Archive for Aprile, 2021

28 Aprile, 2021

L’attivismo pedagogico e le scuole nuove

by gabriella

 

1. Le scuole nuove

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento cominciano ad affermarsi le cosiddette scuole nuove, realtà educative che rispondono al bisogno di rivedere l’organizzazione, i contenuti e i metodi di una scuola che non appare più rispondente ai bisogni di un mondo in rapida trasformazione.

La loro nascita avviene, non casualmente, in Inghilterra, il paese all’avanguardia nello sviluppo economico e sociale ed attento, più che altrove, al raccordo tra scuola e società, in continuità con l’approccio di John Locke, che aveva rivoluzionato i programmi scolastici in funzione di una cultura «utile» alla formazione delle classi dirigenti.

 

Cecil Reddie

Cecil Reddie (1858 – 1932)

1.1 Abbotsholme: liberty is the obedience to the law

La New School creata da Cecil Reddie nel 1889 ad Abbotsholme (nel Derbyshire) era modellata su misura delle esigenze della borghesia: era una scuola privata, attenta all’educazione linguistica e scientifica e, in particolare, alla formazione «mondana» attraverso il lavoro manuale, la vita all’aria aperta, i viaggi e la conoscenza del mondo.

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24 Aprile, 2021

La fame, la guerra, la fabbrica. Cultura popolare e antifascismo nel 1943

by gabriella

Un bellissimo montaggio di testimonianze, recitazione, filmati d’epoca, reading, per ricostruire l’inizio della resistenza antifascista nelle fabbriche, gli scioperi e la repressione sullo sfondo della condizione operaia del 1943.

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio

Al lamento d’agnello dei fanciulli
all’urlo nero della madre
che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo

Alle fronde dei salici, per voto
anche le nostre cetre erano appese
oscillavano lievi al triste vento

Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici

 

 

 

 

 

 

24 Aprile, 2021

10 agosto 1944, I quindici di Piazzale Loreto

by gabriella
Piazzale Loreto, 10 agosto 1944

Piazzale Loreto, 10 agosto 1944

Il 10 agosto 1944, Piazzale Loreto assisteva alla fucilazione di quindici antifascisti e partigiani da parte di miliziani della R.S.I. che, dopo l’eccidio, infierirono sulle salme per tutto il giorno. E’ questo l’episodio che i partigiani avevano in mente quando decisero di esporre a P.le Loreto i cadaveri di Mussolini e Claretta Petacci. Tratto da Infoaut.

Ai quindici di Piazzale Loreto

Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?

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24 Aprile, 2021

Ultima lettera di Luigi Rasario, da “Tra un’ora la nostra sorte”

by gabriella

Traggo da Le parole e le cose un paragrafo di Tra un’ora la nostra sorte. Le lettere dei condannati a morte e dei deportati della Resistenza (Roma, Carocci, 2013) di Sergio Bozzola, una rilettura formale e tematica delle lettere autografe pubblicate in Ultime lettere dell’INSMLI, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. Il testo della lettera di Luigi Rasario, partigiano ventenne attivo sulle montagne del novarese, è riprodotto secondo l’ortografia, la sintassi e l’impaginato del manoscritto, che si può cercare nel sito INSMLI.

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Luigi Rasario

Luigi Rasario (1924 – 1944)

Novara 26-4-1944

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24 Aprile, 2021

Raticosa, più forte dell’oblio e dell’odio

by gabriella
vandalismo alla cascina Raticosa

La targa commemorativa prima dell’asportazione – La sottrazione e l’oltraggio

La cascina Raticosa, rifugio e comando della V Brigata Garibaldi, è uno dei luoghi simbolo della lotta partigiana in Umbria.

Si trova tra Ponze e Cupoli, sulla strada di Cancelli e Acqua Santo Stefano, i villaggi di montagna tra Trevi e Foligno (PG) che subirono i rastrellamenti del febbraio 1944. Su quei viottoli, nella notte tra il 2 e il 3 febbraio, ventiquattro giovani partigiani furono catturati dai nazisti e inviati al campo di Mathausen, dal quale la gran parte non fece ritorno.

Nei giorni scorsi, qualcuno si è arrampicato fino alla cascina per tracciare una svastica sul muro del comando partigiano e rimuovere la targa che ne ricorda la storia. Ma, stamattina (3 marzo 2015), Enrico Angelini, uno dei combattenti scampati al massacro, è tornato a riparare l’offesa:

Spero che a oltraggiare questo luogo sia stato qualche giovane esaltato che magari ignora la nostra storia, e che faccia in tempo a ravvedersi.

Enrico Angelini alla cascina Raticosa

Al posto della targa portata via dai vandali, adesso c’è il fiore di Angelini. Dell’ignoranza della nostra storia dovremo occuparci noi.

fiore

 

La Resistenza italiana e il 25 aprile

La fame, la guerra, la fabbrica. Cultura popolare e antifascismo nel 1943

I fascisti perugini nel 1944

Ai quindici di Piazzale Loreto

La storia degli IMI, i militari italiani internati

Ultima lettera di Luigi Rasario: Tra un’ora la nostra sorte”

Risiera di San Sabba, Lettera di Pino Robusti alla fidanzata

Mirka

24 Aprile, 2021

Adriano Prosperi, La mia liberazione

by gabriella

Adriano prosperi

La riflessione di Adriano Prosperi sulla Resistenza e sulla Liberazione. Tratta da Micromega.

