Archive for Giugno, 2013

28 Giugno, 2013

Danilo Dolci, Ciascuno cresce solo se sognato

by gabriella

 Il prossimo 28 giugno ricorre il novantesimo anniversario della nascita di Danilo Dolci, alla cui opera Fahrenheit ha dedicato l’apertura della trasmissione del 5 marzo.

danilo dolci

C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

 

28 Giugno, 2013

M. Ragone, Le parole di Danilo Dolci. Voce “Educare”

by gabriella

L’impegno educativo porta Dolci a ricercare i nessi tra educare, creatività e sviluppo. Il più onesto insegnare, il più «scientifico » istruire, non possono bastare: l’essenziale accordo creativo di ogni ambiente, dalla famiglia al mondo, passa attraverso il chiaro sapersi connettere di ognuno. Educare è favorire in ognuno l’iniziarsi dalla naturale curiosità allo scoprire esprimendosi, al sapere rapportare comunicando; contribuire a svegliare, scoprire e ampliare gli interessi più profondi, seminando interrogativi.

«L’educazione diventa rivoluzionaria quando non è “investimento per la formazione di personale adatto, e in numero sufficiente, a corrispondere ai bisogni della civiltàindustriale”, ma processo di sensibilizzazione e costruzione dicittadini di una nuova società, che si adattano solo a quantoritengono accettabile.» [Inventare il futuro, 1968, pp. 127-8.]

L’educatore ascolta
essenziale,
«la sua parola è medicamento»,
impara a fare crescere domande,
sollecita consigli, studia come
sviluppare dal fondo
nuove persone, gruppi responsabili –
attento a illimpidire esattamente
impara a fare crescere le ali.

Danilo Dolci, Poema umano

Palpitare di nessi

«Educare un mondo congruo a vivere, in cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forsesignifica:
– imparando a guardare e osservare (dai miei occhi escono radicie cordoni ombelicali nel mondo, dalle mie orecchie, dallapelle, da tutta la mia persona), favorire in ognuno l’iniziarsidalla naturale curiosità allo scoprire esprimendosi, al sapererapportare comunicando;
– contribuire a svegliare, scoprire e ampliare l’interesse profondo;
– il bisogno di essere tra, di essere dentro: poiché ognuno percepisce,esprime, reagisce e cresce diversamente, segnato dalla suapreistoria, esercitare la scienza–arte della levatrice rispettando ivalori genetico–potenziali;
– formare laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempie spazi diversi, ognuno possa risultare levatrice ad ognuno: incui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle diverse forme di chiusura, oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca;
– comunicare sostenendo via via nel tempo il creativo compiersidi ognuno: ogni donna diventando madre si trova modificatoil proprio organismo (il rapporto tra l’embrione e la madrerappresenta un equilibrio biologico nell’ambito della specie: senon viene raggiunto un reciproco adattamento creativo, muore il figlio o muore la madre);
– contribuire a sviluppare metodi di apprendimento, attiva responsabilizzazione,arte di vivere (la levatrice non cela comeopera ma non detta a chi impara “si fa così”), rispettando l’esigenzadel maturarsi e la comune natura cosmopolita: considerandotraguardi comuni i programmi;
– avviare e sviluppare a ogni livello processi di analisi e autoanalisi affinché ognuno impari a considerare e risolvere problemi e conflitti componendo gli interessi particolari nell’interesse organico, impari a interpretare e modificare la realtà inventando sia le possibili leve che le forze necessarie al cambiamento, impari ad articolare i rapporti di potere: in modo che la creatura sappia operare, verificarsi, valorizzarsi, potenziarsi, interagendocon l’esperienza dell’ambiente» [Palpitare di nessi, 1985, pp.113-4.]

Poema umano

Per educare
meglio non inizi
dalla grammatica, dall’alfabeto:
inizia dalla ricerca del fondo interesse
dall’imparare a scoprire,
dalla poesia ch’è rivoluzione
perché poesia.
Se educhi alla musica:
dall’udire le rane,
da Bach, e non da pedanti esercizi.

Quando avranno saputo, i tuoi alunni
può una carezza essere infinite
carezze diverse, un male infiniti
mali diversi,
e una vita infinite vite,
arrivando alle scale chiedi le suonino
tesi come una corda di violino
con la concentrazione necessaria
al più atteso concerto.

Non temere di rimanere
solo.
Inizia con pochi
a garantire qualità all’avvio,
per essere di tutti:
elastico con chi non sa capire
aperto al diverso
non lasciarti annegare in confusioni arruffone
da chi è inesatto e impuntuale cronicamente –
taglia netto.

