L’identità europea è il prodotto di influenze molteplici che si sono confrontate e incrociate mettendo costantemente in discussione le credenze condivise e i legami unificanti [in questo senso, la critica – dai sofisti a Socrate – è un tratto caratteristico e fondativo di questa identità].
Si tratta, dunque, di un’identità plurale, sebbene possieda tratti ben riconoscibili che affondano le loro radici nella filosofia greca, nel diritto romano, nella tradizione religiosa ebraico-cristiana, nella civiltà rinascimentale e nei processi di modernizzazione basati sul rapporto dialettico tra razionalità e individualismo/soggettività che hanno dato vita sul piano culturale alla scienza e tecnica moderne e all’università, su quello economico al capitalismo di mercato e su quello politico alla liberal-democrazia e allo stato nazionale.
Indice
1. Le origini greche
1.1 Il mito di Europa
1.2 La riflessione sulla propria specificità da Erodoto a Isocrate
2. Alberto Martinelli, L’identità europea
2.1 Premessa
2.2 Una o molte identità europee?
2.3 Gli elementi costitutivi dell’identità europea
3. La organizzazione istituzionale europea
1. Le origini greche
1.1 Il mito di Europa
Nel mito greco, Europa, la “fanciulla dall’ampio volto”, è la figlia del re fenicio Agenore che affascina con la sua bellezza Zeus inducendolo a trasformarsi in toro per sedurla.
L’analisi del mito mostra l’elaborazione culturale di diversi temi come l’unione strutturale di Oriente e Occidente.
Zeus, infatti, rapisce Europa su una spiaggia dell’Asia Minore, territorio sul quale il padre regnava e si unisce a lei a Creta, verso Occidente, appunto, come sembra indicare anche l’etimo ereb, parola semita con cui i fenici, 1500 prima di Cristo indicavano i paesi ad ovest della Siria e del Libano.
Dall’unione nascono tre figli: Minosse, re di Creta, Radamanto e Sarpedonte ed è proprio Minosse a dare origine alla civiltà arcaica che si sviluppa tra il 2800 e il 1450 circa, fondendosi poi con quella degli Achei o Micenei diretta antenata di quella greca.
Geograficamente, l’Europa indicava per i greci l’area di diffusione della civiltà ellenica. La consapevolezza che l’Europa aveva una propria identità culturale si afferma durante le guerre contro i persiani.
1.2 La riflessione sulla propria specificità da Erodoto a Isocrate
si chiamano Greci piuttosto le genti che partecipano alla nostra educazione, che quelle che hanno il nostro stesso sangue.
Se l’Europa, l’Occidente, indica non chi è nativo, ma chi ne parla la lingua, ne condivide i codici culturali, il fondatore di questa identità, fatta di valori e modi di guardare alle cose è Platone.
Mappa
2. Alberto Martinelli, L’identità europea
Pubblicato in “Quaderni di Sociologia”, n.55, 2011, pp. 41-51.
2.1 Premessa
Esiste una identità europea? E se esiste quali sono i suoi tratti distintivi? Il problema, scientificamente interessante e politicamente rilevante, è complesso e controverso per due fondamentali ragioni:
- L’Europa è stata nei secoli un mondo aperto e multiforme innanzitutto, perché l’Europa è stata nei secoli un mondo aperto e multiforme in cui si sono incrociate e confrontate diverse identità culturali che hanno costantemente messo in discussione le credenze condivise e i legami unificanti, ragion per cui alcuni studiosi ritengono più appropriato parlare, al plurale, di identità europee.
- In secondo luogo, perché la cultura europea è diventata in gran parte la cultura della modernità nel senso che componenti fondamentali dell’identità europea e occidentale si sono diffuse al mondo intero, producendo una “modernizzazione globale”, il ché induce alcuni studiosi a pensare che sia oggi difficile, o addirittura impossibile, identificare una specificità europea.
Circa la prima obiezione, la mia tesi è che la varietà dei codici culturali e la pluralità dei percorsi verso e attraverso la modernità dei popoli europei non impedisce di riconoscere che esiste un codice genetico di valori e atteggiamenti culturali, che sono distintamente europei sin da un passato lontano, ma che si sono cristallizzati in un nucleo normativo specifico con l’avvento della modernità, producendo profonde trasformazioni strutturali e audaci innovazioni istituzionali.
