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9 Gennaio, 2024

La globalizzazione

by gabriella

globa

La lezione sulla globalizzazione è in aggiornamento.

 

Indice

1. Globalizzazione, mondializzazione

2. L’integrazione economica

2.1 Imprese transnazionali e concentrazione di capitali
2.2
 La finanziarizzazione dell’economia
2.3 La fiscalità di vantaggio: elusione ed evasione fiscale

 

3. La divisione mondiale del lavoro e il declino della classe lavoratrice

3.1 Deindustrializzazione, delocalizzazione
3.2 La telematizzazione del lavoro
3.3 Il declino del lavoro
3.4 Ricchezza globale (global class), povertà locali

 

4. Globalizzazione e deglobalizzazione

5. Gli aspetti culturali

5.1 La compressione spazio-temporale
5.2 La glocalizzazione
5.3 Migrazioni e multiculturalismo
5.4 Secolarizzazione e reincantamento del mondo

 

6. Gli aspetti politici

6.1 Il declino della politica e la post-democrazia
6.2 Fake news: tra disinformazione e populismo

 

7. Post-modernità vs ipermodernità

7.1 Instabilità, appiattimento sul presente, accecamento della velocità

 

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1. Globalizzazione, mondializzazione

I termini globalizzazione e mondializzazione sono entrati nel lessico sociologico negli anni ’80, per indicare un ampio insieme di fenomeni connessi all’aumento dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.

Karl Marx (1818 – 1883)

Marshall McLuhan (1911 – 1980)

In quegli anni iniziavano infatti ad accelerare i processi tipici della modernizzazione, primo tra i quali l’integrazione economica (intensificazione degli scambi commerciali, abbattimento barriere doganali e accordi di libero scambio ecc.) già descritta da Marx nel XIX secolooltre che lo sviluppo di una rete di comunicazione planetaria che McLuhan indicava nel 1962 (The Gutenberg Galaxy)  come l’infrastruttura del «villaggio globale», ossimoro sociologico con cui lo studioso canadese alludeva all’abbattimento simbolico dello spazio e della distanza e alla nuova vicinanza tra genti lontane [che non esclude una nuova lontananza tra vicini] generata dai media elettrici, poi da quelli elettronici.

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7 Gennaio, 2012

Carlo Galli, Lobby

by gabriella

La Parola

(voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di ‘passaggio’, ‘corridoio’; in tedesco, Laube, portico).
Il significato attuale – ‘gruppo di pressione’, ‘gruppo di interesse’ – nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali – i lobbisti – fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.

Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico.  Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo – pur diffusissimo – è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l’interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.

L’esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi – anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti -. Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare – e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto – è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di ‘trionfo del particolare’, che lede sia l’autonomia della politica sia l’uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti  (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.

Tramontata da molti decenni l’ipotesi corporativa – che consisteva nel dare rilievo pubblico e giuridico agli interessi sociali organizzati, all’interno di uno Stato autoritario -, la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l’anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell’aula.  

Oggi, così,  le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un ‘si salvi chi può’ permanente,  è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno.

http://www.repubblica.it/rubriche/la-parola/2011/12/16/news/lobby-26740927/


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