiotico di Greimas, la scelta su cui si interroga il giovane non è semplicemente quella di vivere denunciando l’intrigo mortale contro il re (essere) affrontando a sua volta la morte, ma anche quella di forme nuove di resistenza: quella della rinuncia (suicidarsi senza lottare) o quella della sublimazione (lottare attraverso forme sotterranee di elaborazione culturale, alla De Certeau). La traduzione dell’articolo di Galibert è mia.

Dormire, forse sognare: ah, c’è l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esistanti.

Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.

Amleto

Amleto non è mai stato di fronte a un dilemma che opporrebbe la vita e la morte come la sua testa ad un teschio. Non è affatto questo dilettante stanco dell’esistenza che comparerebbe i vantaggi dell’essere e del non essere. La sua domanda non é “a che scopo vivere”? o “perché non morire”, perché la questione non è mai stata binaria. Invece di rinchiuderci in un dilemma, Amleto ci libera grazie a un tetralemma, ricco di quattro possibilità, opposte a coppie.

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19 Giugno, 2020

Umberto Curi, Il volto della Gorgone

by gabriella

Su QuestoTrentino è uscito un bell’estratto dell’introduzione di Umberto Curi al volume collettaneo Il volto della Gorgone. La morte e i suoi significati [Mondadori, Milano, 2001].

Secondo il mito, Zeus, appena assurto al trono degli dèi, disprezzò il genere umano, che avrebbe voluto distruggere sostituendolo con una nuova razza. Solo Prometeo, stirpe divina, osò ribellarsi e per evitare agli uomini lo sterminio portò loro il dono del fuoco.

Insegnò inoltre a lavorare la terra, a raccogliere i prodotti, ad avere la meglio sulle fiere, a domare le bestie selvatiche, a costruire case, a solcare i mari e a inventare ogni espediente utile alla sopravvivenza. Certo fu questa la spiegazione che gli uomini si dettero quando ebbero la consapevolezza della loro condizione rispetto a quella degli altri animali, che non costruivano attrezzi e vivevano ‘naturalmente’.

temporalità dell’esserci

Nello stesso tempo gli uomini si accorsero che vi era un limite invalicabile qualunque cosa facessero: la morte, di cui erano consapevoli a differenza degli altri animali.

Reso “pantoporos” (in grado di trovare ogni soluzione) dal possesso della techne, a lui regalata dal gesto sacrilego di Prometeo, a nulla serve all’uomo la capacità di escogitare strumenti e artifici di fronte all’ineluttabile morte. Irrimediabilmente “aporos” resta l’uomo in presenza dell’Ade (Curi, pag. 9), perché la vista della Gorgone lo paralizza.

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8 Novembre, 2016

Quadrifarmaco contro la paura. La scuola ai tempi del terremoto

by gabriella
Epicuro

Epicuro

A tutti gli studenti, delle mie o di altre classi, con cui sto parlando in questi giorni, dopo il nostro rientro a scuola. Vi lascio le parole di Epicuro che mi avete sentito pronunciare, a volte senza citarlo:

Siamo nati una sola volta, e non potremo essere nati una seconda volta; dovremo non essere più per l’eternità. Ma tu, benché non abbia padronanza del domani, stai rinviando la tua felicità. La vita si perde nei rinvii, ed ognuno di noi muore senza aver goduto una sola giornata [Massime vaticane, 14].

Nel caso di altri tipi di attività, se ne coglie il frutto solo dopo di essere riusciti, dopo molta fatica, a diventare padroni della materia. Nel caso della filosofia però, la conoscenza ed il diletto vanno insieme; visto che il godimento non si raggiunge dopo gli studi, ma gli studi ed il godimento vanno avanti insieme [Mv, 27].

Da ogni altra cosa è possibile metterci al sicuro, ma rispetto alla morte noi tutti abitiamo una città senza mura [Mv, 31].