Con riguardo alla seconda obiezione, sostengo che il fatto che la modernità sia ormai una condizione globale comune e che un insieme di istituzioni tecnologiche, economiche e politiche di origine europea e occidentale si siano diffuse nel mondo non implica affatto che la modernizzazione, una volta innescata, debba inevitabilmente procedere verso univoche strutture cognitive (razionalismo scientifico, pragmatismo strumentale, secolarismo) e identici assetti istituzionali (un certo tipo di assetto economico, governo e amministrazione); e che ciò cui invece assistiamo è lo sviluppo di modernità multiple (o di varianti della modernità) che sono influenzate dalla varietà dei contesti specifici in cui il progetto moderno viene continuamente interpretato, reinterpretato e trasformato (Martinelli, 2005; 2010).
L’identità europea è anche una questione politica di fondamentale importanza. È diffusa la critica che l’Unione Europea costituisce un progetto limitato perché l’integrazione economica dell’Europa non ha portato a una vera unione politica, anche a causa di una mancata integrazione culturale.
Si osserva che il deficit di integrazione culturale e di rappresentanza democratica è dovuto al fatto che il processo comunitario si è fondato solo sulla razionalità economica e non anche su un sentimento di comune appartenenza; e si sostiene la necessità di affiancare alla politica degli interessi una politica delle identità. In realtà, il processo di costruzione dell’Unione Europea come sistema aperto, flessibile e multilivello che si struttura in un complesso di istituzioni sovranazionali è potuto avvenire anche in virtù di una eredità culturale comune e di valori condivisi, che andrebbero tuttavia rafforzati per definire una chiara e distinta identità europea.
Le diverse identità dei popoli europei coesistono con una comune identità europea che è il portato di una eredità storica (la filosofia greca, il diritto romano, la tradizione religiosa ebraico-cristiana, la civiltà rinascimentale), ma che si è cristallizzata con l’avvento della modernità in un specifico nucleo valoriale e istituzionale organizzato intorno al rapporto dialettico tra razionalità e individualismo/soggettività, producendo fondamentali innovazioni scientifico-tecniche, economiche, politiche e culturali (il capitalismo di mercato, la liberal-democrazia, lo stato nazionale, le grandi università di ricerca); in quest’ottica il progetto europeo è ancora un progetto moderno, lungi dall’essere compiuto, è in effetti espressione di una modernità radicale.
2.2 Una o molte identità europee?
In apparenza non vi è una identità, ma molte identità europee che si sono sviluppate nel corso della storia dei popoli europei e sono state formalmente riconosciute e alimentate nei processi di nation building degli stati europei, interagendo con una ampia gamma di altre identità sub-nazionali e transnazionali.
Questa molteplicità di culture è stata fonte di fratture, conflitti, controversie idiosincratiche e anche di gravi errori e crimini, ma ha anche mostrato una notevole capacità di assimilare e integrare e di creare straordinarie opportunità di progresso scientifico e tecnico, crescita economica e innovazione sociale e culturale.
La civiltà europea si è caratterizzata per l’incrocio di diversi atteggiamenti culturali e assetti istituzionali, ma anche per un forte orientamento sia dei centri che delle periferie verso scopi e ideali comuni (tra cui fondamentali l’autonomia e la responsabilità dell’individuo, la tensione tra ordine mondano e trascendente, come rileva Eisenstadt, 1987).
L’Europa è tradizionalmente un mondo aperto e plurale che mette continuamente in discussione le sue credenze e i suoi legami, un grande laboratorio sociale in cui unità e molteplicità hanno interagito in una tensione continua, tra contrasti profondi. Riconoscere questa peculiarità europea consente di evitare due posizioni opposte ed egualmente insoddisfacenti: da un lato, la puntuale definizione di un elenco di elementi culturali consolidati esclusivamente europei, che ci distinguerebbero da tutti gli altri popoli; dall’altro, la negazione di ogni tratto culturale comune e la definizione di una identità europea solo in termini negativi, come permanente conflitto e confuso crocevia di identità etniche, locali e nazionali.
