Archive for Dicembre, 2012

29 Dicembre, 2012

1982, in Inghilterra si progetta lo smantellamento del welfare

by gabriella

ThatcherDocumenti ufficiali di Downing Street, da poco resi pubblici, rivelano il piano di Margaret Thatcher per cancellare lo stato sociale, al quale il premier britannico avrebbe rinunciato per l’opposizione del suo stesso esecutivo che lo considerava eccessivamente radicale. Un articolo del Guardian, tradotto da Voci dall’estero,  rilegge la vicenda, concludendo che le condizioni assenti trent’anni fa potrebbero oggi essersi realizzate.

Come mostrano le nuove rivelazioni dei documenti di Downing Street, recentemente pubblicati, nel 1982, Margaret Thatcher e il suo ministro Howe misero a punto un piano politicamente micidiale per smantellare il Welfare State, dal quale il premier britannico prese le distanze dopo ciò che è stato descritto come una sommossa nel suo stesso gabinetto di governo. Le proposte considerate dal suo gabinetto comprendevano l’istruzione scolastica a pagamento e un massiccio ridimensionamento degli altri servizi pubblici. “Questo, naturalmente, significherebbe la fine del Servizio Sanitario Nazionale”, dichiarava il memorandum riservato per il governo redatto dal Central Policy Review Staff nel settembre del 1982, desecretato venerdì dalla National Archives, dopo che sono trascorsi 30 anni.

Nigel Lawson, l’allora segretario all’energia, disse che il rapporto del thinktank ufficiale sulle opzioni per la spesa pubblica a lungo termine provocò “la cosa più simile a una rivolta che sia mai avvenuta nella storia dell’amministrazione Thatcher”. Nelle sue memorie, la Thatcher dice: “Quando vidi questo documento, rimasi inorridita. Feci notare che quasi certamente sarebbe trapelato, dando un’impressione totalmente falsa … Era una vera sciocchezza”, affermando quindi che le proposte non furono mai seriamente considerate né da lei né dai suoi ministri.

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23 Dicembre, 2012

Un nuovo mondo

by gabriella

camminando

AVETE SENTITO?

è il suono del vostro mondo che cade a pezzi
è quello del nostro che risorge
il giorno che è stato il giorno, era notte
e notte sarà il giorno che sarà  il giorno
democrazia!
libertà!
giustizia!

Ezln

23 Dicembre, 2012

Voltaire

by gabriella
21 Dicembre, 2012

Jared Diamond, Educazione selvaggia

by gabriella

Jared_diamond

Schoolstorming segnala una riflessione di Jared Diamond sull’educazione nelle società tradizionali, nella quale evidenzia la capacità delle comunità di cacciatori-raccoglitori di sviluppare nei loro giovani “sicurezza emotiva, […] fiducia in sé, […] curiosità e autonomia […] e un precoce sviluppo delle competenze sociali, non soltanto quando sono ormai adulti, ma già da bambini. Queste sono qualità che la maggior parte di noi ammira, qualità che vorremmo vedere nei nostri stessi figli, mentre di fatto noi scoraggiamo lo sviluppo di queste qualità suddividendo i bambini per età, dando loro voti, dicendo loro continuamente che cosa devono fare“. Qui il testo di Educazione selvaggia.

18 Dicembre, 2012

Alessandro Portelli, Il furore della depressione

by gabriella
Columbine

Il commento di Alessandro Portelli sulla strage di Newtown (Connecticut).