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8 Novembre, 2016

L’ultima passeggiata di Walnut

by gabriella

Sono arrivati a centinaia, chi con i loro cani e chi solo per amore degli animali. Hanno risposto all’appello sui social network di Mark Woods, il padrone di Walnut. Diciotto anni insieme, due matrimoni, tre fidanzamenti e un trasloco da Londra alla Cornovaglia.

Un lungo rapporto d’amore che sta per finire. Walnut deve essere soppresso. E Mark vuole per lui un’ultima passeggiata sulla spiaggia di Port Beach in Cornovaglia. Ma non da soli, in compagnia. Per questo, posta su Facebook un appello:

“Mi piacerebbe che tutti gli amanti dei cani, i padroni e i loro amici, si unissero a noi per celebrare l’ultimo giorno di Walnut”.

L’hashtag #walkwithwalnut è stato condiviso migliaia di volte sui social. E sulla spiaggia di Port Beach in Cornovaglia sono arrivati in tanti.

13 Luglio, 2016

Antonio Pieretti, Il rifiuto della morte nella cultura contemporanea

by gabriella

luttoLo stralcio introduttivo di un testo filosofico sul senso della vita e della morte nell’epoca contemporanea.

«Nel XIX secolo era dappertutto presente: cortei funebri, abiti da lutto, estensione dei cimiteri e della loro superficie, visite e pellegrinaggi alle tombe, culto della memoria. Ma questa pompa non nascondeva l’affievolirsi dell’antica familiarità, l’unica veramente radicata? In ogni caso, questo eloquente scenario di morte si è dissolto nell’epoca nostra, e la morte è divenuta l’innominabile. Ormai tutto avviene come se né io, né tu, né quelli che mi sono cari, fossimo più mortali»[1].

Così scrive Philippe Ariés nell’ormai nota Storia della morte in Occidente dal Medioevo ai giorni nostri, e gli fa eco Jean Baudrillard, il quale afferma:

«Al giorno d’oggi non è normale essere morti… Essere morti è un anomalia impensabile, rispetto alla quale tutte le altre sono inoffensive. La morte è una delinquenza, una devianza incurabile»[2].

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28 Aprile, 2016

Jorge Luis Borges, L’immortale

by gabriella

Lo straordinario racconto incluso ne L’Aleph.

  Dio solo creò Adamo. E
quando volle che Adamo

morisse, cancellò l’aleph,
prima lettera di EMET
(verità). Allora non rimase
altro che MET (morte).

Secondo altri commentatori la formula
magica completa era “Elohim Emet”
“Dio è verità”. Tolta l’aleph diviene
“Dio è morto”.

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19 Febbraio, 2016

Umberto Eco, Prepararsi alla morte

by gabriella

Umberto-EcoL’inimitabile ironia delle Bustine di Minerva (12 giugno 1997) in questo testo sul distacco dalla vita, ripubblicato da Micromega.

Non sono sicuro di dire una cosa originale, ma uno dei massimi problemi dell’essere umano è come affrontare la morte. Pare che il problema sia difficile per i non credenti (come affrontare il Nulla che ci attende dopo?) ma le statistiche dicono che la questione imbarazza anche moltissimi credenti, i quali fermamente ritengono che ci sia una vita dopo la morte e tuttavia pensano che la vita della morte sia in se stessa talmente piacevole da ritenere sgradevole abbandonarla; per cui anelano, sì, a raggiungere il coro degli angeli, ma il più tardi possibile.

Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto:

“Maestro, come si può bene appressarsi alla morte?”

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12 Luglio, 2014

Heidegger

by gabriella
Martin Heidegger (1889 - 1976)

Martin Heidegger (1889 – 1976)

La noia profonda che si insinua serpeggiando nelle profondità della nostra esistenza come nebbia silenziosa, stringe insieme tutte le cose, gli uomini  e l’individuo stesso con esse, in una singolare indifferenza. Questa è la noia che rivela l’essente nella sua totalità.

