La Risiera di San Sabba

by gabriella

La Risiera di San Sabba è stato l’unico campo di concentramento con forno crematorio costruito in Italia, adibito agli interrogatori di polizia e allo smistamento dei prigionieri ebrei verso i campi di sterminio dell’Est. Nel reportage seguente, la storia del luogo e di Pino Robusti, una delle vittime politiche del campo.

 

Indice

1. La Risiera di San Sabba
2. La lettera di Pino Robusti alla fidanzata

 

1. La Risiera di San Sabba

una stellina rossa nascosta da un partigiano in una cella

La risiera costruita nel 1913 nel quartiere di San Sabba a Trieste per la pilatura del riso proveniente dall’Asia, divenne dapprima il Stalag 339 campo di prigionia per i militari italiani dopo l’8 settembre 1943, poi il Polizeihaftlager, il campo di detenzione di polizia, usato sia come campo di passaggio per gli ebrei da inviare poi allo sterminio in Germania e in Polonia (a Dachau, Auschwitz, Mauthausen) sia alla detenzione e eliminazione di ostaggi, militari, oppositori, politici partigiani, antifascisti, esponenti della resistenza italiana, slovena e croata.

Il campo di San Sabba è un campo di sterminio del dissenso, non necessariamente legato alla dottrina razziale nazista. Nelle celle si sono trovate migliaia di documenti d’identità, prelevati dall’esercito jugoslavo che entrò per primo nella Risiera e portate a Lubiana, dove sono conservate ancora oggi presso l’Archivio della Repubblica di Slovenia.

Come per altri campi, c’erano laboratori dove lavoravano principalmente gli ebrei che partivano appena il loro numero era sufficiente a riempire un treno per i campi di sterminio in Germania e in Polonia (a Dachau, Auschwitz, Mauthausen). Tutti infatti dovevano rendere e produrre prima di essere ammazzati e a copertura delle spese per la propria eliminazione.

Nel cortile interno della Risiera sorgeva il forno crematorio fatto saltare dai nazisti prima della fuga nell’aprile 1945. Era stato collaudato il 4 aprile 1944 dai migliori tecnici nazisti attivi nei lager di tutta l’Europa e riuniti in quel momento a Trieste.

Tra i resti del forno è stata trovata una mazza ferrata del tipo di quelle usate nel medioevo che veniva usata per dare il colpo finale sulla nuca dell’internato prima di gettarlo nel forno, vivo o morto che fosse, oppure per spezzare ossa e articolazioni dei prigionieri torturati. I detenuti che venivano uccisi non provenivano solo dal campo di San Sabba ma anche dalle altre carceri della città, come il Coroneo, e a volte, da fuori Trieste.

le celle dei prigionieri politici al piano terra

Le loro testimonianze sono rimaste incise sui muri delle celle e nelle lettere che raccontano la vita nel lager, le esecuzioni e la soppressione nei camion a gas. Una delle più note è quella del prigioniero politico triestino Pino Robusti alla fidanzata.

Le esecuzioni avvenivano di notte e i prigionieri dalle celle lo sapevano perché sentivano i motori dei camion a pieno regime per ore che coprivano col rumore le grida dei prigionieri uccisi. Alcuni venivano gassati con lo scarico di camion sigillati, fucilati o uccisi a colpi di mazza. I sopravvissuti ricordano il rombo dei motori, la musica ad alto volume delle marce tedesche e di “Lilì Marlene”, i latrati dei cani delle guardie, poi il silenzio della morte.

L’odore acre della carne che bruciava nei forni riempiva l’aria e arrivava fino alle celle dei prigionieri. Il giorno dopo la ricerca di quelli che non c’erano più. Al loro posto, mucchi di cenere sparse nell’Adriatico.

Non è certo quante siano state le persone uccise nella risiera di San Sabba. Sono stimate in circa 5000 tra i non ebrei appartenenti alla resistenza, alle file dei partigiani, tra gli oppositori e ostaggi rastrellati. Non sono calcolabili le migliaia di persone concentrate nel lager per essere inviate nei campi di sterminio in Germania e in Polonia.

Anche lo stato italiano ha ricostruito con lentezza i fatti, dichiarando la Risiera di San Sabba monumento nazionale nove anni dopo la fine della guerra, solo nel 1956.