La mia liberazione avvenne il 2 settembre del 1944. L’Italia è lunga da risalire. L’esercito alleato, a lungo attestato sul confine della riva sinistra dell’Arno, quel giorno lo superò e arrivò nel nostro paese. Erano attesi da giorni. La notte prima nessuno dei molti abitanti della collina aveva dormito tranquillo. Si trattava di circa due decine di sfollati dalle città vicine, di diversa cultura e condizione sociale, uniti a quel pugno di contadini che ci risiedevano da sempre, condividendo tutto con loro e maturando relazioni anche intense e durevoli di solidarietà umana e politica. Il piccolo nucleo della mia famiglia – una madre, una nonna – dormì non sui letti consueti ma su un giaciglio di coperte stese per terra in cantina, a due passi dal rifugio scavato dietro la casa, dove mio padre faceva la guardia, con le armi a portata di mano.

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24 Aprile, 2021

La storia degli IMI, i militari italiani internati nei lager nazisti

by gabriella

internati-militari-italianiI militari italiani internati (IMI) nei lager tedeschi furono 700.000.

Di loro, oltre 600.000, davanti alla possibilità di aderire alla Repubblica di Salò ed essere liberati, rifiutarono, preferendo conservare la loro dignità di soldati, rigettare la guerra e respingere il fascismo, ora inquadrato con chiarezza nelle responsabilità condivise con l’alleato nazista. Cinquantamila non tornarono.

Tra i novantamila che giurarono fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, moltissimi rientrarono in patria per disertare e per formare bande partigiane. In Liguria, sul Monte Rosa, interi battaglioni erano composti di soli IMI.

Come racconta Luca Borzani [La guerra di mio padre, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2013], si trattò di un fenomeno imponente che coinvolse quasi tre milioni di famiglie [tra le quali quella di mio nonno]; un fenomeno, come osserva, Ercole Ongaro [Storia della Resistenza nonviolenta in Italia, Bologna, I libri di Emil, 2013] non compreso immediatamente dagli storici che, nel dopoguerra si concentrarono sui partigiani di montagna [al fine di difenderne la memoria, precocemente infangata].

Per capire chi erano bisogna leggere i due passi delle lettere ai familiari di Francesco Grasso e Giuseppe de Toni riferite da Ercole Ongaro.

Indice

1. Dall’intervista a Luca Borzani a Fahrenheit
2. Dall’intervista di Ercole Ongaro a Uomini e profeti

2.1 La lettera di Francesco Grasso
2.2 La lettera di Giuseppe de Toni

 

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24 Aprile, 2021

Jean Paul Galibert, Essere o non essere? Le quattro possibilità di Amleto

by gabriella

Amleto

Durante l’illustrazione della dottrina dell’essere in Parmenide ad una delle ragazze della 3D è venuto in mente il monologo Amleto, dove quell’«essere» su cui si interroga il principe di Danimarca assume un significato completamente diverso da quello inteso dall’eleate.

Come mostra Jean-Paul Galibert [Philosophie de l’inexistence], applicando all’Amleto il quadrato semiotico di Greimas, la scelta su cui si interroga il giovane non è semplicemente quella di vivere denunciando l’intrigo mortale contro il re (essere) affrontando a sua volta la morte, ma anche quella di forme nuove di resistenza: quella della rinuncia (suicidarsi senza lottare) o quella della sublimazione (lottare attraverso forme sotterranee di elaborazione culturale, alla De Certeau). La traduzione dell’articolo di Galibert è mia.

Dormire, forse sognare: ah, c’è l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esistanti.

Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.

Amleto

Amleto non è mai stato di fronte a un dilemma che opporrebbe la vita e la morte come la sua testa ad un teschio. Non è affatto questo dilettante stanco dell’esistenza che comparerebbe i vantaggi dell’essere e del non essere. La sua domanda non é “a che scopo vivere”? o “perché non morire”, perché la questione non è mai stata binaria. Invece di rinchiuderci in un dilemma, Amleto ci libera grazie a un tetralemma, ricco di quattro possibilità, opposte a coppie.

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11 Aprile, 2021

Andrea Parravicini, L’evoluzione delle specie

by gabriella

evoluzionismo

Articolo apparso su La mela di Newton.

Fin dall’inizio della sua storia, la teoria dell’evoluzione ha rivelato un problema irrisolto legato alla possibilità o meno di una sua applicazione a una pluralità di livelli.