Il tentativo di definire che cosa sia l’identità europea oggi può partire solo dalla interpretazione critica dei grandi processi storici che hanno generato l’Europa moderna; mediante l’analisi della dialettica tra cambiamento e persistenza e l’alternanza di aperture verso altri mondi e chiusure nei propri confini geografici ed etnici; attraverso lo studio della sequenza di lotte, dapprima tra le entità sovranazionali del papa e dell’imperatore e le entità nazionali e locali come le repubbliche cittadine e i nascenti stati sovrani, e poi tra i diversi stati nazionali che si scontrano per l’egemonia politica del continente; attraverso la disamina delle grandi fratture tra centro e periferia, Stato e Chiesa, città e campagna, borghesia e proletariato nel travagliato percorso verso e attraverso la modernità (che vengono delineate nella mappa geo-politica dell’Europa di Rokkan, 1970 e 1975).
Tratto distintivo dell’identità europea è la dialettica costante tra Weltanschauungen diverse e spesso in conflitto e lo sviluppo di una mente critica che rimette continuamente in discussione teorie e credenze egemoniche e costituisce la base del pensiero scientifico europeo.
Dalla ricognizione storica appare chiaramente come l’Europa contemporanea sia un’Europa della differenza e della diversità e che suo carattere distintivo sia la straordinaria complessità dell’eredità culturale, in cui le differenti realtà coesistono in forme sia conflittuali che cooperative (commerci e guerre) senza perdere le loro specificità.
Nella nuova Europa la pluralità delle culture – che per secoli ha contribuito a uno stato semi-permanente di guerre locali e generali – può essere oggi considerato un bene comune e una risorsa fondamentale per lo sviluppo di una comunità libera e prospera, pacificamente diversificata al suo interno e aperta verso l’esterno.
Riconoscere questo specifico tratto della vicenda europea non deve, tuttavia, indurre a negare l’esistenza di alcuni elementi costitutivi di una cultura europea, una sorta di codice genetico che, pur costantemente modificato e diversamente declinato nelle differenti contingenze storiche e geopolitiche, identifica una specifica identità europea. Questi elementi costitutivi, rintracciabili in vario grado e forma nelle diverse regioni d’Europa, sono di natura istituzionale, ma sono radicati in valori, norme, atteggiamenti e linguaggi che trovano una loro sintetica caratterizzazione nella costante tensione tra razionalismo e individualismo/soggettività.
Ho analizzato in modo approfondito questo tema nel libro Transatlantic Divide (2007), in questa sede ne discuterò gli aspetti essenziali.
2.3 Gli elementi costitutivi dell’identità europea
Possiamo identificare il valore di fondo della identità europea e occidentale nella costante tensione tra razionalismo e individualismo/soggettività, considerati come principi opposti e complementari allo stesso tempo.
Questi due principi hanno caratterizzato l’intera storia europea, dalla filosofia greca e dal diritto romano alle tradizioni religiose ebraica e cristiana, ma si coagularono in un insieme specifico di orientamenti culturali e di assetti istituzionali soltanto con l’avvento della modernità.
Questi principi esprimono la tensione tra libertà individuale e organizzazione sociale. Come radici culturali hanno generato lo specifico atteggiamento moderno che consiste nell’assenza di limiti.
“L’identità europea è quella di una civiltà liberatasi dai vincoli, che oltrepassa costantemente i suoi limiti, interni ed esterni, creando in tal modo la propria impronta distintiva (D’Andrea, 2001, 134).
Il ritratto dell’Ulisse dantesco ne rappresenta una metafora appropriata. L’illimitatezza che definisce la modernità – e l’identità europea come suo luogo di origine – appare con particolare evidenza nella inesauribile sete di conoscenza.
Una concezione simile venne espressa da Jaspers (1947) nel corso dell’acceso dibattito sui fondamenti della ricostruzione dell’Europa che si sviluppò alla fine della seconda guerra mondiale.
Jaspers identifica nella libertà, nella storia e nella scienza i tre fattori che costituiscono l’essenza dell’Europa.
Il primo fattore, il desiderio di libertà, è universale, ma si è sviluppato al massimo in Europa.
Ha significato la vittoria sul dispotismo e un senso di giustizia che si è trasformato in istituzioni concrete e ha alimentato un senso di irrequietudine e di fermento costanti tra gli Europei.
La libertà ha nutrito il secondo fattore: il bisogno di comprendere il tempo storico e di svolgere un ruolo attivo come esseri umani dentro la polis. Per Jaspers, infatti, la vera libertà è la ricerca della libertà politica dentro la comunità, ovvero lo sviluppo dell’individuo insieme a quello del mondo sociale che lo circonda.
