Dewey

by gabriella
dewey

John Dewey (1859 – 1952)

John Dewey (1859-1952) è il massimo esponente del pragmatismo americano e il pensatore che più d’ogni altro esprime le ragioni profonde, educative e sociopolitiche, dell’attivismo pedagogico del primo Novecento.

«Il futuro è legato al diffondersi dell’atteggiamento scientifico. È questa l’unica garanzia contro uno sviamento su vasta scala per opera della propaganda. Ancor più importante, è l’unico modo per assicurare la possibilità di una pubblica opinione abbastanza intelligente per affrontare i presenti problemi sociali».

J. Dewey, Libertà e cultura

Indice

1. La scuola progressiva

1.1 Non solo scuola attiva, ma una scuola strumento di progresso sociale

1.1.1 Scuola attiva e scuola progressiva

 

2. I fondamenti teorici

2.1 Unitarietà del reale e strumentalismo logico
2.2 L’esperienza e l’interazione individuo-ambiente
2.3 Esperienza e pensiero
2.4 L’origine del pensiero
2.5 Educazione ed autoeducazione

 

1. La scuola progressiva

Nato a Burlington, nel piccolo Stato del Vermont, Dewey risente in particolare delle influenze del pragmatismo di William James, una filosofia che ha come proprio oggetto di riflessione l’esperienza intesa come processo di interazione tra l’individuo e l’ambiente.

Dietro di essa si può intravedere l’evoluzionismo di Darwin che, come è noto, ha posto l’interazione individuo-ambiente alla base dei processi di adattamento coi quali l’umanità si è evoluta nel tempo.

scuola progressiva

Learning by doing nella progressive school di Chicago

Nel 1897, il pedagogista apre una scuola sperimentale presso l’Università di Chicago nella quale sostituisce le «lezioni» della scuola tradizionale con una serie di «attività » o di «esperienze» (il cucinare, il tessere, ecc.) sulle quali dà vita ai processi di apprendimento dei bambini.

Rispetto alla tradizione, è una sorta di rivoluzione: scompaiono le classi, che lasciano posto a laboratori, scompaiono i banchi, con le loro postazioni individuali, sostituiti da tavoli per il lavoro collettivo, scompaiono le materie di studio, sostituite da attività che nascono dagli interessi degli alunni e ne motivano le ricerche, mentre il maestro scende dalla cattedra, e si fa facilitatore degli apprendimenti degli alunni.

E’ l’applicazione alla scuola dell’idea di esperienza interpretata secondo il modello pragmatista: l’attività umana, e in particolare l’attività del pensiero, nasce dall’azione, è motivata dall’azione che genera gli “interessi”, è ricerca di soluzioni a problemi reali che la stessa attività pone agli alunni nel corso delle loro esperienze come problemi individuali e/o collettivi.

Come scrive Dewey in Scuola e società:

«Dobbiamo concepire il lavoro in legno e in metallo, il tessere, il cucire, il cuocere come metodi di vita e di apprendimento, non come insegnamenti a sé. Dobbiamo intendere il loro significato sociale, li dobbiamo considerare tipi dei processi mediante i quali la società progredisce, operazioni con le quali si rendono familiari ai fanciulli certe primarie necessità della vita in comune e modi mediante i quali queste esigenze sono state soddisfatte dalla crescente penetrazione e ingegnosità dell’uomo; in breve li dobbiamo considerare strumenti in virtù dei quali la scuola è destinata a diventare una forma schietta di attiva vita in comune, anziché un luogo appartato dove si apprendono lezioni.

Una società consiste di un certo numero di individui tenuti insieme dal fatto di lavorare in una stessa direzione in uno spirito comune, e di perseguire mire comuni. Le esigenze e gli scopi comuni esigono un crescente scambio di idee e una crescente unità del sentimento di simpatia. La ragione radicale per cui la scuola presente non può organizzarsi come naturale unità sociale è proprio l’assenza di questo elemento di attività comune e produttiva».