In tutti i suoi lavori, Darwin cercò sempre di ricondurre i principi causali della sua teoria al livello singolo degli organismi, al prezzo tuttavia di alcune difficoltà. Come si sa, il meccanismo statistico di selezione naturale tende a premiare le variazioni utili all’organismo che le sviluppa e concorre a eliminare le variazioni dannose. Ma allora perché, si chiedeva Darwin, esistono in natura comportamenti altruistici o addirittura autodistruttivi? Perché, ad esempio, le api usano il pungiglione per difendere l’alveare, sacrificando in questo modo la propria vita? Perché in alcune specie di insetti eusociali esistono caste di milioni di lavoratrici sterili forzate a rinunciare alla riproduzione per servire la loro comunità? Perché i comportamenti altruistici e cooperativi sono così diffusi nelle tribù umane?[1]

Darwin si rendeva conto che il principio di selezione naturale non poteva essere pedissequamente applicato in nessuno di questi casi speciali, perché tale meccanismo favorisce solamente quei tratti ereditari che contribuiscono a un vantaggio relativo per gli organismi che ne beneficiano, in termini di sopravvivenza e riproduzione. Viceversa nei casi considerati, i tratti sviluppati (il pungiglione, il comportamento cooperativo) lungi dal beneficare gli individui che li esibiscono, vanno a vantaggio dell’intera comunità in cui gli individui vivono.

Darwin propose perciò l’idea di estendere l’azione della selezione naturale anche a livelli diversi rispetto a quello degli organismi. In altre parole Darwin riteneva che la selezione naturale non dovesse applicarsi necessariamente solo per il vantaggio degli individui, ma anche per la sopravvivenza delle comunità. Se una colonia di insetti sociali produce una casta di lavoratrici sterili che dedicano la loro intera esistenza ad assistere gli sforzi riproduttivi della regina e a servire la comunità, quella regina con la sua colonia avrà un vantaggio competitivo rispetto alle altre colonie. In questi casi la selezione naturale agirebbe al livello superiore dei gruppi e delle comunità. La stessa logica si applica al caso dei comportamenti altruistici nelle società umane.

Quella di Darwin fu dunque la prima proposta di estendere la teoria evolutiva a una molteplicità di livelli. Tranne qualche altro tentativo successivo a Darwin, il progetto di una teoria multi-livello dell’evoluzione fu però lasciato quasi completamente perdere con l’avvento della Sintesi Moderna (1930-1940), che riformulò la biologia evoluzionistica su basi genetiche. I sostenitori della nuova Sintesi ritenevano che le dinamiche complesse che caratterizzano i fenomeni evolutivi fossero in ultima analisi “estrapolabili” dai cambiamenti che avvengono nelle frequenze geniche al livello delle popolazioni, comprese le dinamiche macroevolutive (ovvero quelle che interessano i livelli più alti, dalle specie in su). La genetica delle popolazioni era dunque la nuova protagonista, e nonostante alcune concezioni eterodosse emerse in quegli anni (come la visione gerarchica espressa da Theodosius Dobzhansky e le idee di George G. Simpson sul processo evolutivo e la macroevoluzione), la logica “estrapolazionista” a un solo livello (quello microevolutivo degli organismi individuali) era largamente dominante e l’evoluzione era definita come il risultato dell’accumulazione di lievi variazioni genetiche guidate dalla sola selezione naturale[2].

Tra gli anni sessanta e settanta la visione gene-centrica applicata ai processi evolutivi subì una progressiva  radicalizzazione per effetto delle teorie di George Williams[3] prima, e soprattutto di Richard Dawkins[4] dieci anni dopo. Nel suo celebre Il gene egoista, Dawkins riduceva il processo evolutivo a una competizione tra geni e sosteneva che i comportamenti altruisti e cooperativi non fossero altro che una forma sottile di egoismo mascherato. Modelli matematici quali quelli della “kin selection” o della teoria dei giochi applicata alle dinamiche evolutive sostanzialmente confermavano questa ipotesi.

L’intuizione darwiniana riguardo alla possibilità di un’estensione multilivello della teoria evoluzionistica non era stata, tuttavia, completamente dimenticata. Biologi come George Price, David Sloan Wilson, Michael Gilpin, Michael Wade, iniziarono, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, a portare evidenze empiriche e sperimentali in favore della selezione di gruppo e a proporre modelli matematici che estendevano i processi selettivi a una pluralità di livelli. Allo stesso tempo, un numero crescente di filosofi della biologia, come Elliott Sober, Elisabeth Lloyd, David Hull tra gli altri, iniziarono ad argomentare in modo convincente a favore di una teoria multilivello dell’evoluzione.

L’accumulo di prove a favore della selezione di gruppo e una revisione dei modelli che ne avevano determinato il rifiuto da parte dei biologi hanno ottenuto il risultato di invertire il trend negli ultimi vent’anni. Oggi la teoria delle selezione multilivello può contare su una robusta base matematica[5] e su crescenti conferme empiriche in campi molto differenti: dall’evoluzione della riproduzione sessuale e dei rapporti (in termini di frequenza relativa) tra i sessi, all’evoluzione del linguaggio articolato[6]. In sostanza, secondo le formulazioni più recenti di questa teoria[7], la selezione naturale può agire su più livelli della gerarchia biologica su qualsiasi entità esibisca variazione (geni, organismi, popolazioni). Inoltre, i processi selettivi che si verificano in determinati livelli possono propagare i loro effetti non solo all’interno del livello in cui accadono, ma anche trasversalmente, verso il basso o verso l’alto lungo la gerarchia biologica, influenzando le unità degli altri livelli.