E soprattutto cerca di scoprire
la necessaria dialettica
tra l’impegno maieutico e l’assumere
responsabili scelte.
[Poema umano, 1974, pp. 123-4.]

Il lavoro di Michele Ragone è interamente accessibile online (in creative commons) all’indirizzo: http://www.inventati.org/educazionedemocratica/pdf/biblioteca/Michele_Ragone_Le_parole_di_Danilo_Dolci.pdf

28 Giugno, 2013

Antonio Fiscarelli, Comunicazione e trasmissione secondo Danilo Dolci

by gabriella

Danilo Dolci

Il blog di Giuseppe Casarrubea segnala un bel saggio di Antonio Fiscarelli, dottorando a Lyon 2, sul conflitto tra comunicazione e trasmissione nel pensiero educativo di Danilo Dolci.

Nella storia teorica e pratica dell’educazione, la nozione di trasmissione ha sicuramente riscosso maggiore interesse rispetto a quella di comunicazione, quando questa non è stata decisamente confusa con quella. Non sottostimerei quanto abbia storicamente influito nell’affermarsi dell’una in contrasto con l’altra il fatto che per millenni le popolazioni abbiano vissuto sotto governi dittatoriali prima di cominciare l’esperienza della democrazia [Traduzione del testo francese “Danilo Dolci. Le conflit entre transmettre et communiquer et sa résolution maïeutique, presentato alla “Biennale internationale de l’éducation, de la formation et des pratiques professionnelles”, Parigi, 2012].

La trasmissione – di conoscenze, valori, tradizioni, abitudini – a cui fanno principalmente allusione alcune correnti di pensiero e pratiche educative, i modi di organizzare il passaggio generazionale dei patrimoni sociali e culturali, conserva legami molto forti con le forme di governo che anticipano la nascita della democrazia. Un modello educativo –che Danilo Dolci non ha esitato a definire trasmissivo, nel senso peggiore del termine- si è formato durante secoli di tirannie e dispotismi, di cultura oppressiva, autoritaria e violenta. Al contrario, la nozione di comunicazione e tutto l’universo immaginario che essa implica, sono comparsi solo negli ultimi due tre secoli di progressivo sviluppo dei grandi stati democratici. Questi sono fondati su un’idea molto positiva di comunicazione, intesa come partecipazione e apertura agli scambi e alle relazioni reciproche tra individui e gruppi (ciò che faciliterebbe anche gli scambi meramente economici come li possiamo osservare oggi, fondamentali per il tipo di democrazia che gli stati moderni hanno adottato, ciascuno interpretandolo a modo proprio), mentre le dittature puntano a rompere la comunicazione di individui e gruppi verso l’esterno, a ridurla drasticamente all’interno, a strutturare una comunicazione interna inoculante e omologante.

Nel praticare scambi ridotti al poco che basta per conservare il controllo e il dominio di pochi su molti, anche nelle democrazie la comunicazione resta su alcuni piani appunto vincolata ancora al modello trasmissivo (l’esempio più tipico è quello dato dai mass-media e dalla politiche didattiche nelle scuole e nelle università).  Tuttora prevalente nei centri sensibili dell’educazione dei popoli, tale modello è l’esito dell’interiorizzazione dei modelli precedenti, solo parzialmente influenzati dalla moderna cultura democratica, molto limitatamente cresciuti di autentico democratico modo di essere e fare a seconda del paese).

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27 Giugno, 2013

Non è stato tutto inutile, prof.

by gabriella

Delicata e ironica la lettera di saluto della 5B alla sua insegnante in questo video che è anche un documento etnografico della povertà materiale di una scuola che, quando funziona, si aggrappa alle relazioni per sopportare il degrado presente mentre, quando non ci riesce – non è il caso di questa fortunata classe e di quest’ottima collega -, riproduce nell’anima quel deserto esteriore.

26 Giugno, 2013

Roberto Escobar, L’autocostruzione umana

by gabriella
Jan_Cossiers, Prometheus

Jan_Cossiers, Prometheus

Un’altra interpretazione del mito di Prometeo e del processo di ominazione che esplora la costruzione greca (esiodea) dell’immagine dell’uomo, a metà tra il divino e l’animale e confluisce nella genesi di cultura di Nietzsche e Gehlen. Tratto da Metamorfosi della paura, Il Mulino, 1997.