 

 

1.1 Non solo scuola attiva, ma una scuola strumento di progresso sociale

A differenza dei pedagogisti primonovecenteschi di cui condivide l’approccio innovatore, Dewey non chiama “attiva”, ma “progressiva” la propria scuola e pedagogia progressiva la propria visione educativa.

Il termine di «scuola attiva» era stato introdotto per la prima volta dal Bovet nel 1917, e divulgato successivamente dal Ferrière per distinguere le nuove tendenze pedagogiche del primo Novecento dalle cosiddette «scuole nuove».

L’attivismo pedagogico e le scuole nuove

Dewey preferisce impiegare la dizione scuola progressiva, e la propria proposta pedagogica pedagogia progressiva. Dietro la distinzione terminologica si colloca una distinzione sostanziale perché, a differenza di numerosi altri attivisti, Dewey basa la propria idea pedagogica su un’organica filosofia dell’educazione (strumentalismo logico), intimamente connessa con lo spirito del metodo scientifico e dell’ideale democratico.

 

1.3 Scuola progressiva e democrazia

La scuola di Dewey designa qualcosa di più e di diverso rispetto alla scuola attiva così come viene comunemente intesa, perché al motivo dell’attività (esperienza diretta dell’alunno; interesse; metodologia dell’indagine) essa accosta esplicitamente il motivo del progresso sociale.

Dire che la scuola deve essere una comunità occupata in un comune lavoro in cui ogni singolo individuo è chiamato a portare il proprio contributo di originalità e creatività, e nello stesso dire che l’attività individuale deve avere un significato sociale nella cooperazione interpersonale, è dire che la scuola non è solo luogo di sviluppo del singolo ma luogo dello sviluppo sociale in direzione democratica.

La democrazia – scrive Dewey – è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza comunicata e congiunta. L’estensione nello spazio del numero di individui che partecipano ad un interesse in modo che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua, equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territori nazionali che impedivano in passato di cogliere il pieno significato della loro attività. La democrazia è l’estendersi dell’area degli interessi condivisi e la liberazione di una maggiore varietà di capacità personali».

È il disegno della scuola progressiva di Dewey. Non propriamente, o solamente, scuola «attiva» o scuola «nuova» come tendevano a qualificarsi le scuole sperimentali d’inizio secolo, ma appunto progressiva, perché si propone di essere non solo una proposta di innovazione didattica e pedagogica, ma un fattore di cambiamento e di progresso sociale.

Il cucinare, il tessere, la produzione in legno o in metallo stanno all’origine del movimento del pensiero, che procede di ipotesi in ipotesi, che produce idee per risolvere problemi che nascono dall’azione, e stanno anche a fondamento della vita comunitaria, dello scambio di idee nella collaborazione reciproca.

Sono il punto di partenza, fondato su un interesse reale, da cui i singoli o la comunità nel suo insieme muoveranno per le loro indagini sui materiali (scienze), sulla loro provenienza o destinazione (geografia), sulla loro utilità sociale nel presente o nel passato (storia). Le materie di studio divengono così luoghi per verificare idee e ipotesi di soluzione di problemi.

Negli anni centrali della sua vita scrive così Il mio credo pedagogico e Scuola e società che assumono immediatamente, anche in Europa, il significato di saggi chiave dell’attivismo pedagogico.

Dewey si rende conto che il mondo sta cambiando. Guarda con nostalgia al mondo che si lascia alle spalle, quello dei pionieri, delle piccole comunità agricole tenute insieme dal lavoro, dai rapporti di vicinato, dai comuni interessi e dai comuni valori civili e religiosi.

Ma con la produzione industriale su larga scala, il luogo di lavoro non coincide più con la casa. Se in passato il lavoro si svolgeva sotto gli occhi dei bambini, ora il prodotto si è irreparabilmente separato dal processo produttivo, che sfugge alla stessa conoscenza di coloro che vi sono coinvolti.