Il terzo fattore, la scienza, è anch’esso collegato alla libertà, nel senso che si definisce come lo sforzo costante di penetrare nel cuore di tutto ciò che può essere penetrato. Sono la conoscenza e l’amore per la conoscenza che rendono gli esseri umani liberi, attribuendo loro non solo la libertà esterna che si acquisisce mediante la conoscenza della natura, ma anche e soprattutto la libertà interna che promana dalla conoscenza di sé e degli altri.
La ricerca della conoscenza era ben viva nelle antiche civiltà, ma ha ricevuto un nuovo impeto dalla modernità europea, in cui la conoscenza è stata liberata dalla sua subordinazione a una verità religiosa data o da un fine politico specifico. L’incessante ricerca della conoscenza è il prodotto della mente critica che originò nell’ethos filosofico greco e si sviluppò nella critica storica dell’Illuminismo.
Lo sviluppo della scienza è connesso alla forza trascinante della tecnologia e del capitalismo che, a loro volta, sono collegati alla credenza nel progresso incessante.
La modernità europea è stata l’epoca del Prometeo liberato di Shelley che esprime l’assenza di limiti etici e religiosi nel dominio tecnico della natura.
Il capitalismoè il modo di produzione basato sulla strumentalità tecnica e sulla massimizzazione della razionalità economica che sono necessarie per competere con successo sul mercato.
Il razionalismo europeo si è manifestato in una varietà di forme diverse: dall’architettura romanica alla pittura del Rinascimento, dalla filosofia di Cartesio alla musica di Bach, dal cittadino democratico dell’Illuminismo all’homo oeconomicus dell’economia capitalistica.
Si può definire in senso generale come la capacità della mente umana di conoscere, controllare e trasformare la natura (secondo una concezione del mondo come ambiente che può essere modellato allo scopo di soddisfare bisogni e desideri umani) e come fiducia degli esseri umani nella loro capacità di perseguire razionalmente i propri fini e in ultima analisi di essere artefici del loro destino.
Con la sua fiducia nel potere della ragione di controllare e trasformare la natura, il razionalismo europeo è stato il terreno di coltura delle scoperte scientifiche e geografiche e delle innovazioni tecnologiche e imprenditoriali.
La fiducia nella ragione è strettamente connessa alla percezione dell’assenza di limiti, a quella particolare irrequietezza degli Europei, che è simboleggiata dalle figure paradigmatiche dell’Ulisse dantesco e del Faust goethiano, ed è esemplificata da tanti avvenimenti della storia europea, dai viaggi transoceanici alle avventure coloniali e allo “spirito della frontiera” americano.
La ragione è stata, d’altro canto, concepita anche come un sistema di regole condivise che rende possibile la coesistenza nella società.
Kant non ha scritto un’apologia della ragione, ma una indagine circa i suoi limiti. La mente razionale è forte solo se è consapevole dei propri limiti, se non pretende di conoscere la verità assoluta, ma apre la strada a una ricerca incessante. In tal senso la ragione è intrinsecamente anti-totalitaria e direttamente correlata alla libertà dell’individuo.
Il razionalismo è strettamente connesso, complementare e insieme contrapposto, all’altra caratteristica fondamentale dell’identità europea e occidentale: l’individualismo/soggettività.
Anche l’individualismo ha assunto molte forme di espressione diverse nel tempo e nello spazio dell’Europa: il personalismo evangelico dei cristiani, l’individualismo dei liberi abitanti delle repubbliche autonome medievali, il soggetto economico razionale nel mercato, il libero cittadino delle moderne democrazie liberali e la soggettività riflessiva degli Europei contemporanei.
Come il razionalismo, l’individualismo si è sviluppato all’interno dell’eredità culturale della storia europea, ma è emerso pienamente soltanto con l’avvento della modernità.
L’individualismo è alla radice dei principi di libertà e di uguaglianza affermati dal Giusnaturalismo (che asserisce che tutti gli esseri umani sono uguali in quanto dotati di ragione), dal pensiero politico anglosassone, dall’Illuminismo francese e tedesco.
I principi di libertà e di uguaglianza vennero riconosciuti nelle prerogative del Parlamento inglese dopo la “rivoluzione gloriosa” del 1688-89 e proclamati solennemente dalla Costituzione americana del 1776 e dalla Declaration de Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789.
