Bacone

by gabriella

Francis Bacon (1561 – 1626)

Indice

1. Il Lord cancelliere
2. 
La scienza come regnum ominis
3. La nuova logica della scienza
4. I pregiudizi della mente
5. Il metodo induttivo
6. L’ambiguità della tecnica

 

1. Il Lord cancelliere

Della biografia di Francis Bacon, londinese, Lord Cancelliere di Giacomo I, si ricorda soprattutto l’infamante accusa di corruzione che il Parlamento gli rivolse nel 1621 e davanti alla quale il filosofo si dichiarò colpevole.

Due accusatori dichiararono infatti di avergli versato, rispettivamente, 100 e 400 sterline per ottenere da lui un giudizio favorevole. Il giudizio di Bacone fu in realtà contrario, ma l’accusa di corruzione rimase ferma perché le somme gli erano state pagate a giudizio ancora in corso, non successivamente, a titolo di legittimo onorario.

Se non per corruzione, la storiografia filosofica ricorda, quindi, Bacone per la sua avidità ed arroganza. Questo cortigiano di non specchiata moralità ebbe, però, un senso altissimo del valore della scienza e della sua utilità al servizio dell’uomo.

 

2. La scienza come regnum ominis

Tutte le sue opere illustrano, infatti, il progetto di una ricerca scientifica capace di porre la natura sotto il dominio dell’uomo, così da instaurare il regnum hominis.

Oltre alle opere dedicate al metodo della scienza, anche nella Nuova Atlantide, il suo scritto utopico dedicato alla città ideale, concepisce l’isola come un enorme laboratorio sperimentale nel quale gli abitanti cercano di conoscere le forze nascoste della natura

«per estendere i confini dell’impero umano a ogni cosa possibile».

A questo fine egli dedica il progetto dell’instauratio magna, il rinnovamento completo della ricerca scientifica su base sperimentale, della quale realizzò compiutamente però solo il Novum Organum, pubblicato nel 1620.

Instauratio MagnaNel frontespizio della Grande Instaurazione è rappresentata la navicella dell’ingegno umano nell’atto di oltrepassare le colonne d’Ercole, «colonne fatali» che una scienza riverente al metodo degli antichi esita a voler superare:

«Ci sembra che gli uomini non conoscano bene né le loro ricchezze, né le loro forze: delle prime hanno una stima eccessiva, delle seconde un’idea troppo bassa. Così avviene che essi, attribuendo un valore eccessivo alle arti già acquisite, non cerchino altre, oppure disistimando più del giusto le loro forze, le consumino in cose di poco conto e non le mettano invece alla prova in quelle imprese che più importano. Per questo le scienze hanno le loro colonne fatali: perché gli uomini non sono spinti a penetrare più oltre né dal desiderio, né dalla speranza».

Per Bacone, infatti, l’antichità è l’infanzia del mondo e la verità figlia del tempo (filia temporis), non dell’autorità. La scienza diviene così un sapere cumulativo che l’umanità accresce verso un progresso sempre maggiore.

Allo stesso modo del contemporaneo Galilei, Bacone sostiene che una delle cause che impediscono agli uomini di progredire nella conoscenza è la reverenza per la sapienza antica, rispetto alla quale però  i moderni sono più avanzati, perché la conoscenza è stata arricchita nel corso del tempo da molteplici esperimenti e osservazioni.

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3. La nuova logica della scienza

Il Novum Organum è la proposta di una nuova logica del metodo scientifico che Bacone oppone polemicamente a quella aristotelica. Il filosofo osserva infatti che mentre con la vecchia logica si espugna l’avversario, con la nuova si espugna la natura:

«il fine di questa nostra scienza è di trovare non argomenti, ma arti, non principi approssimativi, ma principi veri, non ragioni probabili, ma progetti e indicazioni di opere».

La scienza è posta così interamente al servizio dell’uomo.

Scienza e potenza coincidono in Bacone, perché l’ignoranza della causa impedisce di conseguire l’effetto.