Che cos’è la metafisica?, pp. 16-17; 1929; 1943

Indice

 

1. Il senso dell’essere e il problema dell’esistenza

1.1 La nascita dell’esistenzialismo
1.2 Le filosofie dell’esistenza

 

2. Heidegger e il senso dell’essere
3. L’esserci e il mondo
4. Dall’analitica esistenziale alla differenza ontologica
5. Heidegger e il nazismo

 

1. Il senso dell’essere e il problema dell’esistenza

Dalla metà dell’ottocento, con la fenomenologia e lo sviluppo delle scuole neokantiane, il dibattito filosofico si era concentrato sulla teoria della conoscenza.

La riflessione di Martin Heidegger si propone di oltrepassare questo orizzonte e di richiamare la filosofia al senso dell’essere.

Il primo problema che emerge da questa interrogazione è quello dell’esistenza individuale, quell’essere «gettati nel mondo» che richiede di progettare il senso del proprio «esserci», prospettiva che lega la prima produzione di Heidegger alle filosofie esistenzialiste del novecento.

Presto, però, la riflessione del filosofo si concentra sulla differenza ontologica tra l’essere e l’esserci, tema che diviene suo specifico interesse, come lo stesso filosofo precisa nella polemica Lettera sull’umanismo rivolta a Sartre (1947) – il destinatario era, in realtà, Jean Beauffret – che l’anno prima aveva pubblicato il testo della conferenza L’esistenzialismo è un umanismo.

 

1.1 La nascita dell’esistenzialismo

Qui voglio ricordare la mia definizione dell’etica: essa è ciò per cui l’uomo diventa quello che diventa.

S. Kierkegaard, Aut-aut

Più che una corrente di pensiero, l’esistenzialismo è una vera e propria temperie culturale che si impone a cavallo tra le due guerre mondiali (1930-1960), come interrogazione specifica sulla condizione umana. L’esistenza, vale a dire il rapporto tra l’essere umano e il mondo, è vista come un evento essenzialmente tragico e assurdo, intessuto d’angoscia.

grande guerra

La Grande Guerra: la trincea, l’assalto alla baionetta, i gas

La natura insensatamente tragica dell’esistenza, si impose allo sguardo degli intellettuali europei – che pure avevano salutato favorevolmente lo scoppio del conflitto – con gli eventi traumatici della prima guerra mondiale: una strage senza gloria e senza onore fatta di massacri epocali negli assalti alla baionetta e nelle linee di combattimento invase dai gas.

Ciò che morì definitivamente nelle trincee del Carso e della Marna fu, in questo modo, la fede nel progresso, nella scienza e nell’essere umano.

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28 Dicembre, 2013

Il fascino dell’obbedienza

by gabriella
obbedienza

obbedienza

Le recensioni[alcuni stralci da quella pubblicata su Alfabeta2 e l’intero commento di Kainós] a Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, in cui Fabio Ciaramelli e Ugo Maria Olivieri si chiedono che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere e per quale ragione gli uomini cooperino alla propria stessa oppressione.

Gli autori trovano le risposte nel Discorso della servitù volontaria di La Boétie [e nel «disciplinamento» di Sorvegliare e punire] a cui riservo un commento in coda.

O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! […]
Colui che vi domina ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi, se voi stessi non foste d’accordo?

Etienne de La Boétie, Discours de la servitude volontarire

»Eppure solo pochi tra quanti da mezzo millennio si accostano a questo testo brevissimo e straordinario (militanti, eruditi, filosofi, scienziati politici) evitano la tentazione di chiamarsi fuori; brandendo e deviando quel «voi» – di cui dovrebbero farsi carico in prima persona – contro il bersaglio retorico di turno.