Questi principi affermano i diritti inviolabili degli individui alla vita, alla libertà e alla piena realizzazione delle proprie potenzialità.
La libertà si esprime sia come libertà negativa, ovvero come protezione dei diritti umani contro gli abusi del potere, sia come libertà positiva, ovvero come diritto dei cittadini di partecipare alla formazione della volontà comune.
L’uguaglianza venne inizialmente definita come uguaglianza dei diritti e doveri della cittadinanza e come uguale trattamento da parte della legge; ma presto divenne anche uguaglianza delle opportunità e delle chances di vita, aprendo così la strada al liberalismo progressivo, alla socialdemocrazia e alle politiche di welfare, che hanno costituito una componente essenziale della cultura politica europea del ventesimo secolo (Martinelli, Salvati et al., 2009).
In base a queste concezioni, essere europei significa impegnarsi per realizzare i principi sia di libertà che di uguaglianza; e, in effetti, la lotta per realizzare compromessi soddisfacenti ed efficaci tra libertà e uguaglianza è stato un leitmotiv nella storia del pensiero politico europeo (Cerutti, Rudolph, 2001).
Individualismo e soggettività non sono concetti identici. C’è una tendenza a usare preferibilmente il primo da parte degli studiosi che hanno una visione positiva della modernità, in cui la coscienza della propria individualità è considerata uno dei tratti essenziali della modernità, accanto alla crescita della conoscenza scientifica, lo sviluppo di una Weltanschauung secolare, la dottrina del progresso e la concezione contrattualistica della società.
Il concetto di soggettività è, invece, preferito da quanti propongono una visione alternativa della modernità, che è critica della tendenza al calcolo pragmatico dell’utilità, dell’arida ricerca dell’arricchimento, della carenza di passione morale e che pone, per contro, l’accento sulla cura di sé, sulla espressione spontanea, sulla autenticità della esperienza.
In realtà, l’individualismo economico e politico e la soggettività morale ed estetica sono dimensioni dello stesso principio, e questo principio interagisce a sua volta dialetticamente con il principio di razionalità.
Non si tratta delle radici di due concezioni alternative della modernità (una più elogiativa e una più critica, una più attenta ai processi strutturali e una più interessata agli aspetti culturali), ma, piuttosto, degli elementi della stessa sindrome culturale e istituzionale (Martinelli, 2005). Il mondo dell’imprenditore capitalista è un mondo di cambiamento incessante e di innovazione creativa che offre un contesto favorevole anche alla estetica del sé. Immaginazione e ragione non sono nemiche, ma piuttosto alleate, sia nel lavoro dello scienziato come in quello dell’artista. Entrambe cercano di esplorare e di sperimentare ogni cosa senza sottoporsi a limiti.
Il rapporto dialettico tra il principio di razionalità (con le sue connesse forme istituzionali delle economie market-driven, degli stati burocratici, delle città metropolitane funzionalmente organizzate) e il principio di individualismo/soggettività si manifesta anche nella doppia matrice di cambiamento e routine in cui vive l’io moderno.
“Ognuna di quelle figure indimenticabili della modernità – il rivoluzionario di Marx, il dandy di Baudelaire, il superuomo di Nietzsche, lo scienziato sociale di Weber, lo straniero di Simmel, l’uomo senza qualità di Musil, il flaneur di Benjamin – è afferrato e trascinato via dalla fretta intossicante di un cambiamento epocale e tuttavia si trova determinato e inquadrato in un sistema di ruoli e funzioni sociali” (Gaonkar, 2001).
Vale la pena di rilevare che questa lista di personaggi (cui aggiungerei l’imprenditore di Schumpeter) è strettamente europea, il che costituisce una prova ulteriore del fatto che la cultura della modernità è strettamente connessa alla identità europea (includendo in essa i popoli dell’Europa fuori dell’Europa), anche se è opportuno precisare che nel mondo contemporaneo esistono modernità multiple, ovvero percorsi diversi verso e attraverso la modernità.