Per dominare la natura, quindi, bisogna conoscere le sue leggi, il che equivale a obbedirle:

«natura non vincitur nisi parendo» (la natura non si vince se non obbedendole).

In questa azione, l’intelligenza umana ha però bisogno di strumenti, perché i soli sensi sono insufficienti: questi strumenti sono gli esperimenti che rappresentano, per Bacone, «il connubio della mente e dell’universo» dal quale egli si attende

«una prole numerosa di invenzioni e gli strumenti atti a domare e mitigare almeno in parte le necessità e le miserie degli uomini». Nov. Org., I,3.

a tentoni di notte

L’esperienza sensibile è un andar di notte a tentoni, una inutile scopa slegata

Per uscire dalla vecchia via improduttiva della contemplazione bisogna mettersi sulla via dell’esperimento, perché la semplice esperienza, che procede a caso, non basta.

L’esperienza, osserva Bacone, è come una scopa slegata o un procedere a tentoni di notte, cercando la via giusta, quando sarebbe più prudente attendere il giorno o accendere un lume.

Il connubio tra la mente e l’universo non può, però, essere celebrato finché la mente rimane irretita di errori e pregiudizi che le impediscono di acquisire vera conoscenza.

Bacone osserva che nella logica tradizionale, l’anticipazione della natura prescinde dall’esperimento e si limita quindi a sfiorare la natura.

L’interpretazione della natura, invece, si addentra con metodo e con ordine nell’esperienza e procede senza salti; per questo l’anticipazione della natura è sterile, mentre la via dell’interpretazione è feconda. L’accrescimento della conoscenza vera passa perciò per la via dell’intepretazione, cioè del nuovo metodo scientifico. Questa via, però, non si può intraprendere se prima non sia dimostrata l’insufficienza della via seguita fino a quel momento dalla filosofia della natura.

formicaPrima delineare il nuovo metodo (pars construens), Bacone deve quindi distruggere gli ostacoli che la nuova scienza trova sulla sua strada (pars destruens): il primo libro del Napeovum Organum è perciò dedicato alla loro demolizione. Il primo aspetto che il filosofo chiarisce con la celebre similitudine delle formiche, ragni e api è che la nuova scienza non sarà né razionalista e priva di confronto con la natura (dogmatica), come quella aristotelica, né empirista e priva di visione teorica come quella alchimista:

«Coloro che trattarono le scienze furono o empirici o dogmatici. Gli empirici, come le formiche, accumulano e consumano. I razionalisti, come i ragni, ricavano dalla loro bava la loro tela. La via di mezzo è quella delle api, che ricavano la materia prima dai fiori dei giardini o dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità. Non dissimile è il lavoro della veragnora filosofia, che non si deve servire soltanto o principalmente delle forze della mente; la materia prima che essa ricava dalla storia naturale e dagli esperimenti meccanici, non deve esser conservata intatta nella memoria, ma trasformata e lavorata dall’intelletto. Così la nostra speranza è riposta nell’unione sempre più stretta e salda delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata». Nov. Org., I, 1.

 

4. I pregiudizi della mente

illusione ottica

Idòla tribus

Il compito preliminare del metodo della scienza è dunque l’eliminazione delle anticipazioni a cui Bacone si accinge nel primo libro del Novum Organum. Questo libro mira a purificare l’intelletto da quelli che Bacone chiama idòla, anticipazioni o pregiudizi sulla realtà che sono sia innati che acquisiti.

I pregiudizi che dipendono dalla natura umana sono gli idòla tribus (della specie), comuni a tutti gli uomini, e gli idòla specus (della caverna), propri di ciascun individuo.

Gli idòla tribus vengono dalle inclinazioni naturali dei sensi e dell’intelletto umano che sono limitati e portati a rinvenire maggiore regolarità nei fenomeni di quanta ne esista realmente. Pregiudizio è per Bacone fare eccessivo affidamento sull’esperienza sensibile e credere che la natura sia più ordinata di quanto sia realmente «la natura non ha fini, solo l’uomo ne ha» (finalismo).