Non mi viene in mente nessuna delle ricorrenti stragi americane che sia stata perpetrata da una donna. Al di là della modalità e degli strumenti, dunque, la dimensione di genere ci aiuta a collocare queste tragedia in un quadro un po’ meno esclusivamente americano: in fondo, anche in Italia è in corso da un pezzo una strage ininterrotta, solo che invece di un omicidio di massa tutto in una volta con armi convenzionali si tratta di uomini che uccidono le loro vittime una alla volta, usando una varietà di armi, domestiche e non.
Uomini cSI CHIAMA FEMMINICIDIOhe non sopportano di non dominare più le donne, uomini che non sopportano di non riuscire a orientarsi e trovare un senso di sé, che non sopportano di vedersi sfuggire di mano i ruoli e le prerogative patriarcali su cui hanno investito la propria presenza nel mondo. Da noi, è la sfera privata che ti va in pezzi, e uccidi chi ti è vicino; negli Stati uniti è la sensazione che sia il mondo intero che ti assedia, e allora forse è anche per questo che la violenza si scatena in spazi pubblici come vendetta sul mondo, e colpisce vittime sconosciute e senza nome nelle strade, nelle scuole o nelle università, che sono quasi l’unica istituzione residua di socialità, quindi il più immediato segno di presenza della sfera pubblica. 
Nell’ultima campagna elettorale si diceva che un candidato che avesse propugnato un qualche limite alla vendita e accessibilità indiscriminata delle armi avrebbe firmato il proprio Furoresuicidio politico. Ho amici in territori marginali e in sacche di povertà americane che vedono nel possesso delle armi l’unico segno di essere cittadini, il solo diritto di cittadinanza che sentono di esercitare in un luogo e un tempo in cui salute, casa, lavoro non sono neanche pensati come diritti, e gli altri diritti democratici, dal diritto di parola al diritto di voto, sembrano spesso puramente virtuali o relativamente insignificanti; dove la politica non ti conosce, i media ti ignorano, e il sacrosanto diritto di proprietà è esploso con la crisi dei mutui che ti cacciano di casa, con la polarizzazione del reddito fra ricchissimi e classe media impoverita, con la intrinseca precarietà del posto di lavoro.
«A chi possiamo sparare?» chiede un contadino sfrattato dalla terra, in Furore di Steinbeck, il romanzo dell’altra Depressione: come fai a sparare a una banca? Oggi il nemico è ancora più senza volto, ancora più inafferrabile, il nemico è il mondo intero, e se il cinismo mercantile dell’industria e la follia ideologica della destra ti mettono a disposizione armi letali tu non hai che da allungare le mani e sparare all’impazzata, contro bersagli che non sono nessuno perché rappresentano tutti.
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/9003/
18 Dicembre, 2012

Felice Mometti, Sandy, dopo l’uragano, la speculazione

by gabriella

SandyGli abitanti di Rockaway, la zona di New York maggiormente colpita dall’uragano Sandy, hanno dovuto aspettare un mese prima di vedere apparire il sindaco Bloomberg. I venti km di distanza dal suo ufficio di Manhattan li ha percorsi in elicottero. All’arrivo ha trovato un «comitato» di accoglienza poco incline ad ascoltare discorsi di circostanza e la visita del primo cittadino è durata un’ora scarsa tra proteste e un po’ di insulti. Il ritorno è avvenuto via terra con una decina di macchine di scorta. A quaranta giorni dall’uragano, più di 60 mila abitanti di Rockaway, oltre ad avere le case distrutte o lesionate, non hanno ancora l’acqua e l’energia elettrica. Da settimane non si vedono più nemmeno i funzionari della Croce Rossa e della Fema, una specie di protezione civile. Nelle strade, tra le macerie, nei punti di distribuzione dei pasti e dei generi di prima necessità si vedono solo gli attivisti di Occupy Sandy.

Alla catastrofe naturale, e qui ci sarebbe molto da dire sulla sua «inevitabilità», si è aggiunta quella dei soccorsi gestiti dall’amministrazione pubblica e dagli enti preposti. A tal punto che si è anche assistito ad alcuni episodi a dir poco imbarazzanti. Una quindicina di giorni fa davanti alla chiesa episcopale di Brooklyn, che funziona come magazzino di smistamento degli aiuti di Occupy Sandy, sono arrivati alcuni automezzi pesanti con le insegne del Dipartimento di Polizia di New York. I presenti, memori della repressione di Occupy Wall Street e dello sgombero di Zuccotti Park, hanno allertato tutti i volontari e gli attivisti temendo l’ennesima operazione di polizia. Nulla di ciò. Un poliziotto scendendo dal primo camion ha comunicato che quelli erano gli aiuti raccolti tra gli agenti di polizia e che, dopo vari tentativi, non sapeva dove e a chi consegnarli per la distribuzione nei quartieri colpiti. I responsabili del gruppo di Occupy Sandy che si occupa della «formazione» dei nuovi volontari, che ogni giorno arrivano, sono stati contattati dai funzionari della Fema – l’agenzia governativa che dovrebbe avere tra i suoi compiti anche i pronto intervento in caso di disastri naturali – per verificare la loro disponibilità a organizzare brevi corsi intensivi di «preparazione a stabilire rapporti con le popolazioni colpite» rivolti al personale dell’agenzia. Gli automezzi della polizia sono stati scaricati, non senza discussioni tra i volontari sull’opportunità di farlo, e la richiesta della Fema è stata rispedita al mittente. Il 27 novembre scorso i residenti di Red Hook, un quartiere a basso reddito di Brooklyn allagato dall’uragano, esasperati dalla lentezza degli interventi per il ripristino dell’energia elettrica – a differenza della rapidità con cui sono avvenuti a Wall Street e dintorni – insieme a Occupy Sandy hanno portato un po’ di fango e macerie davanti alla sede della New York City Housing Authority, l’ente che dovrebbe gestire i programmi di edilizia residenziale pubblica.