Occorre portare il lavoro nella scuola sotto forma di attività sociali nelle quali l’individuo attivi i propri interessi, stimoli la propria iniziativa individuale e la propria creatività in un’attività comune, che sia ad un tempo esperienza di rapporti solidali e di reciprocità. È per questa via che la scuola si propone come luogo di sviluppo individuale e di progresso sociale.

Democracy and EducationIl pensiero di Dewey, nei suoi fondamenti teoretici, si può considerare già definito nel 1910, con la pubblicazione di Come pensiamo nel al quale affida la formulazione più completa dello strumentalismo logico, mentre il suo pensiero pedagogico è compiutamente espresso nel suo capolavoro, Democrazia e educazione del 1916.

Gli scritti successivi prendono forma nel diverso contesto, gravido di dubbi, che si stende sulla società americana dopo la crisi del 1929. Il dibattito che si apre investe i problemi della cultura, dei valori e dell’organizzazione complessiva della vita sociale, dei metodi educativi e Dewey viene a trovarsi al centro delle polemiche.

Da più parti si chiede di ritornare ai valori del passato, perché il puerocentrismo, la centralità dell’alunno, hanno svuotato la scuola dei contenuti della cultura. Occorre tornare ad insegnare contenuti, restituire all’autorità dei maestri e della cultura il posto che avevano un tempo.

Alle critiche portate al suo pensiero, indicato tra le cause della crisi, Dewey risponde con una appassionata difesa delle ragioni della scuola progressiva, e ad un tempo delle ragioni dello spirito scientifico e della democrazia, affidata ad una serie di saggi scritti tra il 1930 e il 1948, raccolti nel volume L’educazione oggi e ad altri scritti di rilievo, come Problemi dell’uomo e Libertà e cultura.

 

2. I fondamenti teorici

2.1 Unitarietà del reale e strumentalismo logico

Wliiam James (1942 – 1910)

Come si è visto, per Dewey le idee nascono dalle azioni effettuate «in condizioni di controllo» (cioè in un contesto costruito per la formazione, non casualmente, perché non tutte le esperienze sono egualmente significative.

L’unico modo di apprendimento è l’azione e l’esperienza personale: un’idea trasmessa dall’esterno cessa infatti di essere un atto di conoscenza per diventare qualcos’altro.

Con queste concezioni, Dewey segue William James (il fondatore del pragmatismo), il quale aveva osservato che l’idea della conoscenza come trasmissione presuppone che il mondo sia completo in sé, mentre la sua visione mette l’uomo al centro della sua interpretazione e del suo completamento.

Anche per Dewey conoscere è un modo per interagire con la realtà. Vivere è sperimentare, è un processo continuo d’esperienza in cui l’uomo stesso è la natura che si fa intelligenza per attuare le proprie potenzialità (Hegel): per Dewey

«la conoscenza è la realtà che effettua in se stessa una forma particolare e specifica di cambiamento».

Intelligenza e conoscenza sono quindi caratteri intrinseci della natura.

 

2.2 L’esperienza e l’interazione individuo-ambiente

Manipolazione_Bambini

conoscere è fare

Nell’accezione che assume nel pensiero di Dewey, l’esperienza indica la totalità delle relazioni tra l’individuo, l’ambiente e gli altri uomini.

L’esperienza umana si configura come il rapporto problematico che si istituisce tra l’individuo che cerca di intervenire sulle cose, e le cose che oppongono resistenza, oppure si adattano e si trasformano nella direzione voluta dal pensiero.

All’esperienza intesa in maniera tradizionale come un «conoscere», Dewey oppone, dunque, la sua concezione dell’esperienza che è innanzi tutto un «fare», di cui il pensiero è fattore costitutivo di direzione, di superamento di ostacoli, di ricostruzione, senza garanzie di verità, immanenti o trascendenti l’esperienza medesima.