In un periodo caratterizzato da una spettacolare espansione della base empirica e delle tecniche coinvolte nelle ricerche biologiche, sempre più aperte a nuovi campi e rinnovate sfide (come la genomica e la post-genomica, la paleobiologia, l’evo-devo, l’epigenetica, le filogenesi molecolari, la teoria endosimbiotica, gli equilibri punteggiati), si è assistito anche a una trasformazione della teoria evolutiva nella direzione di un riconoscimento sempre più ampio dell’autonomia del livello macroevolutivo (ovvero quel livello che coinvolge i fenomeni che pertengono alle specie viventi o a livelli al di sopra di esse) e della difficoltà sempre più marcata di ridurre interamente quest’ultimo al sottostante livello micro-evolutivo (quello dei cambiamenti nelle frequenze geniche nelle popolazioni, privilegiato nella visione della Sintesi Moderna).

Proprio in concomitanza con questi cambiamenti in direzione del riconoscimento della complessità dei fenomeni viventi e della necessità di analizzarli attraverso un approccio pluralista e diversificato, iniziò a svilupparsi, a fianco delle già menzionate ricerche sulla teoria della selezione multilivello, anche un filone di ricerche dedicato ai sistemi gerarchici in biologia. La prima importante antologia sulla teoria gerarchica intesa come cornice generale in cui interpretare i sistemi complessi risale al 1973, curata da Howard H. Pattee[8], con un contributo anche del premio Nobel per l’economia Herbert Simon. Negli anni ottanta iniziarono i primi tentativi di applicare la teoria gerarchica in campo ecologico[9], mentre negli stessi anni i paleontologi Niles Eldredge, Elisabeth Vrba e Stephen Jay Gould[10] proposero una “espansione” della teoria darwiniana verso una teoria gerarchica multi-livello. A differenza della teoria della selezione multilivello citata sopra, però, questa proposta ebbe il merito di aprire la strada a una nuova interpretazione più pluralista della biologia evoluzionistica, in cui all’importanza accordata all’azione della selezione naturale nelle dinamiche multilivello del processo evolutivo si affiancava il riconoscimento di altri processi e pattern fondamentali.

Gli eventi di estinzione di massa, ovvero eventi causati da una perturbazione ecologica globale, ad esempio, innescano cambiamenti radicali che risultano casuali al livello focale delle popolazioni, dato che il processo selettivo non può preparare a questi rari, imprevedibili e catastrofici avvenimenti. Questi fenomeni macro-evolutivi, che instaurano nuove condizioni ambientali, producono un successo differenziale al livello delle specie e dei taxa al di sopra di esse, innescando una cascata di effetti che si propagano verso il basso raggiungendo il livello delle popolazioni. Questo scenario ambientale fortemente modificato instaura nuove condizioni sulle quali ripartirà un nuovo processo selettivo tra gli individui. Il caso di un’estinzione di massa è solo un esempio, tra molti altri, di sorting dovuto a cause esterne accidentali che agiscono a livelli differenti della gerarchia biologica.

Questo tipo di prospettiva pluralista e gerarchica dell’evoluzione fu sviluppata ulteriormente negli anni successivi sia da Gould[11], che mantenne l’idea di un’unica grande gerarchia biologica, sia da Niles Eldredge, che separò invece la dimensione interna, genealogica dell’evoluzione e la sua dimensione più esterna, ecologica e geologico-ambientale, in due differenti, ma strettamente interrelate, gerarchie[12]. Il nocciolo dell’idea di Eldredge è che gli eventi ambientali possono avere differenti ordini di grandezza. Più grande è la perturbazione, più forte è l’impatto sugli ecosistemi. Inoltre maggiore è la perdita al livello dei taxa più alti (specie, generi, famiglie), maggiore sarà la differenziazione dei nuovi taxa evolutisi. Il processo è simile a quello di un secchio oscillante che contiene dell’acqua: più lo facciamo oscillare, più l’acqua dentro al secchio si muove, fino a traboccare. Tradotto in termini evolutivi, al crescere delle perturbazioni ecologiche, aumenta anche l’entità del cambiamento evolutivo. Questa teoria è stata chiamata da Eldredge, per l’appunto, “sloshing bucket”, il modello del secchio oscillante. Le estinzioni di massa, ad esempio, sono causate da perturbazioni ambientali di ordine globale, e danno luogo a nuove specie o addirittura a radiazioni di gruppi ancor più grandi, come generi o famiglie. Perturbazioni di tipo regionale, invece, possono causare estinzioni in differenti lignaggi, seguite dall’origine di nuove specie, mentre perturbazioni ecologiche di entità locale possono causare l’eliminazione di qualche gruppo, presto rimpiazzato da popolazioni co-specifiche, con un minimo di cambiamento evolutivo, o anche nessuno.

