Dal limite del pensiero al pensiero del limite: il dibattito post-kantiano sulla cosa in sé e la nascita dell’idealismo
1. La critica al sistema dualistico kantiano
1.1 Il problema della cosa in sé (Ding an sich)
1.2 Dal piano gnoseologico a quello metafisico: l’io creatore fichtiano
2. Fichte
1. Il problema della cosa in sé (Ding an sich)
Negli ultimi anni della vita di Kant (che muore nel 1804), emergono importanti critiche al suo sistema dualistico e, particolarmente, alla distinzione tra fenomeno e noumeno.
Secondo i suoi critici, il sistema kantiano soffre di una contraddizione di base che consiste nell’aver dichiarato esistente e al tempo stesso inconoscibile, la cosa in sé (Ding an sich).
Già Jacobi, nel suo saggio Sull’idealismo trascendentale (1787) aveva insinuato che se il criticismo è vero si deve ricondurre tutto al soggetto e abolire la cosa in sé, mentre, se è falso, si deve ammettere la cosa in sé tornando al realismo.
Osservando che la cosa in sé non è pensabile, né rappresentabile, Maimon (Salomon ben Joshua) ne aveva invece concluso che il noumeno è un concetto impossibile.
I critici immediati di Kant si chiedono quindi: se ogni realtà di cui facciamo esperienza esiste come rappresentazione della coscienza, come può venire ammessa l’esistenza di una cosa in sé, cioè di una realtà non pensata e non pensabile, non rappresentata e non rappresentabile? Kant si difenderà notando che il noumeno non è qualcosa, ma un concetto limite, esprimibile solo in negativo, per opposizione al fenomeno.
1.2 Dal piano gnoseologico a quello metafisico: l’io creatore fichtiano
Come si vede, fin qui i critici di Kant si mantengono su un piano gnoseologico, sarà invece Fichte a portare la riflessione sul piano metafisico di un io creatore e infinito.
La parola ci fa uguali 1. L’unificazione linguistica degli italiani e i maestri degli esclusi
Il testo seguente è la prima di tre lezioni di sociolinguistica dedicate alla comprensione del rapporto tra pensiero e linguaggio, tra condizione sociale e competenze cognitivo/espressive.
In questa parte si affrontano i problemi dell’unificazione linguistica degli italiani dialettofoni dopo l’unità politica e l’introduzione della scuola media unificata del 1963. La lezione approfondisce le difficoltà scolastiche dei ragazzi di estrazione popolare e la lezione dei nuovi maestri, da don Milani a Mario Lodi, da Bruno Ciari a Orlando Spigarelli a Maria Maltoni e Don Roberto Sardelli.
Nella seconda parte si prendono in esame i contributi dei sociolinguisti anglosassoni Basil Bernstein e William Lavov.
Nella terza e ultima lezione si approfondiscono i problemi dell’analfabetismo strumentale, funzionale e di ritorno attraverso gli studi di Tullio De Mauro.
Le prime due lezioni sono state elaborate a partire da testi di Maria Giuseppa Lo Duca.
Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200,
questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali.
Gli allievi di don Roberto Sardelli
Indice
1. L’Italiano nell’Italia preunitaria
1.1 Dal fiorentino alla lingua letteraria
2. La diffusione dell’italiano nel secondo dopoguerra e l’insuccesso scolastico
2.1 I maestri
2.1.1 Don Lorenzo Milani
2.1.2 Bruno Ciari
2.1.3 Mario Lodi
2.1.4 Orlando Spigarelli, Maria Maltoni
2.1.5 Don Roberto Sardelli
1. L’italiano nell’Italia preunitaria
1.1 Dal fiorentino alla lingua letteraria
Il primo dato storico e sociologico da avere ben chiaro è che l’idioma chiamato, a partire dal Cinquecento, «italiano» (formatosi attraverso la stilizzazione del dialetto fiorentino trecentesco, arricchito di latinismi e depurato di tratti locali), questo idioma è rimasto per secoli appannaggio nemmeno delle classi dirigenti, ma (fuori di Firenze, delle maggiori città toscane e di Roma) appannaggio quasi esclusivo della gente di lettere.
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La parola ci fa uguali 2. Gli studi sociolinguistici di Basil Bernstein e William Labov
Seconda lezione di sociolinguistica dedicata alla comprensione del rapporto tra pensiero e linguaggio, tra condizione sociale e competenze cognitivo/espressive. In questo testo esaminiamo il contributo dei sociolinguisti anglosassoni Basil Bernstein e William Labov.
La prima lezione è stata dedicata ai problemi dell’unificazione linguistica italiana e alle esperienze dei maestri degli esclusi, da don Milani a Bruno Ciari a don Sardelli.
La terza, invece, agli studi di Tullio De Mauro sull’analfabetismo strumentale, funzionale e di ritorno.
Indice
1. Basil Bernstein
2. William Labov
Videolezioni: 1. La parola ci fa uguali. L’unificazione linguistica degli italiani e i maestri degli esclusi 2. La parola ci fa uguali 2. Basil Bernstein e William Labov 3. La parola ci fa uguali 3. L’analfabetismo funzionale e di ritorno
Dalla pedagogia antica alla pedagogia moderna
Dalla fondazione greca della filosofia dell’educazione ai nuovi fini della pedagogia moderna: una lezione introduttiva agli aspetti chiave della transizione.
Il mondo antico scopre che l’eccellenza umana (areté) non è iscritta nel sangue nobile (aristoi) ma può essere allevata con l’educazione. Sono i sofisti a formare i cittadini non nobili che ambiscono al protagonismo politico nell’Atene del V secolo.