Ai livelli dell’esistenza umana – dato il carattere fluido degli eventi, la complessità delle loro interazioni e l’equivocità dei significati di cui essi sono portatori – l’esperienza si configura, così, per Dewey nei termini della precarietà e dell’avventura non garantita.

«L’uomo si trova a vivere – afferma in proposito l’autore – in un mondo aleatorio; la sua esistenza implica, per dirla crudamente, un azzardo. Il mondo è la scena del rischio; è incerto, instabile, terribilmente instabile».

L’esperienza è la possibilità di un’esistenza e di un mondo ricostruiti dall’intelligenza; ma è anche possibilità dello scacco.

 

2.3 Esperienza e pensiero

homo sapiens

Homo sapiens: il mentale emerge dall’esperienza

Si è già visto che l’esperienza è onnicomprensiva e che c’è continuità di fondo tra mondo biologico e mentale: il pensiero non è quindi qualcosa di «esterno» o di «altro» rispetto all’esperienza.

Il pensiero, l’intelligenza, la coscienza sono quindi un momento dell’esperienza, una qualità particolare di determinate interazioni che si realizzano ad un certo livello evolutivo e nelle quali il pensiero assume la funzione di guida del loro svolgimento.

L’intelligenza si esprime pertanto nell’attività di modificazione e di cambiamento delle cose.

 

2.4 L’origine del pensiero

Problema solving

II rapporto dell’individuo con il mondo è caratterizzato da ambiguità, complessità, incertezza. Ebbene, è proprio da queste originarie difficoltà, dalla presenza di qualche «incidente» nel fluire dell’esperienza che ha origine il pensiero come produzione di idee o ipotesi di soluzione.

Il pensiero non si esercita in proprio, autonomamente (che è quanto dire sul nulla), ma è legato all’azione, trae origine dall’azione e si pone come strumento della sua continuità.

Dalla situazione iniziale di dubbio o di difficoltà dell’azione trae origine – spiega il Dewey – un ampio processo di osservazione attraverso il quale l’individuo provvede ad un riscontro e ad una valutazione critica dei dati a sua disposizione.

Intervengono a questo livello l’esperienza passata del soggetto, la memoria, fattori di ordine culturale e di immaginazione, che danno origine ad una serie di idee atte a funzionare da ipotesi di soluzione.

L’esperimento, e cioè l’azione effettiva, costituisce il momento ultimo del processo del pensiero, quello nel quale le idee-ipotesi trovano la loro convalida, oppure vengono smentite.

Dubbio, osservazione, idee-ipotesi, esperimento, azione: questi, dunque, i momenti dell’agire consapevole, che è un procedere non dissimile da quello del ricercatore di professione.

John Dewey, Il mio credo pedagogico. Testo commentato

2.5 Educazione ed autoeducazione

La scuola deve aiutare il fanciullo a formare la sua personalità attraverso la sua partecipazione a occupazioni manuali e a una vita di collaborazione con l’insegnante e con i compagni. In questo contesto, nessuno trasmette nulla, ma ognuno si forma il proprio contenuto conoscitivo, per cui l’educazione si configura come autoeducazione.

Si impara solo facendo, “gli uomini devono fare qualcosa agli oggetti se vogliono conoscerli nella loro particolare realtà”. Perciò, la scuola deve comportarsi come il luogo in cui i ragazzi costruiscono il loro sapere comprendendone la portata sociale e umana.

La scuola secondaria, in particolare, è una palestra di democrazia, di collaborazione e produzione culturale (stimolata dalla ricerca e dal dubbio).

La forza morale che può salvare la democrazia nel mondo moderno è infatti l’atteggiamento scientifico: la capacità di non accontentarsi dell’opinione, di coltivare il dubbio, di saper dimostrare con argomenti. Per questo la scuola è il motore del progresso sociale.

 

 

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