Massini interpreta Gramsci.
William Labov
Basil Bernstein (1924 – 2000)
L’impronta ecologica misura la “porzione di territorio” ( sia essa terra o acqua ) di cui un individuo, una famiglia, una comunità, una città, una popolazione necessita per
produrre in maniera sostenibile tutte le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti.
È, quindi un efficace metodo di misurazione per valutare l’impatto dell’uomo sull’ecosistema terrestre.
Dei 51 miliardi di ettari di superficie complessiva del pianeta, solo 15 miliardi sono rappresentati dalle terre emerse e le aree modificate direttamente da interventi umani (pascoli, campi, superfici edificate, strade ecc.) rappresentano circa il 35% delle terre emerse.
Dividendo la terra e il mare produttivi per il numero di esseri umani che abitano il pianeta e togliendo la superficie necessaria alle altre specie, cioè alla conservazione della biodiversità, emerge che per gli esseri umani rimane 1,98 ettari a testa.
WWF, Dossier didattico
Jean Giono (1895 – 1970)
«La vera sapienza, come il vero amore, sono uno stato, una maniera di essere, un atteggiamento, una situazione dell’anima, non sono né idee, né principi, né sistema» [Notas].
Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.
Questa regione è delimitata a sudest e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drôme, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drôme e una piccola enclave della Valchiusa.
l’unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica
quel deserto, di lande nude e monotone, tra i 1200 e i 1300 mt di altitudine
Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L’unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica.
No, non parlerei di ottimismo .. Come si può essere ottimisti di fronte all’attuale situazione del mondo?
D’altra parte, come si fa ad essere soltanto pessimisti?
Il mondo che ci sta di fronte è carico di paradossi che non possono che renderci perplessi.
Ulrich Beck, La società globale del rischio. Discussione con Danilo Zolo, 1999
2.1 Imprese transnazionali e concentrazione di capitali
2.2 La finanziarizzazione dell’economia
2.3 La fiscalità di vantaggio: elusione ed evasione fiscale
3.1 Deindustrializzazione, delocalizzazione
3.2 La telematizzazione del lavoro
3.3 Il declino del lavoro
3.4 Ricchezza globale (global class), povertà locali
4.1 La compressione spazio-temporale
4.2 La glocalizzazione
4.3 Migrazioni e multiculturalismo
4.4 Secolarizzazione e reincantamento del mondo
5.1 Il declino della politica e la post-democrazia
5.2 Fake news: tra disinformazione e populismo
6.1 Instabilità, appiattimento sul presente, accecamento della velocità
I termini globalizzazione e mondializzazione sono entrati nel lessico sociologico negli anni ’80, per indicare un ampio insieme di fenomeni connessi all’aumento dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.
Karl Marx (1818 – 1883)
Marshall McLuhan (1911 – 1980)
In quegli anni iniziavano infatti ad accelerare i processi tipici della modernizzazione, prima tra le quali l’integrazione economica (intensificazione degli scambi commerciali, abbattimento barriere doganali e accordi di libero scambio ecc.) già descritta da Marx nel XIX secolo, oltre che lo sviluppo di una rete di comunicazione planetaria che McLuhan indicava nel 1962 (The Gutenberg Galaxy) come l’infrastruttura del «villaggio globale», ossimoro sociologico con cui lo studioso canadese alludeva all’abbattimento simbolico dello spazio e della distanza e alla nuova vicinanza tra genti lontane [che non esclude una nuova lontananza tra vicini] generata dai media elettrici, poi da quelli elettronici.
2.1 Lo scenario
2.2 Il pianeta dei robot
2.3 The Economist, Bussano all’ufficio proprio accanto al tuo
2.1 Riccardo Staglianò, Al posto tuo
2.2 Tutta la città ne parla, Intelligenza artificiale e politica
4.1 Gig economy
4.2 Sharing economy
4.3 Carlo Formenti, Abbasso Uber
È un giorno qualunque, nell’era dei robot, e il lavoratore tipo esce di casa per recarsi in ufficio. Le macchine, per strada, si guidano da sole. Il traffico pure: si dirige da sé. Lo sguardo può dunque alzarsi sopra la testa, dove, come ogni giorno, droni consegnano prodotti e generi alimentari di ogni tipo – oggi, per esempio, il pranzo suggerito dal frigorifero “intelligente”.
Sul giornale – quel che ne resta – gli articoli sono firmati da algoritmi. Giunto alla pagina finanziaria, il nostro si abbandona a un sorriso beffardo: il pezzo, scritto da un robot, parla delle transazioni finanziarie compiute, in automatico, da altri algoritmi.
Entrato in fabbrica, poi, l’ipotetico lavoratore di questo futuro (molto) prossimo si trova ancora circondato dall’automazione; per la produzione, ma anche per l’organizzazione, la manutenzione, perfino l’ideazione del prodotto: a dirci cosa piace ai clienti, del resto, sono ancora algoritmi.
Quel che mi resta, pensa ora senza più sorridere, è coordinare robot, o robot che coordinano altri robot. Finché ne avranno bisogno.
La spiegazione del prof. Mercadante del Politecnico di Torino
«pesa quanto interi volumi, il suo spirito anima e muove tutto il proletariato organizzato e in lotta del mondo civile».
Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.
Quale partito d’opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d’opposizione non ha rilanciato l’infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell’opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?
Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni. Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.
Tra i tanti modi in cui la pandemia di Covid 19 ha impattato con le nostre vite, uno dei più evidenti riguarda la capacità del virus di accentuare le disuguaglianze e colpire dove persistono fattori di fragilità.
In questo l’emergenza sanitaria sembra un rilevatore dei punti deboli di una società, mostrando dove si dovrebbe intervenire per promuovere un contesto più equo, giusto e rispettoso della dignità di tutti. Lo si è visto all’inizio con gli anziani, più colpiti ed esposti di fronte a questo male. Lo si nota pensando ai danni subiti dai più piccoli e dalla generazione privata di opportunità educative, di relazione e di gioco. Lo si osserva guardando al mondo del lavoro e alle categorie meno protette, o alle famiglie con meno mezzi. E lo si vede anche mettendo a fuoco l’universo femminile.
Degno di nota, per il prefatore, soprattutto il fatto che
«Engels non ha mai ha presentato la borghesia come una massa di individui dal cuore di pietra. Il suo odio per quel che la borghesia rappresentava, e per ciò che la induceva a comportarsi in quel determinato modo non era l’odio ingenuo verso alcuni uomini di cattiva volontà, diversi dagli uomini di buona volontà. Esso faceva parte della critica al carattere inumano del capitalismo, che automaticamente trasforma gli sfruttatori in una classe “profondamente immorale, cosi inguaribilmente corrotta, intimamente corrosa e resa del tutto incapace di ogni progresso dall’egoismo”» [p. 9].
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