Due millenni dopo, il cristianesimo protestante estende a tutti gli uomini il diritto all’educazione come via a Dio attraverso la lettura delle Sacre Scritture. Comincia così la modernità pedagogica che inizia con Lutero la grande impresa dell’alfabetizzazione popolare e culmina con la rivendicazione illuminista che
«la scuola deve al popolo un’istruzione pubblica come mezzo per rendere effettiva l’eguaglianza dei diritti» [Condorcet, Cinq mémoire sur l’instruction publique, 1791].
Dopo la fiammata rivoluzionaria, la pedagogia ottocentesca ripiega sulla filantropia sostituendo l’obiettivo dell’inclusione sociale e dell’avviamento al lavoro dei poveri al protagonismo attivo del popolo.
Indice
1. La paideia: virtù e cittadinanza
1.1 La virtù
1.2 Il sapere e l’educabilità dell’eccellenza umana
1.3 Sapere e cittadinanza
1.4 L’eccellenza umana non è un fatto di natura, ma di cultura
1.5 L’umanità è una possibilità universale concessa (solo) all’uomo libero
2. Il ruolo del cristianesimo nella genesi della modernità
2.1 L’educazione universale dei protestanti
2.2 L’alfabetizzazione popolare
3. Dalla pedagogia emancipativa alla filantropia compassionevole
La filosofia dell’educazione di Jacques Maritain
L’influente dottrina del personalismo e l’antimodernismo del cattolicesimo fine ottocentesco.
Indice
1. La reazione cattolica all’attivismo pedagogico
2. Il personalismo di Jacques Maritain
2.1 Antropologia personalistica e fine dell’educazione [tratto da L’educazione della persona, 1959]
2.2 Simulazione di seconda prova su Maritain
1. La reazione cattolica all’attivismo pedagogico
Il mondo cattolico ha guardato con sospetto e distanza alle innovazioni dell’attivismo pedagogico, nella convinzione che la scuola nuova mettesse in discussione l’educazione cristiana.
La principale obiezione mossa dai filosofi cattolici all’attivismo, consiste nel rilievo che l’uomo non è solo natura istintiva e sensibile, ma anche spirituale e razionale e che il suo destino non è solo di ordine sociale, ma anche personale e religioso.
Per questo, secondo lo svizzero Eugène Dévaud, la vera scuola attiva è quella che considera tutto l’uomo, inclusi gli aspetti spirituali e religiosi, ed è perciò quella ispirata all’umanesimo cristiano, il solo in grado di indicare il senso all’esperienza umana.
L’humanitas romana
Indice
1. Marco Porcio Catone
2. Marco Tullio Cicerone
3. Marco Fabio Quintiliano
Con la sua sintesi di motivi ellenistici e temi della tradizione arcaica romana, il pensiero educativo da Catone (234-149 a.C.) a Quintiliano (35/40-96 a.C.) ha avuto un’influenza fondamentale sulla tradizione occidentale.
A differenza del pensiero greco, la cultura romana non dispone di un’opera letteraria a cui riferirsi come elemento fondativo, i valori e i principi comuni vengono dunque rintracciati all’interno della tradizione, cioè di quella vita di un popolo di contadini che si affidava ai motivi etici della famiglia, della dedizione allo stato, del rispetto delle leggi e della tradizione, della pietas verso gli dèi, della fermezza (virtus), della dignità personale (gravitas) e del lavoro.
Questo insieme di valori, codificato nelle leggi non scritte del mos maiorum e in quelle inscritte nel bronzo delle Dodici tavole – una legificazione che fu, di fatto, una codificazione del mos maiorum del 451 a. C. per rispondere a conflitti sociali tra patrizi e plebei – costituisce il carattere romano della riflessione sviluppata nei circa quattro secoli che prendiamo in considerazione.
Questa identità originaria costituisce il filtro attraverso cui Roma si confronta con la cultura greca da Marco Porcio Catone, che considera nefasta la sua influenza e le attribuisce la crisi morale e il declino delle istituzioni avite, a Cicerone (106-43 a.C.) che la considera con circospezione ma la pone a fondamento delle virtù fondamentali dell’uomo pubblico.
Dewey
John Dewey (1859-1952) è il massimo esponente del pragmatismo americano e il pensatore che più d’ogni altro esprime le ragioni profonde, educative e sociopolitiche, dell’attivismo pedagogico del primo Novecento.
«Il futuro è legato al diffondersi dell’atteggiamento scientifico. È questa l’unica garanzia contro uno sviamento su vasta scala per opera della propaganda. Ancor più importante, è l’unico modo per assicurare la possibilità di una pubblica opinione abbastanza intelligente per affrontare i presenti problemi sociali».
J. Dewey, Libertà e cultura
Indice
1. La scuola progressiva
1.1 Non solo scuola attiva, ma una scuola strumento di progresso sociale
1.1.1 Scuola attiva e scuola progressiva
2. I fondamenti teorici
2.1 Unitarietà del reale e strumentalismo logico
2.2 L’esperienza e l’interazione individuo-ambiente
2.3 Esperienza e pensiero
2.4 L’origine del pensiero
2.5 Educazione ed autoeducazione
1. La scuola progressiva
Nato a Burlington, nel piccolo Stato del Vermont, Dewey risente in particolare delle influenze del pragmatismo di William James, una filosofia che ha come proprio oggetto di riflessione l’esperienza e il processo di interazione tra l’individuo e l’ambiente.
Dietro di essa si può intravedere l’evoluzionismo di Darwin che, come è noto, ha posto l’interazione individuo-ambiente alla base dei processi di adattamento coi quali l’umanità si è evoluta nel tempo.
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