Queste inclinazioni proprie della natura umana (idola tribus) sono fonti di idòla specus, il cui nome platonico indica la tendenza di ogni uomo a rispecchiare (proiettare se stesso, antropomorfizzare le cose) e distorcere ciò che osserva per effetto del proprio limitato punto di vista e dei condizionamenti derivatigli dall’educazione.

Oltre a queste due specie di idòla, inclinazioni della nostra natura con cui ogni uomo che cerchi la verità deve combattere, ci sono i pregiudizi che vengono dai condizionamenti sociali: gli idòla fori (della piazza) e gli idòla theatri (del teatro).

I idola fori sono generati dalle ambiguità proprie del linguaggio e dalle convenzioni necessarie ai rapporti tra esseri umani; si esprimono nelle dispute verbali che si possono troncare solo col ricorso alla realtà.

Gli idòla theatri, invece, derivano dai sistemi filosofici fumosi e indimostrabili che Bacone divide in tre specie: la sofistica (Aristotele), l’empirica (alchimisti) e la superstiziosa (quella che si mescola alla teologia, come quella di Platone che in Temporis partus masculum, uno dei suoi primi opusoli filosofici, definisce

«urbano cavillatore, gonfio poeta, teologo mentecatto».

 

5. Il metodo induttivo

La ricerca scientifica non si fonda, quindi, né solo sui sensi, nè solo sulla ragione. La conoscenza vera viene quando all’esperienza si impone la disciplina dell’intelletto e all’intelletto la disciplina dell’esperienza sensibile.

Il procedimento che realizza questa esigenza è secondo Bacone quello dell’induzione che il filosofo distingue da quella aristotelica, puramente logica che consiste nella semplice enumerazione di casi particolari.

L’induzione baconiana è, invece, scelta ed eliminazione di casi particolari, ripetute successivamente sotto il controllo dell’esperimento e volta a cogliere la causa vera, o forma (ipsissima res), dei fenomeni.

Il metodo induttivo si snoda in cinque fasi:

  • la raccolta dei dati, nella quale  si opera la raccolta e la descrizione di casi particolari;
  • l’elaborazione delle tavole di presenza, nelle quali si raccolgono i casi in cui un dato fenomeno si presenta, d’assenza, che raccolgono i casi in cui è assente pur in circostanze simili a quelle notate nelle tavole di presenza, e dei gradi, che raccolgono i casi in cui il fenomeno si presenza con intensità decrescente.

Sulla scorta di queste tavole si avvia una fase negativa che permette di escludere quelle cause che, in base alle stesse tavole, risultano incompatibili con il fenomeno studiato e dopo questa fase di esclusione si procede alla formulazione della prima ipotesi (vindemiatio prima) intorno alla natura di un fenomeno che guiderà le ulteriori fasi della ricerca con le quali si lavora al vaglio dell’ipotesi attraverso esclusioni ed esperimenti (istanze prerogative) e alla messa a punto di un esperimento cruciale.

L’experimentum crucis, che Bacone chiama in questo modo per riferirsi alle croci erette nei bivi per indicare una biforcazione, serve appunto a scegliere una direzione quando si è in dubbio sulla causa del fenomeno studiato perchè in rapporto con molti altri fenomeni: l’istanza cruciale dimostra infatti la connessione necessaria del fenomeno studiato con uno di essi e la sua separabilità dagli altri.

 

6. L’ambiguità della tecnica

Dedalo e Icaro

Bacone è stato rappresentato molte volte come un entusiasta assertore della tecnica, inconsapevole o disinteressato agli aspetti critici di questa dottrina.

Il Lord Cancelliere mostrò, invece, un’acuta consapevolezza del carattere non neutro e strutturalmente ambiguo della tecnica che il senso comune e alcune correnti del pensiero contemporaneo hanno perso (penso, ad esempio, al dibattito americano degli anni ’90 e ’00 sulle misure di controllo in internet).

Una testimonianza fondamentale della lucidità di Bacone al riguardo si trova nell’interpretazione del mito di Dedalo contenuta nel De sapientia veterum del 1609 (Della sapienza degli antichi, in F. Bacone, Scritti filosofici, trad. it di Paolo Rossi, Torino, Utet, 1975, pp. 482-483).