Secondo Eldredge, dunque, la dimensione evolutiva o genealogica, legata ai cambiamenti derivanti dal successo differenziale (sorting) nella trasmissione di modificazioni genetiche, è strettamente interrelata ai fattori ambientali, geografici, geofisici, in grado di produrre cambiamenti ecologici che a loro volta influenzano le relazioni genealogiche tra organismi, popolazioni e specie. Queste due differenti ma intrecciate dimensioni sono descritte da Eldredge come due differenti gerarchie. La gerarchia genealogica, che concerne i sistemi basati sull’informazione genetica e riguarda la riproduzione o replicazione delle differenti entità, si compone di una serie di livelli innestati l’uno nell’altro che vanno dai geni agli organismi, alle popolazioni e specie. La gerarchia ecologica riguarda invece i sistemi di trasferimento di materia e di energia e concerne le interazioni tra le entità. Essa è costituita da organismi, contenuti in popolazioni (viste in questo caso come entità economiche), a loro volta innestate nelle loro nicchie ecologiche, all’interno di ecosistemi, fino a comprendere l’intera biosfera.

Lungi dal dipendere esclusivamente sull’accumulazione di processi micro-evolutivi a livello di popolazione, come sostenuto dai padri della Sintesi Moderna, l’evoluzione per Eldredge ha luogo in un più ampio contesto ecologico dove i fattori abiotici giocano un ruolo fondamentale. In questa visione ampia, gli organismi soltanto fanno parte simultaneamente delle due gerarchie: di quella genealogica, in quanto si riproducono; di quella ecologica, in quanto essi competono e cooperano per procacciarsi cibo e risorse energetiche. La base del secchio oscillante dell’evoluzione resta la selezione naturale operante tra organismi (che sono riproduttori e interattori allo stesso tempo) ed è questo il motivo preciso per cui un tale approccio multilivello resta neodarwiniano nel suo nucleo centrale. A livello di popolazioni, i gruppi sociali possono essere considerati come entità riproduttive (demi), ma anche economiche (avatars), e solo in alcuni casi (come nelle colonie), le due entità coincidono perfettamente.

La teoria della doppia gerarchia è un modello neodarwiniano unificante che può essere applicato per illuminare i problemi concreti delle ricerche in campo biologico. Esso si adatta bene a molte odierne ricerche in biologia molecolare, paleontologia, ecologia, demografia, paleo-climatologia, a diversi livelli, ecologici e genealogici. In campo paleoantropologico, ad esempio, l’applicazione della doppia gerarchia è molto utile per far convergere evidenze empiriche e pattern, e integrare l’enorme massa di dati eterogenei provenienti da diversi campi di ricerca in un unico scenario evolutivo unificato[13].

Proprio l’esigenza di integrazione dei dati, insieme al bisogno urgente di far dialogare tra loro scienziati e studiosi di differenti campi e discipline, sta alla base dell’ambizioso progetto intrapreso dal gruppo di ricerca interdisciplinare denominato “The Hierarchy Group”, un network internazionale di ricerca composto da studiosi altamente qualificati appartenenti ai campi più disparati, come la biologia evoluzionistica, l’antropologia, la genetica, l’ecologia, la storia e la filosofia della biologia. Il gruppo è stato fondato dieci anni fa, nel 2006, in occasione del Festival della Scienza di Genova, riunendosi successivamente a L’Havana nel 2010, a Salt Like City nel 2011 e a Padova nel 2014, nel contesto di importanti congressi internazionali.

Il progetto (i cui contenuti si possono leggere in dettaglio nel sito del gruppo, [www.hierarchygroup.com]) si è concluso lo scorso settembre con la pubblicazione del libro dal titolo Evolutionary Theory: A Hierarchical Perspective per i tipi dell’autorevole casa editrice statunitense The University of Chicago Press (Chicago 2016, 385 pp.)  http://press.uchicago.edu/ucp/books/book…]. Il volume collettaneo è stato curato da quattro membri del gruppo: Niles Eldredge, leader storico del gruppo, eminente paleontologo ora emerito presso l’American Museum of Natural History di New York; Telmo Pievani, filosofo della biologia ed evoluzionista presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, co-direttore, insieme a Eldredge, del progetto; Emanuele Serrelli, filosofo della scienza presso l’Università di Milano Bicocca; e Ilya Tëmkin, biologo e ricercatore associato presso il National Museum of Natural History, Smithsonian Institution, Washington.

