La riflessione dell’autrice sul tema dell’identità, prende le mosse da due fondamentali contributi: Contro il fanatismo [Feltrinelli, Milano 2010] di Amos Oz e Intervista sull’identità [Editori Laterza, Roma-Bari 2003] di Zygmunt Bauman.
Obiettivo di Elena Giorza è cercare di fornire un quadro delle principali posizioni attualmente diffuse sull’identità personale e mostrarne i limiti in relazione alla fondamentali sfide storiche, politiche e culturali della contemporaneità.
Le concezioni esaminate sono:
1. la concezione degli individui come isole separate e autonome e in uno stato neutrale rispetto alle persone
2. la prospettiva che fonda l’appartenenza su un’identità comunitaria forte e omogenea
3. la concezione che rifiuta la costruzione di identità personali forti in quanto ostacolo alla tolleranza e anche alla libertà individuale vista come avere tutto e subito.
Seguendo Bauman, l’autrice sostiene la tesi che di fronte agli attuali problemi rappresentati da multiculturalismo, globalizzazione, inclusione digitale, l’identità debole sia una soluzione inefficace e pericolosa, perché produce intolleranza, esclusione, fondamentalismo, conflitto. Assumendo come meta ideale la comunità universale kantiana, inclusiva dell’intero genere umano, la sola soluzione sembra essere quella di una “identità forte”, capace di non “dissolversi” nella società liquida e di non sentirsi minacciata dall’altro.
Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia. Resterà soltanto un enigma di questa Esteriorità. Quale era dunque, ci si domanderà, questa strana delimitazione che è stata alla ribalta dal profondo Medioevo sino al ventesimo secolo e forse oltre?
Perché la cultura occidentale ha respinto dalla parte dei confini proprio ciò in cui avrebbe potuto benissimo riconoscersi,in cui di fatto si è essa stessa riconosciuta in modo obliquo?
Perché ha affermato con chiarezza a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”
Michel Foucault
Tratto da Filosofico.net. Si veda anche la serie di articoli dedicati alla mostra parigina Malinconia: genio e follia in Occidente.
Michel Foucault, con la Storia della follia (opera pubblicata nel 1961 e inizialmente concepita come la sua tesi di dottorato, il cui titolo originale era: Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique), presenta il suo progetto più ambizioso ed acclamato: tracciare una grande genealogia della follia, attraverso la ricostruzione del suo profilo storico e l’attualizzazione di un’immagine che, oltrepassando gli sterili confini di una cronologia elencativa dei singoli eventi, giunge a ricoprire un piano della conoscenza molto più vasto e pregnante di quanto non possa sembrare. La metodologia di ricerca che qui viene utilizzata, infatti, risulta essere decisamente paradigmatica dell’autore, in quanto fungerà da modello ermeneutico per alcuni dei suoi più importanti scritti successivi, tra cui la Nascita della Clinica e Sorvegliare e punire.
1. La comunicazione nella società della partecipazione (participatory culture, 2006 Jenkins)
Distributed cognition The ability to interact meaningfully with tools that expand mental capacities. Collective intelligence The ability to pool knowledge and compare notes with others toward a common goal. Judgment The ability to evaluate the reliability and credibility of different information sources. Networking The ability to search for, synthesize, and disseminate information. Negotiation The ability to travel across diverse communities, discerning and respecting multiple perspectives, and grasping and following alternative norms.
Tutto ciò che postiamo o pubblichiamo in rete non si cancella più. Facciamo quindi attenzione a ciò che scriviamo, riflettiamo prima di condividere qualcosa (think before post).
Evitiamo di postare immagini o video dai contenuti forti, spiacevoli e/o privati e facciamo attenzione ad esternare sentimenti, emozioni e pensieri
La risposta di Jung ad un’amica che gli chiedeva conforto nel lutto per la morte del marito: una meditazione sulla futilità della consolazione e sulla bellezza misteriosa della vita.
Mia cara amica,
lei si chiede, e mi chiede, come possa la vita continuare dopo un evento così doloroso come solo può esserlo il distacco dall’amato, dalla persona cioè alla quale abbiamo unito il nostro desiderio e con la quale abbiamo affidato tutto noi stessi nelle mani del futuro. E’ questo è un interrogativo al quale, debbo confessarle, non so dare risposte.