Dedalo, come si vede è un uomo ingegnosissimo ma esecrabile, ricordato per le “illecite invenzioni” che avevano permesso a Pasifae di accoppiarsi con un toro e generare il Minotauro, divoratore di giovani, ma anche di quella che aveva permesso di tenerlo prigioniero (il Labirinto) al fine di «proteggere il male con il male».

Bacone pensa, quindi, che dalle arti meccaniche si ottengono molti tesori per il servizio della religione, per l’ornamento della vita civile e per il miglioramento dell’intera esistenza, ma che da quella stessa fonte derivano strumenti di vizio e di morte, veleni, macchine da guerra che superano per crudeltà e pericolosità lo stesso Minotauro.

Il filosofo mostra, perciò, di vedere chiaramente l’ambiguità del sapere tecnico che pone come possibile produttore del male (l’illecito accoppiamento, la generazione del mostro), ma anche come strumento di diagnosi e rimedio del male stesso (il Labirinto, il filo).

Nonostante la sua consapevolezza, risale a Bacone l’idea, piena di conseguenze, di un sapere tecnico come strumento decisivo del dominio dell’uomo sulla natura.

E’ interessante allora, ripercorrere le tappe dello scontro tra la concezione organicistica e vitalistica della natura, propria dei greci e delle culture tradizionali, che ha ancora in Giordano Bruno un rappresentante rinascimentale e la visione meccanicistica della natura che caratterizza i filosofi e scienziati della prima modernità, tra i quali, appunto, Bacone e Cartesio.

Tratto da Abbagnano, Fornero, Il testo filosofico, pp. 166-171.

Un altro documento di questo scontro si può trarre, in un diverso contesto, dalla lettera che, si dice, il capo indiano Seattle avrebbe inviato nel 1852 al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce che voleva negoziare con i nativi il possesso della terra. Si tratta di una documento, secondo alcune fonti non autentico, ma della cui bellezzza nessuno dubita.

«Quando il Gran Capo di Washington manda a dire che desidera acquistare la nostra terra, egli chiede molto da noi. Il Gran Capo manda a dire che ci riserverà un’area in modo che noi possiamo vivere comodamente. Egli sarà il nostro padre e noi saremo suoi figli.

Così noi considereremo la Vostra offerta di comprare la nostra terra. Ma non sarà facile.

Perché questa terra è sacra per noi. Questa acqua scintillante che scende nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua ma il sangue dei nostri antenati. Se vi vendiamo la terra dovrete ricordare che è sacra, e dovrete insegnare ai vostri figli che è sacra, e che ogni immagine spirituale riflessa nella chiara acqua dei laghi parla di avvenimenti e ricordi nella vita del mio popolo.

Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, spengono la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e alimentano i nostri figli. Se vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordarvi e insegnare ai vostri bambini che i fiumi sono nostri fratelli, e vostri, e che dovrete d’ora innanzi riservare ai fiumi tutte le gentilezze che riservereste a ogni fratello.

Sappiamo che l’uomo bianco non comprende il nostro modo di pensare.

Un pezzo di terra è per lui uguale a quello vicino perché egli è lo straniero che viene di notte e prende dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno.
La sua avidità divorerà la terra e lascerà dietro a sé solo il deserto.
Io non lo so. I nostri modi di pensare sono diversi dai vostri.

La vista delle vostre città fa male agli occhi dell’uomo rosso, forse perché l’uomo rosso è un selvaggio e non capisce. Non c’è luogo tranquillo nelle città dell’uomo bianco. Nessun luogo per ascoltare l’aprirsi delle foglie in primavera o il fruscio delle ali di un insetto.

Ma può darsi che questo sia perché io sono un selvaggio e non capisco.

Già il solo fracasso sembra un insulto alle orecchie. E come si può chiamare vita se non si riescono ad ascoltare il grido solitario del capriolo e le discussioni delle rane di notte attorno ad uno stagno?