 

Il genio della specie

Prometeo – il Protanthropos, l’uomo primordiale celeste che s’eleva sopra i piccoli uomini primordiali terrestri, «ma nello stesso tempo prende partito per loro» [Kerényi, Miti e misteri, Garzanti, 1986, I, p. 292] – è l’immagine che, della condizione umana, si fa il realismo greco. In essa, nella sua conoscenza del reale, appunto, è implicita in primo luogo la conoscenza del non-umano, di quel che è odioso agli uomini, e contro cui occorre prendere posizione. Sul versante opposto, sul versante di tutto quello che schiaccia l’uomo e ne contrasta lo sforzo laborioso, sta un’altra immagine: l’immagine di Zeus. A lui – che sta al di sopra di chi sta sopra -, il Protanthropos deve contendere la possibilità stessa di sopravvivere, facendosi ladro necessario del divino, ossia del non-umano. Il furto del fuoco, soprattutto, rivela la natura di tale necessità.

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26 Giugno, 2013

Il mito, i simboli e il loro uso politico

by gabriella

Raccolta di testi per esplorare la natura del mito in relazione alla costitutiva incompletezza della natura umana (Vernant; Guidorizzi) e al suo uso politico. I testi di Levi-Strauss, Barthes, Escobar sono pensati per introdurre all’uso politico del mito e del simbolico.

Jean-Pierre Vernant, Il mito greco

Non sono soltanto racconti. Contengono un tesoro di pensieri,
forme linguistiche, fantasie cosmologiche,
precetti morali, ecc.
che costituiscono il patrimonio comune dei greci dell’epoca preclassica.

Jacques Roubaud

zeus

Tratto da L’Univers, les Dieux, les Hommes (1999) trad. it. L’universo, gli dei, gli uomini, Torino, Einaudi, 2000.

Secondo Lévy-Strauss, un mito (μύθος) quale che sia la sua provenienza, si riconosce per la sua differenza dal racconto storico. La differenza con la narrazione storica è così ben marcata che in Grecia la historia (ἱστορία) si è formata contro il mito, come il resoconto esatto di fatti abbastanza vicini nel tempo perché testimini affidabili avessero potuto attestarli. Il mito si presenta invece come

un racconto venuto dalla notte dei tempi e che esisteva già prima che qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo [J.-P. Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini. Il racconto del mito, Torino, Einaudi, p. 5].

Il mito greco è un corpus di racconti arrivato a noi solo nel momento del declino, sotto forma di testi scritti che appartengono alle opere letterarie maggiori dell’epopea, della poesia, della tragedia, della storia e persino della filosofia, nelle quali, ad eccezione dell’Iliade, dell’Odissea e della Teogonia di Esiodo, compaiono dispersi, in modo frammentario, a volte allusivo. La condizione d’esistenza del mito è infatti l’oralità che permette alla polisemicità del racconto di svilupparsi e prendere forma in infinite variazioni ad ogni narrazione. Il racconto mitico presenta sempre varianti, versioni multiple.

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23 Giugno, 2013

Lidia Storoni, Le origini e l’identità dei greci

by gabriella

Un vecchio, ma interessante articolo riproposto da Salvatore Lo Leggio sul declino della civiltà micenea e le misteriose orgini della civiltà greca classica.

Omero, nell’VIII secolo a.C., descrisse un mondo, un codice d’onore, un complesso di costumi che, ai suoi tempi, erano già dileguati da 400 anni almeno, come fece l’Ariosto con le gesta di Orlando. Dal catalogo degli eroi e delle loro navi – Agamennone ne aveva 100, Achille 50, Ulisse soltanto 12, – dalle armi, dalle suppellettili, da tutto il comportamento dei guerrieri si direbbe che essi, sovrani ciascuno nella sua piccola reggia, appartenessero a una cultura uniforme dal punto di vista etnico e linguistico e che l’affronto fatto a uno di loro li avesse spinti a muovere dalla Grecia continentale e dalle isole dello Jonio e dell’Egeo per vendicarlo; o, secondo una versione più realistica, per assicurarsi la navigazione sui Dardanelli.

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20 Giugno, 2013

Eleonora de Conciliis, Elias Canetti e l’esperienza del potere

by gabriella

elias-canettiUno dei tre saggi di Eleonora de Conciliis su Elias Canetti pubblicati da Kainòs. Gli altri due sono: Identità e rifiuto: appunti per un’antropologia del postmoderno; Le metamorfosi della carne.

   Raggiungere l’immortalità è l’apice del potere.