L’uscita del libro è stata recentemente celebrata in due importanti incontri internazionali organizzati dal Hierarchy Group negli Stati Uniti[14]. Nel pomeriggio del 22 settembre 2016 si è tenuto un simposio internazionale in cui i curatori e alcuni degli autori del libro hanno presentato il volume e i suoi contenuti presso la prestigiosa sede della National Academy of Sciences di Washington. Il giorno successivo si è invece svolto un workshop interno tra i membri del gruppo, alcuni autori del libro e altri studiosi esterni invitati, presso il Northern Virginia Community college di Annandale, per discutere di alcune importanti questioni legate alla teoria gerarchica e ai suoi possibili sviluppi futuri. Oltre al workshop, si è svolta anche in questa sede una presentazione del volume davanti a tutta la facoltà e agli studenti del college nordamericano. L’eco internazionale riguardante la pubblicazione del libro ha infine raggiunto anche la redazione della rivista Science, che in un paginone del numero uscito lo scorso 30 settembre ha dedicato al volume un’articolata recensione in cui vengono sollevati punti importanti legate alla teoria gerarchica e alle sue implicazioni per un rinnovamento futuro della teoria dell’evoluzione[15].

Pubblicato dopo più di 40 anni dall’antologia curata da Pattee sulla teoria gerarchica[16], Evolutionary Theory adotta la concezione gerarchica di Eldredge come cornice teorico-interpretativa. Come sottolineato da Telmo Pievani in apertura del simposio di Washington, i sedici saggi di cui è composto il volume trattano temi differenti, che spaziano dalle ricostruzioni storiche alle trattazioni più squisitamente biologico-teoretiche, passando per testi più strettamente empirici. Anche le competenze dei ventiquattro autori, sommate a quelle dei quattro curatori, compongono un quadro altamente diversificato, in cui biologi evoluzionisti e paleontologi, genetisti e paleobiologi, geologi ed ecologi, biologi marini e filosofi della scienza, e finanche un musicologo, danno vita a un intreccio di prospettive differenti e plurali legate insieme dal potere unificante ed euristico della teoria gerarchica.

Come si legge anche nella già citata recensione che Bengt Autzen ha dedicato al volume su Science, esso è suddiviso in tre sezioni, precedute da un’introduzione di carattere storico scritta da  Niles Eldredge. La prima parte si concentra su questioni concettuali e terminologiche correlate alla teoria gerarchica. Ad esempio, il saggio del paleontologo della Kansas University Bruce Lieberman discute della doppia natura della biologia evoluzionistica, che mostra di essere sia una scienza storica che una scienza che scopre regolarità e leggi.

La seconda parte del libro è dedicata alle relazioni dinamiche tra le entità a differenti livelli delle gerarchie biologiche. Particolarmente illuminante, secondo Autzen, il capitolo realizzato da Günter Wagner, professore di ecologia e biologia evoluzionistica alla Yale University, e collaboratori. Nei due meeting di presentazione del libro i contenuti del capitolo sono stati presentati dalla co-autrice Mihaela Pavličev, professoressa alla University of Cincinnati ed esperta di evolutionary systems biology, che ha sottolineato come il capitolo sviluppi una teoria riguardante il comportamento dei sistemi emergenti esaminando le somiglianze strutturali tra i sistemi biologici a livello molecolare e nell’evoluzione culturale umana.

La terza e ultima parte del volume si volge alla nozione di macroevoluzione, la dimensione da cui si è originata la teoria gerarchica. Alla National Academy of Sciences, Warren Allmon, paleontologo della Cornell University e direttore del Paleontological Research Institute a Ithaca (New York), ha presentato il suo capitolo, che opera una dettagliata analisi del ruolo che i termini di “tempo” (ritmi di evoluzione e di speciazione) e “modalità” (cioè tipi di processi e meccanismi che generano nuove specie) giocano nella teoria macroevolutiva, proponendo un utilizzo di essi in grado di chiarire una serie di dubbi e ambiguità legati al loro impiego. William Miller III, professore di geologia alla Humboldt State University, ha mostrato come un’espansione della teoria evoluzionistica in direzione di una seria considerazione delle dinamiche macro-ecologiche e dei pattern macroevolutivi sia essenziale per poter interpretare correttamente i fenomeni evolutivi e per poter condurre alla scoperta di nuove connessioni concettuali relative ai pattern su larga scala della storia evolutiva.

Ogni sezione del libro è preceduta da un saggio introduttivo scritto da due dei curatori, Ilya Tëmkin ed Emanuele Serrelli. Alla presentazione del libro tenutasi al Northern Virginia Community college di Annandale i due studiosi hanno presentato parte dei loro contributi al libro: Tëmkin ha presentato l’architettura concettuale della teoria gerarchica e la peculiarità della doppia gerarchia rispetto alle altre teorie gerarchiche in un’ottica sistemica, mentre Serrelli ha mostrato come, nonostante i frequenti tentativi di integrare concettualmente ecologia ed evoluzione lungo la storia del pensiero biologico, la teoria gerarchica dell’evoluzione fornisca in ultima analisi la cornice concettuale più appropriata per un’integrazione multi-scala delle due discipline. Il volume si conclude con un saggio di Telmo Pievani, che riflette sulla rilevanza euristica e teoretica della teoria gerarchica e propone un confronto con la cosiddetta “Extended Evolutionary Synthesis” che, come la teoria di Eldredge, avanza l’idea di un’estensione del programma di ricerca neodarwiniano in direzione pluralista.