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18 Dicembre, 2012

Ungheria: proteste di massa per il diritto allo studio

by gabriella

A man holds up a sign during a protest in central Budapest.

Stralcio da un articolo di repubblica.it la notizia della protesta studentesca in corso in Ungheria da una settimana.

Migliaia di studenti stanno protestando a Budapest, davanti ai palazzi del governo e alcuni di loro verso il Palazzo della Radio, per il diritto allo studio e il ripristino delle libertà fondamentali.

Le manifestazioni degli studenti si protraggono quotidianamente da quando il governo ha annunciato di voler ridurre drasticamente le borse di studio (già fatto anche da noi) e aumentare le tasse universitarie (già fatto anche da noi). Il che in un paese a basso reddito medio significa riservare l’accesso all’università ai soli benestanti (ovviamente, come da noi). Il governo magiaro ha peraltro già dimezzato il numero delle università in contrasto con la politica di promozione culturale del resto della Mitteleuropa (Germania, Polonia, Repubblica cèca per esempio) e dei paesi scandinavi (è in corso anche da noi).

La protesta è partita dalla Eotvoes Lorand Egyetem, la più prestigiosa delle università della capitale, legata ai migliori atenei del mondo. Gli studenti però sono aiutati solo dalla rete e dai blog, i media ufficiali tacciono (anche i nostri). Dopo un incontro con studenti filogovernativi, Orbàn ha proposto un compromesso rifiutato dai giovani: studi gratis ma se v’impegnate a lavorare poi in patria. Assurdo, vista l’altissima disoccupazione giovanile e l’alta domanda di forza lavoro qualificata poliglotta in Germania e altrove (ecco un aspetto originale: ai nostri studenti si chiede invece di lasciare l’Italia e cercare occupazione lontano da mammà, come ha affermato simpaticamente il ministro Cancellieri).

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11 Dicembre, 2012

Lo stato dell’economia mondo. Disoccupati, sottooccupati e inattivi

by gabriella

disoccupatiA metà 2012 la Banca mondiale ha reso note le stime di crescita dell’economia mondiale. Il risultato atteso è di una crescita del 2,5%, trainata quasi esclusivamente dalle economie emergenti.  Si potebbe dunque credere che la recessione mondiale stia finendo e che, seppure a fatica, le economie BRICS continuano ad alimentare il ciclo espansivo su cui si basa l’economia di mercato, tenendo in vita le asfittiche realtà dei paesi sviluppati. In un saggio pubblicato su Connessioni, Antonio Carlo dà una lettura diversa dei dati forniti dalle fonti ufficiali, mostrando che:

i paesi ricchi sono fermi in tendenziale ristagno, e per stare fermi devono continuare ad indebitarsi a ritmo crescente […], se fossero imprese private sarebbero fallite da tempo. Quanto ai paesi emergenti, che sono in netta flessione di crescita, per essi un ritmo del 5% o poco più, rapportato alla modestissima base di partenza (l’India ha un PIL procapite di poco superiore ai 1000 dollari, quello della Cina è più elevato ma enormemente inferiore a quello delle province più povere del sud Italia) è irrisorio; la Cina, il colosso tra gli emergenti, dovrebbe crescere quest’anno del 7,5% (obiettivo del governo cinese fissato in marzo 2012), ma come vedremo l’indice PMI , che misura l’attività manifatturiera centrale per quel paese, si è collocato spesso sotto livello 50 che segna lo spartiacque tra sviluppo e ristagno o recessione4, in altre parole con 7,5% di crescita del PIL la Cina è in ristagno, ma gli altri paesi emergenti stanno peggio, l’India crescerà quest’anno sotto il 5% e l’anno prossimo rimbalzerà (si fa per dire) al 6%. Il mondo [insomma] è fermo e non sa come ripartire […].

La sovraproduzione di forza lavoro (disoccupazione)

Nel corso dell’anno vengono diffusi i dati dell’OCSE e dell’ILO sulla disoccupazione: 205 milioni a livello mondiale (75 milioni giovani), 50 milioni in più rispetto alla fase pre-crisi, nell’OCSE siamo a 48 milioni, 15 in più rispetto al periodo pre-crisi. Rispetto al picco della crisi (2009) solo una lieve limatura (allora era a 212 milioni), più formale che reale perché è cresciuto il numero degli scoraggiati che non cercano più lavoro e che formalmente non sono considerati disoccupati; solo in USA sono una cifra maggiore della lieve “limatura” realizzata. A questi poi bisognerebbe aggiungere quelli che il lavoro non lo hanno mai cercato, pur essendo in età da lavoro: il tasso di attività media a livello mondiale si colloca intorno al 60%7 (così anche in USA e Giappone), nella UE siamo al 63,9%, in Italia al 56,9% (Eurostat): in sostanza a livello mondiale su 5 persone in età da lavoro ne sono occupate solo 3.