Io sono un uomo rosso e non capisco.

L’indiano preferisce il sommesso suono del vento che increspa la superficie dello stagno e l’odore del vento stesso, purificato da una pioggia di mezzogiorno o profumato dai pini.

L’aria è preziosa per l’uomo rosso perché tutte le cose dividono lo stesso respiro, la bestia, l’albero, l’uomo, tutti dividono lo stesso respiro. L’uomo bianco non sembra notare l’aria che respira. Come un uomo in agonia da molti giorni egli è insensibile alla puzza.

Ma se vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordare che l’aria per noi è preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutta la vita che sostiene. Il vento che diede al nostro avo il suo primo respiro riceve anche il suo ultimo sospiro. E se vi venderemo la nostra terra dovete tenerlo separato e considerarlo come un posto dove persino l’uomo bianco possa andare a sentire il vento addolcito dai fiori di prateria.

Così considereremo la Vostra offerta di acquistare la nostra terra. Se decideremo di accettare, io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà trattare le bestie di questa terra come sue sorelle.

Io sono un selvaggio e non capisco altro modo.

Cosa è un uomo senza le bestie? Se tutte le bestie se ne fossero andate, l’uomo morirebbe di grande solitudine di spirito perché qualunque cosa succeda alle bestie, presto succede all’uomo.

Tutte le cose sono collegate.

Dovrete insegnare ai Vostri bambini che la terra sotto i loro piedi è la cenere dei nostri avi. Affinché essi rispettino la terra dite ai Vostri bambini che la terra è ricca delle vite della nostra razza.
Insegnate ai vostri bambini ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri bambini: che la terra è nostra madre.

Qualunque cosa succeda alla terra, succede ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra sputano su se stessi.

Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo ma l’uomo appartiene alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate come il sangue che unisce una famiglia.
Tutte le cose sono collegate.

Qualunque cosa succeda alla terra succede ai figli della terra.
L’uomo non ha tessuto la trama della vita: egli è un filo.
Qualunque cosa egli faccia alla trama egli lo fa a se stesso.

Anche l’uomo bianco, il cui Dio cammina e parla con lui da amico, non può essere esonerato dal destino comune.
Potremmo essere fratelli, dopo tutto.

Vedremo.

Noi sappiamo una cosa che l’uomo bianco potrebbe scoprire un giorno: il nostro Dio è lo stesso Dio. Ora potreste pensare che voi lo possediate come desiderate possedere la nostra terra, ma non potete. Egli è il Dio dell’uomo e la Sua misericordia è uguale per l’uomo rosso e per l’uomo bianco.

Questa terra è per Lui preziosa e trattarla male è accumulare disprezzo sul suo Creatore. Anche i bianchi dovranno passare, forse prima di tutte le altre tribù.
Contaminate il Vostro letto e una notte soffocherete nei vostri rifiuti.
Ma nel vostro perire voi splenderete, incendiati dalla forza del Dio che vi ha portato su questa terra e per qualche speciale scopo vi ha dato il dominio sulla terra e sull’uomo rosso.

Questo destino è per noi un mistero, perché noi non sappiamo quando i bufali saranno tutti massacrati, i cavalli dominati, gli angoli segreti della foresta appesantiti con l’odore di molti uomini e la vista delle colline opulenti deturpata dai cavi.

Dov’è il boschetto? Sparito. Dov’è l’aquila? Sparita.

La fine della vita è l’inizio della Sopravvivenza.

Per approfondire:

  1. La casa di re Salomone (l’utopia baconiana negli esperimenti di Bensalem)
  2. Vivisezione: senza i test sugli animali la medicina non può progredire [i dati]
  3. Confrontare infine quanto letto con la visione nativa, organicistica del capo Seattle.

 

Esercitazione

Stendi un breve testo argomentativo in cui, dopo aver richiamato le visioni organicista e meccanicista della natura ed esserti soffermato sull’idea baconiana dell’instaurazione del regnum hominis, esponi il tuo punto di vista sul problema ecologico.

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