Michel Foucault

Prologo

Come ben sanno coloro che studiano la sua opera a partire dagli specialismi di una disciplina (ad esempio provenendo dai recinti della germanistica, della filosofia politica, dell’antropologia o della sociologia), Elias Canetti non si lascia facilmente etichettare o imprigionare: la difficoltà principale incontrata dal lettore smaliziato, sia che prenda in esame la produzione narrativa – Auto da fé e l’autobiografia[1] –, sia che s’immerga nel freddo mare degli aforismi e dei saggi [2] o nei sofisticati giochi del suo teatro[3], sia, infine, che s’inoltri nella prismatica mole di Massa e potere[4], consiste nel dover immediatamente rinunciare tanto al proprio lessico concettuale, quanto ad ogni velleità d’interpretazione unitaria ed esaustiva. E questo non perché un’interpretazione non sia possibile, ma perché essa diventa tale solo a patto di non sovrapporre ai testi canettiani la miope gabbia definitoria di un singolo ‘campo’ accademico[5]: solo una sorta di libertà trasversale consente agli specialisti di leggere Canetti senza rimpicciolirsi, ovvero senza pagare un prezzo alla sciocca pretesa di ridurlo a se stessi.

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20 Giugno, 2013

Bonhoeffer

by gabriella
Dietrich Bonhoeffer (1906 - 1945)

Dietrich Bonhoeffer (1906 – 1945)

«Dio, inteso come ipotesi di lavoro morale, politica, scientifica, è eliminato, superato (..) E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo – etsi deus non daretur» [D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, ed. it. a cura di A. Gallas, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 1996, pp. 438-40.]

Sono le celebri parole affidate da Dietriech Bonhoeffer a una delle sue ultime lettere di argomento teologico, scritte in carcere, poco prima di essere assassinato per mano nazista, per l’accusa – fondata – di aver partecipato a una cospirazione per eliminare Hitler.

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19 Giugno, 2013

Pier Luigi Fagan, A cosa serve davvero Prism

by gabriella

Questo ottimo articolo di Pier Luigi Fagan spiega perchè per capire Prism non basti più la prospettiva della sorveglianza, ma occorra allargarla a quella del controllo a largo spettro e della guerra economica in corso.

prismIl Datagate si allarga a macchia d’olio ma qualcuno ancora non vede a cosa realmente serva questa forma di spionaggio a grana grossa. La grana grossa sono i meta-data, l’oggetto concreto che il programma PRISM produce, dove siamo, dove andiamo, chi contattiamo, quante volte, di cosa ci interessiamo, le nostre “cerchie” etc. . Apparentemente non c’è ascolto di alcun contenuto, cioè di nessuna conversazione o scrittura privata, solo di comportamenti, interessi, relazioni. Per farne cosa?

Lazlo-BarabasiCe lo disse in parte, in un pubblico libro, Albert-László Barabási, fisico di origine rumeno-ungherese conosciuto per la sua teoria delle reti. Il libro è tutt’altro che uno scoop complottista, ma un saggio di divulgazione scientifica pubblicato nel 2011 da Einaudi (Albert-László Barabási, Lampi, Einaudi, Torino, 2011) che segue un precedente dello stesso autore, per lo stesso editore (Albert-László Barabási, Link, La scienza delle reti, Einaudi, Torino, 2004), più o meno sullo stesso argomento.

Il giovane professore (Indiana, Boston) è conosciuto nell’ambito della Teoria delle reti che è un sottoinsieme della più vasta cultura dei Sistemi e della Complessità, per aver descritto il concetto di “reti ad invarianza di scala” soggette alla legge di potenza. Non è nostro specifico interesse inoltrarci qui nella spiegazione precisa del concetto. Basterà dire che la rete metabolica, le reti sociali, la rete delle interrelazioni economiche, Internet come rete di router e server così come la rete dei link delle pagine web, nonché i social network, il concetto dei “sei gradi di separazione”, i sistemi di circolazione delle informazioni, le reti di possibile diffusione dei virus, nonché vari tipi di sistemi fisici, alcune reti logistiche, le reti commerciali, rispondono tutti alle descrizioni di questa nuova disciplina. Il fine della disciplina è sistematizzare i dati empirici onde trarne inferenze statistiche utili a prefigurare una conoscenza del comportamento di questi sistemi, per prevederli, controllarli, riprodurli. Per come lo sintetizzano K.Cukier e V.Mayer-Schoenberger parte del cui libro è ripreso nell’ultimo numero di Internazionale, questo approccio dello sguardo scientifico usa dati non pochi ma molti, non precisi ma disordinati, accontentandosi di sistematizzare le correlazioni in luogo della ricostruzione della causalità. E’ una forma di conoscenza di come funzionano taluni sistemi complessi.

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