 

lo spazio in cui sorgeva il forno fatto saltare dai nazisti

 

2. La lettera di Pino Robusti alla fidanzata

Pino Robusti era uno studente che si considerò prigioniero politico solo dopo il suo internamento nella Risiera di San Sabba. Fu ucciso dai tedeschi a 23 anni, il suo corpo bruciato nel forno della Risiera.

Trieste, 5 aprile 1945

Laura mia,

mi decido di scrivere queste pagine in previsione di un epilogo fatale e impreveduto. Da due giorni partono a decine uomini e donne per ignota destinazione. Può anche essere la mia ora. In tale eventualità io trovo il dovere di lasciarti come mio unico ricordo queste righe.

Tu sai, Laura mia, se mi è stato doloroso il distaccarmi, sia pure forzatamente da te, tu mi conosci e mi puoi con i miei genitori, voi soli, giustamente giudicare. Se quanto temo dovrà accadere sarò una delle centinaia di migliaia di vittime che con sommaria giustizia in un campo e nell’altro sono state mietute.

Per voi sarà cosa tremenda, per la massa sarà il nulla, un’unità in più in una cifra seguita da molti zeri. Ormai l’umanità si è abituata a vivere nel sangue. Io credo che tutto ciò che tra noi v’è stato, non sia altro che normale e conseguente alla nostra età, e son certo che con me non avrai imparato nulla che possa nuocerti né dal lato morale, né dal lato fisico. Ti raccomando perciò, come mio ultimo desiderio, che tu non voglia o per debolezza o per dolore sbandarti e uscire da quella via che con tanto amore, cura e passione ti ho modestamente insegnato.

Mi pare strano, mentre ti scrivo, che tra poche ore una scarica potrebbe stendermi per sempre, mi sento calmo, direi quasi sereno, solo l’animo mi duole di non aver potuto cogliere degnamente, come avrei voluto, il fiore della tua giovinezza, l’unico e più ambito premio di questa mia esistenza.

Credimi, Laura mia, anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre e quando andrai a trovare i tuoi genitori, io sarò là, presso la loro tomba ad aiutarti e consigliarti.

L’esperienza che sto provando, credimi, è terribile. Sapere che da un’ora all’altra tutto può finire, essere salvo e vedermi purtroppo avvinghiato senza scampo dall’immane polipo che cala nel baratro.

E’ come divenir ciechi poco per volta. Ora, con te sono stato in dovere di mandarti un ultimo saluto, ma con i miei me ne manca l’animo, quello che dovrei dire a loro è troppo atroce perchè io possa avere la forza di dar loro un dolore di tale misura. Comprenderanno, è l’unica cosa che spero. Comprenderanno.

Addio, Laura adorata, io vado verso l’ignoto, la gloria o l’oblio, sii forte, onesta, generosa, inflessibile, Laura santa. Il mio ultimo bacio a te che comprende tutti gli affetti miei, la famiglia, la casa, la patria, i figli.

Addio

Pino

Pasqua 1945

Carissimi

Questa giornata è stata come una sorpresa per tutti noi “politici”.
Ogni ceto, classe, età, accomunati in una sola vera fede, in una sofferenza unica e distinta per ognuno di noi eppure per tutti uguale. Ci siamo ritrovati tutti, stamane in chiesa, italiani, slavi, americani, russi tutti uguali dinanzi al cappellano, uomini e donne. Il discorso del prete è stato grandioso come grandioso il “grazioso” sorriso  che da qualche giorno infiora la fetida bocca dei carcerieri. Si scusano di tenerci qui, ma come si fa… il dovere…!

Fifa, miei cari, fifa bella e buona! Poi in cortile, tutti insieme abbiamo cantato l’inno partigiano e gli slavi sono maestri del canto. Bisognava vedere la faccia del maresciallo tedesco che osservava la scena. Nulla ci è mancato, né vino, né sigarette e neppure fiori e che eleganza stamattina. Insomma la miglior dimostrazione di strafottenza più schietta e manifesta. Spero che anche voi avrete passato questo giorno con quella letizia che permettono le circostanze attuali (illeggibile) meglio non pensarci (illeggibile). State in pace e ricordatevi come io ricordo che l’ora del (illeggibile) è sempre più vicina per qualcuno che io conosco. Baci a tutti.”

Pino

l’interno del cortile

ciò che resta del secondo e terzo in cui erano detenuti i prigionieri ebrei in attesa di partire

 

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