Nella recensione al volume comparsa su Science non sono mancati i rilievi critici. Il più importante, secondo Autzen, sarebbe la presenza di due diverse connotazioni di teoria gerarchica che compaiono nel libro. Se considerata in senso stretto, la teoria gerarchica sarebbe quella che Eldredge propone nei suoi scritti, costituita dalla doppia gerarchia genealogica e ecologica, e caratterizzata dal modello del “secchio oscillante”. Accade tuttavia che in alcuni capitoli si possa trovare un’interpretazione più liberale della teoria, riferita all’idea più generica che il mondo biologico è organizzato gerarchicamente e che questa caratteristica strutturale sia rilevante per comprendere l’evoluzione. Ora, secondo Autzen, “nel volume compaiono entrambe le interpretazioni, ma la distinzione non è sempre chiara”. L’esempio citato dall’autore della recensione per confermare la sua idea riguarda i contenuti del capitolo scritto congiuntamente dal biologo evoluzionista Ryan Gregory, dal filosofo della scienza Stefan Linquist e dal biologo molecolare Tyler Elliott, tutti colleghi presso la Guelph University (Canada).

Come illustrato da Gregory anche nel corso dei due convegni americani, una prospettiva multilivello può essere molto utile per chiarire, ad esempio, la presenza massiccia nel genoma umano di sequenze non codificanti, come introni, pseudogeni, trasposoni. Questi ultimi, da soli, costituirebbero almeno la metà delle sequenze del genoma umano, ma per cercare di comprenderli in un’ottica evoluzionista e biologica, finora li si è considerati (ad esempio nel progetto ENCODE) largamente dal punto di vista dell’organismo, in termini di una loro funzionalità o meno, di una loro dannosità, neutralità o azione benefica, fallendo in questo modo il proposito. Molto meglio invece considerarli da una prospettiva multilivello, come entità che competono, si riproducono ed evolvono dentro il genoma, considerato come il loro ambiente. Se visti come sistemi interagenti sia tra loro, al loro proprio livello, sia coinvolgendo differenti livelli di organizzazione, ad esempio perché selezionati per o contro i loro effetti a livello dell’organismo o delle cellule, il problema di comprenderne la loro origine evolutiva e la loro natura in quanto entità biologiche viene meglio compreso e chiarito. Se si assume una prospettiva al livello degli elementi considerati, risulta evidente come i trasposoni si siano accumulati all’interno del genoma per ragioni differenti dall’utilità per l’organismo, ad esempio perché essi sono semplicemente bravi ad accumularsi. Solo una piccola frazione di essi in seguito è stata cooptata per un qualche uso dal genoma ospitante.

Autzen ritiene che questo contributo si adatti meglio alla cornice concettuale della teoria della selezione multilivello, e si chiede se questo equivalga a provvedere una teoria gerarchica dell’evoluzione dei trasposoni. Se leggiamo la teoria gerarchica in senso liberale, scrive Autzen, la risposta è sì; se viceversa adottiamo l’interpretazione più rigida, la risposta è no, e questo genera confusione tra i lettori. Questa argomentazione poggia però sull’idea errata secondo cui la teoria gerarchica, interpretata in senso stretto (ovvero nella formulazione data da Eldredge della doppia gerarchia), escluderebbe la teoria della selezione multilivello perché incompatibile con essa. In realtà, come viene argomentato nel capitolo 8 di Evolutionary Theory, non solo le due teorie (teoria gerarchica e teoria della selezione multilivello) sono compatibili tra loro, ma addirittura la teoria di Eldredge non sarebbe che un’estensione, in senso pluralista, della teoria della selezione multilivello, che viene incorporata all’interno dell’architettura concettuale della prima. Perciò, se per comprendere meglio le dinamiche biologiche ed evolutive cha caratterizzano i trasposoni all’interno del genoma umano viene utilizzata una prospettiva multilivello in cui la selezione gioca un ruolo di primo piano, non siamo affatto al di fuori di una prospettiva gerarchica alla Eldredge. Nulla ci vieta, laddove sia pragmaticamente utile farlo, di considerare l’ambiente genomico in cui sono immersi i trasposoni come il lato della gerarchia ecologica che interagisce con il lato genealogico cui i trasposoni appartengono, in quanto entità altamente replicative.

Non si può invece che essere d’accordo con Autzen quando in conclusione del suo stimolante articolo scrive che “sia l’ampio raggio dei temi trattati nel volume, che la diversità di coloro che vi hanno contribuito sono impressionanti”, aggiungendo che in effetti questo libro “contribuisce a colmare un importante bisogno in un momento in cui riviste altamente specializzate raramente offrono l’opportunità a biologi e filosofi di impegnarsi congiuntamente con le questioni concettuali della biologia”. Come scrive Eldredge nella sua Introduzione a Evolutionary Theory (p.14), “Sono affamato di cambiamento – di sviluppi nella teoria gerarchica da parte delle giovani generazioni”.

NOTE

[1] Cfr. C. Darwin (1859), L’origine delle specie, Bollati Boringhieri, Torino 1967; Id., L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871), Newton Compton, Roma 1994.