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11 Dicembre, 2012

Michaël Foessel, Dopo la fine del mondo. Critica della ragione apocalittica

by gabriella

FoesselPARIGI – Il 21 dicembre 2012 s’avvicina. Una data a cui molti guardano con un misto di curiosità e apprensione, per via della profezia del calendario Maya che per quel giorno fatidico ha annunciato la fine del mondo.
In Francia, se ne parla molto, anche perché, secondo antiche leggende, Bugarach, un paesino vicino ai Pirenei, avrà la fortuna di essere risparmiato dall’apocalisse prossima ventura. Motivo per cui la località è presa d’assalto da frotte di turisti e curiosi, al punto che il prefetto ha deciso di vietarne l’accesso ai non residenti.

Di fronte a queste paure e credenze più o meno diffuse, di solito si parla di superstizione, irrazionalità e ignoranza. Tuttavia, secondo Michaël Foessel, un giovane e brillante filosofo che insegna alle università di Digione e Berlino, l’ossessione della fine del mondo deve invece essere letta e analizzata come un sintomo della condizione contemporanea, dominata dalla precarietà e dall’alienazione. Tesi spiegata diffusamente in un interessantissimo saggio da poco arrivato nelle librerie francesi e già al centro di molte discussioni, Après la fin du monde. Critique de la raison apocalyptique (Seuil).

“L’attenzione per le profezie apocalittiche contemporanee è molto marcata soprattutto in Occidente, mentre è quasi del tutto inesistente nel resto del mondo. In Messico, ad esempio, della profezia dei Maya si parla pochissimo”, spiega lo studioso francese, già autore di un mezza dozzina di saggi molto apprezzati. “Secondo me, l’ossessione occidentale per la fine del mondo va messa in relazione con la sensazione della fine del “nostro” mondo, vale a dire il declino storico dell’Occidente. La globalizzazione del pianeta ha tolto al mondo occidentale la sua posizione dominante. Da qui il fascino della decadenza e del crollo, che trova la sua concretizzazione estrema nelle paure apocalittiche. La paura della fine del mondo nasce insomma dalla sensazione che il nostro mondo, i nostri valori, la nostra ricchezza, i nostri punti di riferimento siano sul punto di scomparire. In fondo, tali paure indicano innanzitutto il rifiuto di adattarsi alle conseguenzedella mondializzazione”. Non sono anche un modo per esorcizzare la paura della morte?”In effetti, la fine del mondo è la versione democratica della morte, consente di condividere in modo egualitario qualcosa di molto singolare e non condivisibile, vale a dire la propria morte. Di fronte all’apocalisse saremo tutti uguali. Paradossalmente, in un mondo sempre più dominato dall’individualismo e dalla disuguaglianza, la catastrofe consente di ricreare una certa comunità di destini”.

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9 Dicembre, 2012

Post-human Trade, i mercati sono macchine (e fisici)

by gabriella

wall street

Diffusi i risultati di un rapporto della Commodities and Future Trading Commission che analizza il mercato dei futures (strumenti finanziari che speculano sul prezzo delle materie prime) e il funzionamento della speculazione borsistica: la maggioranza delle operazioni di borsa è ormai automatica, gli operatori ad alta frequenza (high frequency trading) fanno profitti danneggiando il resto del mondo.

Nell’articolo successivo, Sylos Labini riflette sulla matematizzazione della finanza, osservando come i fisici che lavorano a Wall Street (significativamente, in aumento rispetto agli economisti) siano perlopiù inconsapevoli degli effetti (economici) delle equazioni che implementano in quanto dimentichi delle radici teoriche della propria disciplina. L’economista pone così l’accento sul problema fondamentale quanto trascurato delle cause ideologiche, cioè legate ad errori epistemologici, della recessione mondiale.

I dettagli non sono ancora noti, ma le conclusioni, rivelate in esclusiva dal New York Times bastano e avanzano per riaccendere il dibattito su uno degli aspetti più discussi delle transazioni finanziarie. Il high frequency trading, il sistema di scambio ad alta velocità basato sui modelli algoritmici e responsabile ormai della maggioranza delle operazioni di borsa, non si limita a garantire significativi profitti ai suoi protagonisti. Ma finisce, al tempo stesso, per produrre un danno sistemico scaricato in primo luogo sulle spalle dei trader tradizionali e dei piccoli operatori. Lo sostiene un rapporto a cura del capo economista della Commodities and Futures Trading Commission (Cftc) degli Stati Uniti Andrei Kirilenko i cui contenuti sono stati anticipati nei giorni scorsi.

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