In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, La Repubblica pubblica l’intervista ad un ex maschio violento che ha voluto capire e fermare la propria tendenza a (ri)produrre violenza contro le donne della sua famiglia, sua moglie e sua figlia. Lo ha fatto insieme al Centro di Ascolto per uomini Maltrattanti (CAM), per non perdere le persone che dice di amare di più.
Propongo la sua storia ai miei studenti di Scienze umane perché vi trovino l’esperienza di un uomo che ha saputo trovare nella propria umanità le risorse per fermare il mostro che è in noi [per approfondire vedi La psicologia sociale].
In coda all’intervista, il video Dear Daddy: fa’ in modo che nascere femmina non si il più grande pericolo per me. Qui, la puntata di Fahrenheit, Se questo è un uomo del 18 gennaio 2017.
FIRENZE. “Ricordo ancora quella sera: avevo il coltello in mano e gridavo a mia moglie “ora ti ammazzo”. La bambina era lì che ci guardava. Eravamo in cucina, e il terrore nei suoi occhi e in quelli di suo fratello non posso dimenticarlo. Poi la loro paura, quando venivano a dormire da me, dopo la separazione, perché la mia violenza poteva esplodere in ogni momento, ed erano botte, urla, piatti rotti”.
Sono arrivati a centinaia, chi con i loro cani e chi solo per amore degli animali. Hanno risposto all’appello sui social network di Mark Woods, il padrone di Walnut. Diciotto anni insieme, due matrimoni, tre fidanzamenti e un trasloco da Londra alla Cornovaglia.
Un lungo rapporto d’amore che sta per finire. Walnut deve essere soppresso. E Mark vuole per lui un’ultima passeggiata sulla spiaggia di Port Beach in Cornovaglia. Ma non da soli, in compagnia. Per questo, posta su Facebook un appello:
“Mi piacerebbe che tutti gli amanti dei cani, i padroni e i loro amici, si unissero a noi per celebrare l’ultimo giorno di Walnut”.
L’hashtag #walkwithwalnut è stato condiviso migliaia di volte sui social. E sulla spiaggia di Port Beach in Cornovaglia sono arrivati in tanti.
Su segnalazione di Chiara (3F), sono andata a vedere la presentazione della mostra dedicata dalla Casa della memoria di Roma alla reclusione femminile in manicomio sotto il fascismo. La mostra è aperta fino al 18 novembre.
[…] i volti di figlie, madri, mogli, spose, amanti vissute durante il Ventennio sono affiancati, in mostra, a diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile.
Il regime esasperò l’ambito dell’emarginazione e della devianza femminile trasformando i manicomi in luoghi di controllo e repressione dove venivano rinchiuse anche donne non malate, bensì solo riottose ad adeguarsi alle logiche socio-familiari di puro stampo fascista.
L’idea della mostra è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca. Spiegano i curatori Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante:
“Ci è sembrato importante raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio. Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche”.
Il manicomio, in questo senso, è stato un osservatorio privilegiato di analisi dei modelli culturali – di matrice positivista – che hanno storicamente contribuito a costruire la devianza femminile e che durante il Ventennio furono ideologicamente piegati alle esigenze del regime. Il lavoro di ricerca e di valorizzazione condotto su questi materiali ha permesso così di recuperare una parte fondamentale della nostra memoria e di restituirla alla collettività.
Freud con Herbert Graf (nato nel 1903) nel 1905 circa
Il primo esempio di analisi infantile eseguito da Freud attraverso il resoconto del padre del bambino. Lo psichiatra ricostruisce l’origine della nevrosi del piccolo Herbert, figlio del musicologo Max Graf, di cui cambia il nome in Hans per poterne includere il caso nei suoi diari.
La nevrosi di Hans, che si manifesta con l’emergere della fobia del piccolo per i cavalli, si sviluppa, nelle circostanze descritte nei diari, durante la fase edipica dello sviluppo psicosessuale del bambino. Freud ne illustra la complessità, portando il bambino alla guarigione attraverso il metodo catartico, una terapia della parola (talking cure la definirà la paziente del dott. Breuer) che permette l’accesso alla coscienza dei sentimenti e dei desideri istintuali che erano stati rimossi perché ritenuti inaccettabili. S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino, 1989, vol. V, pp. 508-511, 587-589. Tratto da Filosofico.net.
Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, 2, 3, poscritto
Quel pomeriggio padre e figlio erano venuti a consultarmi nel mio studio. Conoscevo già il bricconcello, tutto sicuro di sé ma tanto simpatico che mi faceva sempre piacere vederlo. Non so se si ricordasse di me, ad ogni modo si comportò in modo impeccabile, come un ragionevolissimo membro del consorzio umano. La visita fu breve. Il padre cominciò col dire che, nonostante tutte le spiegazioni, la paura dei cavalli non era diminuita. Dovemmo anche convenire che tra i cavalli, di cui aveva paura, e i moti palesi di tenerezza verso la madre, non c’erano molte relazioni.
L’autoanalisi di un sogno condotta da Freud ne L’interpretazione dei sogni (1900) è la prima applicazione della psicanalisi alla decifrazione del suo significato (il sogno è la soddisfazione allucinatoria di un desiderio) e della sua articolazione in contenuto latente e contenuto manifesto realizzata dal lavoro onirico.
Premessa
Durante l’estate del 1895 avevo curato con la psicoanalisi una giovane signora che era in rapporti di amicizia con me e la mia famiglia. Si può prontamente comprendere come una relazione mista di questo genere possa essere fonte di molti turbamenti per un medico e in particolare per uno psicoterapeuta. Mentre l’interesse personale del medico è grande, la sua autorità è minore; qualsiasi fallimento sarebbe una minaccia per l’antica amicizia con la famiglia del paziente. Questa cura era finita con un successo parziale; la paziente era guarita della sua angoscia isterica, ma non aveva perso tutti i sintomi somatici del processo isterico, così le proposi una soluzione che sembrava non voler accettare. Mentre eravamo così in disaccordo, avevamo interrotto la cura per le vacanze estive. Un giorno venne a trovarmi un collega più giovane, uno dei miei più cari amici, che era stato con la mia paziente, Irma, e la sua famiglia nel luogo dove villeggiavano.
Fido ha una memoria episodica per certi versi simile a quella umana: è in grado di rievocare esperienze vissute in un passato recente, anche se non si aspetta di essere messo alla prova. Tratto da Focus.it.
Attenti a quello che fate: se il vostro cane vi ha visto, se lo ricorderà, almeno per un po’. L’uomo non è il solo a poter vantare una memoria episodica (la capacità di ricordare eventi passati, anche se non particolarmente significativi). Secondo una ricerca pubblicata su Current Biology, anche i cani ne hanno una, per alcuni versi simili alla nostra.
I nostri amici a quattro zampe riescono a rievocare e ripetere un’azione che hanno visto fare all’uomo anche a distanza di un’ora, nonostante non gli sia stato espressamente richiesto di ricordarla. Lo prova un esperimento del MTA-ELTE Comparative Ethology Research Group di Budapest, Ungheria.
IMPRESA ARDUA. Dimostrare l’esistenza di una memoria episodica nel mondo animale è più difficile di quanto si pensi. Non è possibile infatti chiedere direttamente a un cane che cosa si ricordi, e se l’animale viene addestrato, biosogna saper distinguere la sua effettiva capacità di ricordare dalla semplice ripetizione di un’azione in cambio di una ricompensa.
DUE FASI. Per l’esperimento, i ricercatori hanno usato un “trucco” chiamato Do as I do (“fai come faccio io”). Hanno compiuto alcune azioni, come toccare con la mano la punta di un ombrello, e addestrato i cani a ripeterle al comando: Do it! (“fallo!”). Dopo aver addestrato 17 cani a Do as I do, gli scienziati li hanno abituati a guardare una serie di azioni umane e poi sedersi a terra, senza ripeterle e senza ricevere nuovi comandi.
Terminato anche il secondo addestramento, quando ormai i cani non si aspettavano più di dover ripetere l’azione, i ricercatori li hanno sorpresi con il comando: “Do it!”.
IMPRESSA. Gli animali hanno dimostrato di ricordare l’azione che avevano visto sia dopo un minuto, sia dopo un’ora dal suo svolgimento da parte dell’addestratore (anche se la loro memoria è sembrata affievolirsi con il passare del tempo). Il metodo potrebbe essere in futuro utilizzato per testare la memoria episodica di altri animali.
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