[2] Cfr. D. Sepkoski, Rereading Fossil Record: The Growth of Paleobiology as an Evolutionary Discipline, University of Chicago Press, Chicago 2012.

[3] George C. Williams, Adaptation and Natural Selection: A Critique of Some Current Evolutionary Thought, Princeton University Press, Princeton, NJ, 1966.

[4] Dawkins, Richard, The Selfish Gene, Oxford University Press, Oxford 1976.

[5] M. A. Nowak, “Five Rules for the Evolution of Cooperation”, Science 314, 2006: 1560–1563; C. E. Tarnita et al., “Evolutionary Dynamics in Set Structured Populations”, PNAS 106, 2009: 8601–8604; M.A. Nowak et al., “The Evolution of Eusociality”, Nature 466, 2010: 1057–1062.

[6] Per un’applicazione della teoria della selezione multilivello al linguaggio umano si veda ad esempio T.W. Deacon, “Multilevel Selection in a Complex Adaptive System. The Problem of Language Origins”, in Evolution and Learning: The Baldwin Effect Reconsidered, edited by B. Weber and D. Depew, 81–106. MIT Press, Cambridge (MA) 2003.

[7] Cfr. S. Okasha, Evolution and the Levels of Selection, Oxford University Press, Oxford 2006; D. S. Wilson, L’altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri, Bollati Boringhieri, Torino 2015.

[8] H. H. Pattee (ed.), Hierarchy Theory: The Challenge of Complex Systems, Braziller, New York 1973.

[9] S. N. Salthe, Evolving Hierarchical Systems: Their Structure and Representation, Columbia University Press, New York 1985.

[10] Cfr. E.S. Vrba, N. Eldredge, “Individuals, Hierarchies and Processes: Towards a More Complete Evolutionary Theory.” Paleobiology 10, 1984: 146–171; N. Eldredge, Unfinished Synthesis. Biological Hierarchies and Modern Evolutionary Thought, Oxford University Press, Oxford 1985; E.S. Vrba, S.J. Gould, “The Hierarchical Expansion of Sorting and Selection: Sorting and Selection Cannot Be Equated”, Paleobiology, 12, 1986: 217–228.

[11] Cfr. S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, Codice, Torino 2003.

[12] Eldredge ha sviluppato la sua teoria gerarchica dell’evoluzione in diverse opere, tra cui ricordiamo Unfinished Synthesis. Biological Hierarchies and Modern Evolutionary Thought, Oxford University Press, Oxford 1985; The Pattern of Evolution, W.H. Freeman, New York 1999; “Hierarchies and the Sloshing Bucket: Toward the Unification of Evolutionary Biology”, Evolution: Education and Outreach, 1, 2008: 10–15.

[13] Cfr. A. Parravicini, T. Pievani, “Multi-level human evolution: ecological patterns in hominin phylogeny”, Journal of Anthropological Sciences, vol. 94, 2016: 1-16.

[14] Si vedano i programmi completi degli eventi nella sezione “eventi” e “links” del sito  www.hierarchygroup.com]

[15] B. Autzen, “Leveling up”, Science, 30 Sept. 2016, 353 (6307): 1505.

[16] H. H. Pattee (ed.), Hierarchy Theory: The Challenge of Complex Systems, Braziller, New York 1973.

8 Aprile, 2021

Giovanni Gentile

by gabriella
Giovanni Gentile (1875 - 1944)

Giovanni Gentile (1875 – 1944)

Filosofo neoidealista, politico fascista e autore della riforma della scuola che porta il suo nome, Gentile è stato interprete dell’hegelismo di destra e, come tale, ha concepito l’educazione come autoformazione nell’unità spirituale fra maestro e allievo.

Il pdf per la stampa è in coda al testo.

Indice

1. Il platonismo e la concezione pedagogica gentiliana
2. L’antropologia gentiliana
3. La Riforma della scuola del 1923
4. La scuola fascista

 

1. Il platonismo e la concezione pedagogica gentiliana

Platone (428/7 – 348/7)

Nella visione platonica che caratterizza il suo pensiero pedagogico, il processo educativo si risolve nel «farsi» dello spirito, nella dialettica filosofica e nell’elevazione spirituale frutto dello scambio tra maestro e allievo, nel quale entrambi si accostano alla verità.

 

L’insegnamento è, per Gentile, «teoria in atto», fuoco creatore e diveniente dello spirito, di cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo. Il metodo infatti non è altro che il maestro stesso – «il metodo è il maestro» – il quale non deve affidarsi a una specifica didattica, ma alle proprie risorse interiori:
«non è questa mia una scienza come le altre, essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s’accende da fuoco che balza: nasce d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima». [Platone, Lettera VII];

Si tratta di una concezione recentemente riecheggiata nell’invito di Massimo Recalcati a far vivere l’insegnamento nell’elemento erotico e, in generale – che ne siano consapevoli o meno – negli approcci critici verso le innovazioni didattiche percepite come un inutile “modernismo”.

Massimo Recalcati, Non fate gli psicologi, insegnate!

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