Introduzione alla sociologia

by gabriella

Le regole implicite

Le regole implicite

L’insieme di abitudini e stili di vita che caratterizzano la nostra esistenza affonda le sue radici in un sistema sociale che costituisce il campo di indagine della sociologia.

La nostra vita quotidiana è costantemente condizionata, nel rapporto con gli altri, dalle regole, dalle convenzioni, dal linguaggio, dalle abitudini che condividiamo con essi e dalle aspettative che reciprocamente nutriamo nei confronti del comportamento altrui. La nostra esistenza risulterebbe certamente assai più difficile se in ogni relazione con altri uomini dovessimo ogni volta stabilirne i codici, le modalità comunicative, le regole.

Viviamo invece all’interno di sistemi che percepiamo come “familiari”; sistemi all’interno dei quali siamo in grado di prevedere le risposte che il nostro comportamento può provocare: sappiamo, per esempio, che se ci appropriamo di qualcosa senza pagarla, andiamo incontro a sanzioni, ma anche che certe espressioni di cortesia possono generare nell’interlocutore reazioni differenti da altre, reputate scortesi. Ci è noto che dobbiamo rivolgerci con determinate formule linguistiche a un superiore e con altre a un amico, che dobbiamo guidare stando a destra, che nonostante sia caldo non possiamo presentarci in ufficio col costume da bagno ecc.

Emile Durkheim (1585 – 1917)

Gabriel Tarde (1843 – 1904)

Ora, fino a quando questo “sistema familiare” viene percepito come naturale, non c’è ragione di interrogarsi intorno a esso. La sociologia nasce invece nel momento in cui ci si pongono domande sul perché dei sistemi e delle regole, sul come si sono formati e sulle ragioni che ne hanno determinato la scelta.

 

 

 

L’immaginazione sociologica

Charles Wright Mills (1916 – 1962)

In un celebre libro, C. Wright Mills parla dell’immaginazione sociologica come della capacità di

«riflettere su se stessi liberi dalle abitudini familiari della vita quotidiana, al fine di guardare la realtà con occhi diversi».

Liberi dai cliché, dalle abitudini e da comportamenti che col tempo hanno assunto ai nostri occhi una naturalezza scontata non solo in relazione alla nostra esistenza, ma di tutta la specie umana. Così, l’analisi di un gesto spontaneo come quello di bere una tazzina dì caffè può rivelare la presenza di profonde influenze sociali.

Il rito sociale del caffé

La tazzina di caffè a metà mattina o dopo pranzo non è infatti solo un atto alimentare, ma ha un valore simbolico nel quadro dei riti sociali quotidiani, tanto che spesso il rituale è più importante della bevanda stessa. “Andare a prendere un caffè” non significa solo assumere una determinata bevanda, ma recarsi al bar o comunque fare una pausa per scambiare due chiacchiere. Così la risposta negativa alla richiesta di “bere un caffè” può provocare nell’interlocutore un risentimento incomprensibile, se non rapportato alla dimensione comunitaria del rito.

Approfondendo l’analisi dovremmo notare che il caffè, a causa del contenuto di caffeina, esercita un’azione sul sistema nervoso: è pertanto una droga socialmente accettabile al pari dell’alcol. Non è così per altre culture, che invece tollerano il consumo di marijuana, ma disapprovano quello di caffè e alcol.

L’abitudine all’uso del caffè, inoltre, è relativamente recente e presuppone un determinato sviluppo sociale ed economico. Come è noto, il consumo di massa della bevanda è legato all’espansione coloniale europea e all’esportazione del prodotto coltivato nelle piantagioni di Sud America e Africa. La bevanda rimanda allora a un insieme di rapporti internazionali e a un determinato sistema di scambi e accordi commerciali affermatisi storicamente.

Lo sguardo sociologico, allora, è quel particolare approccio che abbandona il punto di vista naturalistico sulla realtà umana, per adottare la consapevolezza della natura storica, costruita, e dunque mutevole, di tutti i fatti umani.

 

 

Vedere e non vedere

Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete
guarderete con i vostri occhi e non vedrete;
perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile:
sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi,
per non rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi,
e di comprendere con il cuore
.

Matteo 13,11-15

Socrate

Platone

«Guardare la società con occhi diversi» (Wright Mills) significa vedere ciò che normalmente resta invisibile. Per farlo occorre «prendere le distanze», mettere in parentesi e accettare di mettere in discussione le opinioni correnti e i punti di vista condivisi attraverso l’educazione e la comunicazione con gli altri.

La sociologia, come e più delle altre scienze sociali, è dunque una scienza critica, che richiede la stessa postura intellettuale della dialettica socratica e platonica o dell’epoché scettica: entrambe, infatti, si distanziano dall’opinione e dal senso comune sospendendo la credenza (pistis, πίστις), premessa necessaria per vedere, idein.


 

La critica sociale nell’arte 

L’opera di alcuni writer e pittori particolarmente impegnati a far vedere ciò che è nascosto è particolarmente vicina alla riflessione sociologica. Ne sono esempio la street art del writer inglese Banksy e la social art del pittore polacco Pawel Kuczynsky.

Banksy è intervenuto su moltissimi temi e problemi contemporanei: si è espresso contro la guerra, sul rifiuto all’accoglienza dei migranti, sulla tragedia palestinese, sulla Siria.

Nel video seguente, ad esempio, si è ritratto mentre dipinge i muri degli edifici distrutti a Gaza. L’artista si filma in prima persona, mentre entra nella città palestinese passando dai tunnel sotterranei che collegano la striscia di Gaza all’Egitto, fingendo di proporre una nuova destinazione turistica allo spettatore occidentale, o di illustrare le opportunità economiche che si aprono in un paese raso al suolo dove non è ancora stato consentito di far entrare del cemento.

Fra gli edifici distrutti dall’esercito israeliano durante l’ultima operazione militare si ergono i graffiti dell’artista, donne che piangono, bambini che giocano su una giostra costruita attorno a una torre di vedetta dell’esercito di Tel Aviv e un gattino che osserva un cumulo di rifiuti nascosto fra i detriti della città distrutta. Tra ironia e spiazzamento, denuncia e tenerezza, Bansky rivela così una realtà che nelle immagini piatte dei telegiornali resta nascosta.

Il video si conclude con l’inquadratura di un muro crivellato dai colpi la cui scritta spiega alle galline che razzolano là davanti che chi non si oppone è dalla parte dell’oppressore:

If we wash our hands of the conflict between the powerful and the powerless we side with the powerful, we don’t remain neutral [se ci laviamo le mani del conflitto fra potenti e oppressi stiamo dalla parte dei potenti, non possiamo rimanere neutrali].

Il cattivo artista imita, il grande artista ruba: cattura la realtà e la restituisce al nostro sguardo.

Anche Pawel Kuczynski è un giovane grafico dallo sguardo fisso sulle contraddizioni della contemporaneità. La sua è un’arte di denuncia dal tratto semplice ed espressivo, in controtendenza rispetto all’intimismo decadente di molti protagonisti dell’arte contemporanea. 

Qui una collezione delle sue opere più interessanti.

 

Esercitazione

Crea un ipertesto con Open Office o con Word contenente la presentazione dell’opera di Banksy o di Kuczynski e il commento ad alcuni dei loro graffiti o tele, completo di copertina, indice, titoli, sottotitoli dei paragrafi, testo formattato, note, link a risorse audio o video e bibliografia finale delle fonti consultate.

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