Il razionalismo, l’individualismo/soggettività, l’incessante ricerca della conoscenza, l’innovazione e la scoperta, la costituzione del sé come soggetto autonomo, il rifiuto del limite, i principi di libertà e uguaglianza di diritti, doveri e opportunità, rappresentano gli elementi costitutivi di una identità europea che si è nutrita della eredità storica del continente (in primo luogo il lascito della tradizione cristiana e della antichità greco-romana), ma che si è pienamente sviluppata nella civiltà della modernità che è nata nell’Europa occidentale e si è poi estesa alle altri parti d’Europa, alle Americhe e al mondo intero, contribuendo allo sviluppo delle modernità multiple, ovvero delle mutevoli forme culturali e istituzionali che si sono dispiegate nelle diverse regioni del mondo anche in risposta alle sfide, minacce e opportunità derivanti dalle caratteristiche distintive della modernità occidentale (Eisenstadt, 2001; Martinelli, 2005).
Nella civiltà moderna i valori, gli atteggiamenti e le interpretazioni della realtà, che si fondono in uno specifico programma culturale, si combinano con un insieme di nuove forme istituzionali, anche queste per lo più sperimentate prima in Europa e, quindi, diffuse in America e nel resto del mondo, dando vita alle istituzioni caratteristiche del mercato e dell’impresa capitalistica, dello stato nazionale e della democrazia poliarchica, dell’università e della comunità di ricerca. Le discuteremo adesso sinteticamente.
Iniziamo dalla scienza e dalla tecnologia europea e occidentale, con cui si intende un particolare approccio alla conoscenza della realtà fisica e umana capace di trasformare la natura al fine di soddisfare bisogni individuali e sociali.
La profondità della religione e della filosofia indiana e cinese, la ricchezza del pensiero scientifico e religioso dell’Islam, lo sviluppo delle conoscenze astronomiche in Mesopotamia o nell’America pre-colombiana, sono soltanto alcune prove del fatto che la conoscenza occidentale non è affatto eccezionale.
Ciò che è in essa specifico è la sua maggiore propensione a coniugare scoperte scientifiche, invenzioni e innovazioni tecnologiche sotto la pressione costante sia della guerra che della concorrenza commerciale.
Specifica è pure la maggiore capacità di disegnare istituzioni particolarmente adatte alla formazione e alla diffusione delle conoscenze: le università medievali italiane, francesi e spagnole, le accademie scientifiche britanniche del XII secolo, le università di ricerca tedesche del XIX, i grandi laboratori di ricerca dell’America contemporanea.
La modernità europea non è stata solo un pacchetto di sviluppi tecnologici e organizzativi; si è legata strettamente a una rivoluzione politica e a una altrettanto importante trasformazione delle pratiche e delle istituzioni della ricerca scientifica (Wittrock, 2000).
L’Europa ha inventato e perfezionato una modalità di comprensione della scienza che si è sviluppata a partire dal Rinascimento ed è divenuto un modello globale. Le sue principali caratteristiche, secondo Rudolph, sono il riconoscimento del ruolo della matematica come misura della esattezza scientifica, l’unione tra libertà di investigazione e libertà di critica, la dipendenza della conoscenza empirica dalla riflessione concettuale (Cerutti, Rudolph, 2001).
La seconda innovazione istituzionale è il capitalismo industriale di mercato. Il suo principio guida è la costante ricerca di massimizzazione razionale dell’utilità per competere con successo nel mercato.
La combinazione efficiente dei fattori della produzione nell’impresa industriale e lo scambio di beni e servizi nel mercato auto-regolato sono le due istituzioni fondamentali dello sviluppo capitalistico. La rivoluzione industriale del XVIII secolo (un potente processo di innovazione, accumulazione del capitale, sfruttamento del lavoro ed espansione del mercato) si verificò anche grazie alla disponibilità di ferro e carbone e di surplus derivanti dall’agricoltura e dal commercio di lunga distanza, ma fu, innanzitutto, generato dal legame specifico con la rivoluzione scientifico-tecnica della modernità.
Commerci e mercati si sono sviluppati anche negli antichi imperi e in gran parte del mondo non-europeo, ma la particolare combinazione di rivoluzione industriale e mercato auto-regolato ha rappresentato una specificità europea che ha fornito alla crescita capitalistica una forza e un dinamismo senza precedenti.
Il capitalismo è stato aspramente criticato, in particolare da Marx e dagli studiosi della tradizione marxista, ma si è dimostrato un modello più efficace di organizzazione dei rapporti economici rispetto al modello alternativo della economia di piano, si è trasformato attraverso crisi endemiche, si è globalizzato e ha dato vita a varianti di capitalismo con diversi assetti politico-istituzionali (la variante anglosassone market-driven, la variante europeo-continentale dell’economia sociale di mercato, la variante scandinava, la variante autoritaria asiatica).