Che cosa rende così diffusa e convinta l’obbedienza al potere? Perché gli uomini lottano per la propria servitù come se si trattasse della propria salvezza? Partendo da una rilettura del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, il libro di Ciaramelli e Olivieri ne ricostruisce dapprima il contesto originario (il passaggio dalla tirannia antica alla tirannia moderna, resa possibile da raffinate tecnologie di disciplinamento sociale), per poi mostrarne l’inquietante attualità nella nostra epoca, caratterizzata dal dilagare della depressione tanto socio-economica che psichica. La servitù volontaria, denunciata da La Boétie, non dipende dagli sforzi del tiranno ma dall’attività stessa dei dominati che si rivelano gli artefici del proprio asservimento. Allo stesso modo il diffondersi di demotivazione, disinteresse e sfiducia appare un fenomeno che la società democratica può imputare soltanto a se stessa, ma proprio questa sua “responsabilità” può renderne possibile il superamento.

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21 Settembre, 2013

Volontà di vita, morte e suicidio in Arthur Schopenhauer

by gabriella

Arthur_Schopenhauer_Portrait_by_Ludwig_Sigismund_Ruhl_1815

Il mondo come volontà e rappresentazione, IV

Affermazione e negazione della volontà di vita una volta raggiunta la consapevolezza di sé.

Ma, come sulla sfera terrestre ogni dove sta di sopra, così pure è presente la forma d’ogni vita; e il temer la morte, perché questa ci strappa il presente, non è più saggio che temere si possa scivolare giù dal globo della Terra, sul quale per fortuna ci si trova ora proprio al punto superiore. All’oggettivazione della volontà è essenziale la forma del presente, che quale punto senza estensione divide il tempo di qua e di là infinito, e immobilmente sta fermo, pari a un eterno meriggio, senza la rinfrescante sera; così come il sole in realtà arde senza interruzione, mentre in apparenza cade nel seno della notte.

Perciò, quando un uomo teme la morte come annientamento di sé, é come se si pensasse il sole alla sera lamentarsi: «Ahimè! io sprofondo nell’eterna notte». E viceversa: chi è oppresso dai pesi della vita, chi la vita bensì vorrebbe, e la vita afferma, ma ne ha in orrore i tormenti, e soprattutto non sa più tollerare il duro destino, che proprio a lui è toccato, questi non ha da sperare liberazione nella morte, né si può salvare col suicidio: solo con falsa illusione lo trae a sé l’oscuro, freddo Orco quale porto di riposo.

Arthur Schopenhauer

I tre primi libri avranno fatto veder chiaramente e sicuramente, spero, che nel mondo quale rappresentazione la volontà ha il proprio specchio, in cui se stessa conosce, per gradi progressivi di limpidità e di compiutezza; dei quali il più alto è l’uomo. Ma l’essere dell’uomo raggiunge la sua piena espressione solo mediante la serie coerente delle sue azioni. E il conscio nesso delle azioni è reso possibile dalla ragione, che da mezzo all’uomo di dominarne con lo sguardo il complesso in abstracto.

l’individuo è soltanto fenomeno, non esiste se non per la conoscenza irretita nel principio di ragione […]: in virtù di questo invero riceve la propria vita come un dono, vien fuori dal nulla, soffre poi per morte la perdita di quel dono, e al nulla fa ritorno.

Arthur Schopenhauer

La volontà considerata in se stessa è inconsciente: è un cieco, irresistibile impeto, quale noi già vediamo apparire nella natura inorganica e vegetale, com’anche nella parte vegetativa della nostra propria vita. Sopravvenendo il mondo della rappresentazione, sviluppato per il suo servigio, ella acquista conoscenza del proprio volere e di ciò ch’ella vuole, che altro non è se non il mondo, la vita, così come si presenta. Perciò il mondo fenomenico l’abbiam chiamato specchio della volontà, e sua oggettità: e ciò che la volontà sempre vuole è la vita, appunto perché questa non è altro che il manifestarsi di quel volere per la rappresentazione; perciò è tutt’uno, e semplice pleonasmo, quando invece di «volontà» senz’altro diciamo «volontà di vivere».

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