La terza componente istituzionale fondamentale della identità europea, lo stato nazionale, è collegata in modo più controverso ai valori del razionalismo e dell’individualismo di quanto non siano la scienza e la tecnica o il mercato e l’impresa capitalistici.
Gli stati nazionali sono l’incarnazione istituzionale dell’autorità politica nella società moderna; sono caratterizzati dall’unicità di un popolo e di un territorio e da una cultura distintiva; presero lentamente forma in opposizione agli imperi multietnici e alla Chiesa sovranazionale, e si svilupparono nel tempo mediante la crescita di una burocrazia civile, un esercito (e talvolta una flotta) e una diplomazia, e grazie all’azione di élites modernizzanti che seppero costruire l’idea di nazione evocando comuni radici etniche e legami simbolici.
Lo stato-nazionale è una tipica costruzione europea che è stata esportata con successo nel resto del mondo, una istituzione peculiare che scaturisce dall’incontro tra una organizzazione politica sovrana, autonoma e centralizzata, da una parte, e una comunità fondata su legami, reali o immaginari, di sangue, linguaggio, tradizioni condivise e memoria collettiva, dall’altra.
La sua relazione con la cultura dell’individualismo e del razionalismo è ambivalente e complessa. Una delle due componenti, la nazione, affonda le sue radici nei legami primordiali, fa appello alle passioni e alle emozioni e pone l’accento sui fini collettivi. L’altra componente, lo stato, è un organizzazione razionale che si è evoluta mediante il rapporto con la legge e lo sviluppo di una amministrazione pubblica efficiente.
Oggi lo stato nazionale è sottoposto a due tipi di pressione: le reti di interdipendenza globale erodono la sua sovranità “dall’alto”, mentre la riaffermazione delle identità locali e le richieste di autonomia sfidano la sua pretesa di controllo centralistico “dal basso”.
Ciononostante, esso continua a rappresentare l’organizzazione politica fondamentale e un attore chiave delle relazioni internazionali e della politica globale contemporanea. La sua crescita ha comportato un processo di centralizzazione e la soppressione delle molte e disparate autonomie socio-culturali delle comunità locali delle società pre-moderne.
Ma i rischi della centralizzazione statale per la libertà individuale sono stati tenuti a freno dallo sviluppo delle istituzioni della democrazia rappresentativa, ovvero da un sistema politico composto da funzionari eletti che rappresentano gli interessi e le opinioni dei cittadini in un contesto di governo della legge, che si fonda sulla sovranità popolare e sul consenso dei cittadini.
La democrazia rappresentativa costituisce, in effetti, un quarto aspetto della identità europea e occidentale. La polis greca, la res publica romana, le libere città dell’Italia, della Germania e delle Fiandre nel tardo Medioevo sono stati tutti antecedenti di questa specificità europea.
Le varie forme di parlamento, governo della maggioranza e protezione dei diritti delle minoranze, elezioni libere e periodiche, separazione dei poteri costituzionali, libertà di stampa e di associazione sono tutte innovazioni nate e cresciute nella cultura europea e poi sviluppatesi negli Stati Uniti d’America (la prima ‘nuova nazione’ costruita dagli emigranti europei) nel corso delle tre grandi rivoluzioni democratiche moderne: l’inglese, l’americana e la francese.
Il “catalogo” delle caratteristiche distintive della identità europea non sarebbe completo senza un riferimento alla relazione ambivalente tra la religione cristiana e i principi dell’individualismo/soggettività e del razionalismo.
Da una parte, il Cristianesimo insieme al diritto romano ha contribuito allo sviluppo dell’individualismo europeo e occidentale.
Come ha rilevato Weber, le grandi profezie razionali della Bibbia, il piano razionale di vita degli ordini monastici e la teoria della predestinazione hanno contribuito alla crescita della mentalità razionale (1920); i nostri più alti valori e le norme associate ad essi, come la dignità e l’inviolabilità della persona, i diritti umani, la coscienza e la responsabilità individuale non possono essere estrapolati e si sono anzi definiti e articolati attraverso la teologia e l’esperienza storica della tradizione religiosa ebraico-cristiana; la distinzione tra potere temporale e potere spirituale, che origina dal celeberrimo “date a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare” ma è stata ottenuta attraverso lotte secolari, è un principio ormai consolidato delle democrazie occidentali moderne.
Dall’altra parte, la religione cristiana ha avuto fin dalle origini un forte elemento comunitario, che si è manifestato nelle prime comunità di cristiani, nella trasformazione degli eremiti in ordini monastici a partire da quello fondato da Benedetto da Norcia e, in particolare (nelle versioni cattolica e ortodossa), nella mediazione tra il credente e Dio esercitata dalle cerimonie religiose e dal clero; e la nozione della assenza del limite e la credenze dell’uomo come artefice del proprio destino, tratti distintivi della mentalità moderna, sono state fortemente contrastate dalla posizione anti-modernista della Chiesa cattolica.
Sebbene il Cristianesimo sia nato in Medio-Oriente, si è tendenzialmente identificato con la cultura europea, i suoi confini hanno progressivamente coinciso con quelli dell’Europa finché, a partire dal XV secolo, attraverso la colonizzazione, si è andato estendendo alle altre regioni del mondo.
Il fattore religioso nell’identità culturale dell’Europa non ha tuttavia comportato una semplice unità indifferenziata, sia perché altre religioni come l’Islam hanno svolto un ruolo rilevante, sia per la grande diversità religiosa del Cristianesimo stesso con i suoi numerosi movimenti ereticali, lo scisma tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica e la Riforma protestante.
Questi elementi culturali e istituzionali di fondo hanno contribuito a definire l’identità dell’Europa e di quelle altre parti del mondo, a cominciare dalle Americhe, che possiamo definire “l’Europa fuori dell’Europa”; non hanno tuttavia formato un insieme coerente, entrando in conflitto gli uni con gli altri (come nel caso del mercato e della democrazia, delle credenze religiose e della ricerca scientifica, del nazionalismo e della pace), e non hanno prodotto soltanto esiti positivi ed effetti desiderabili.
Valori e atteggiamenti condivisi sono una risorsa per costruire l’unione politica, sempre più necessaria nel mondo globalizzato, ma avendo piena consapevolezza che l’identità europea non è solo il portato di un percorso storico comune e di una memoria condivisa, ma è anche la costruzione di un progetto futuro; non consiste nella passiva conservazione di valori passati, ma nella tensione realizzativa verso l’unità politica che richiede un impegno quotidiano dei cittadini e delle istituzioni europee.
Il progetto europeo, nato dalla volontà di porre fine alle secolari guerre civili europee e dalla percezione di comuni interessi economici, si è sviluppato grazie alla condivisione di principi etici e norme sociali (diritti civili, stato di diritto, libertà di intraprendere, welfare state, scienza critica, interculturalità) e può essere definito come il tentativo di conseguire l’unità mediante la diversità, negando la vecchia credenza che tutto ciò che è diverso è anche ostile e rinunciando a costruire l’identità sulla contrapposizione tra “noi” e “loro”.
L’identità europea è resa possibile dall’eredità culturale comune che innerva i diversi ethnos europei, ma può svilupparsi solo mediante la crescita di un demos europeo definito in termini di un complesso di diritti e doveri condivisi, capace di consolidare i vincoli della cittadinanza entro istituzioni democratiche liberamente scelte.
3. L’organizzazione istituzionale europea
La difficoltà di definire un’identità europea può essere colta anche guardando alle organizzazioni regionali del continente. Abbiamo già detto che quella che sembra esprimere l’unità più forte, ovvero la UE, in realtà, è una di quelle con meno membri: 27 dopo la Brexit.
Da questo punto di vista, l’entità più numerosa è probabilmente il Consiglio d’Europa con i suoi 47 partecipanti che comprendono, oltre alla Russia e le ex repubbliche sovietiche Ucraina, Moldavia, Estonia, Lettonia e Lituania, anche Armenia, Azerbaijan e Georgia, Paesi transcaucasici. L’unica esclusa è la Bielorussia a causa del suo regime autoritario.
Per il Consiglio, quindi, l’Europa arriva fino al Caucaso e si definisce per la sua democrazia. Due criteri di cui, però, come abbiamo visto, non dobbiamo mai dimenticare il marcato carattere artificiale. Basti pensare, ad esempio, alle polemiche che accompagnano regolarmente i dibattiti sull’eventuale adesione della Turchia alla UE, benché questa sia già membro di tutte e tre le altre organizzazioni.
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