Il libro di Giampaolo Pansa La grande bugia, sulle zone d’ombra della Resistenza, di cui La Stampa ha parlato il 3 ottobre (2006, ndr), scatena polemiche. Lunedì sera, a Reggio Emilia, è stato duramente contestato: esponenti dei centri sociali hanno occupato la sala cantando Bella ciao. Hanno fatto seguito una rissa, lo sgombero della sala da parte della polizia e perfino l’evocazione di un famoso collega di Pansa: i dimostranti hanno gridato «Viva i fratelli Cervi! Viva Giorgio Bocca!». Ieri sera, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso al giornalista «la sua profonda deplorazione per gli atti di violenza di cui è stato oggetto». Sull’opera di Pansa interviene criticamente lo storico Angelo d’Orsi.
Angelo d’Orsi, Rovescismo, fase suprema del revisionismo
Chi sospetta che le ambizioni del giornalista Pansa siano di tipo politico, può ritenersi accontentato, sia pure col beneficio del dubbio: il «caso» è diventato un problema di ordine pubblico, dopo gli insulti e le baruffe a Reggio Emilia tra giovani di sinistra che contestavano Pansa e giovani di destra che ne prendevano le parti e intervento finale della polizia.
Sarebbe tuttavia un errore isolare Pansa: ormai si deve parlare di tutta una categoria di «rovistatori» della Resistenza, che grattano il fondo del barile per vedere dove si annidi (eventualmente) il marcio, e anche se non c’è, lo si inventa, lo si amplifica, e lo si sbatte in prima pagina. Che questa operazione sia fatta senza alcun criterio storico, senza le cautele minime di qualsivoglia studioso, poco importa. Se gli autori di libri di tal fatta, vendono, troveranno editori disposti a scommettere su di loro, media pronti a parlarne (e come si fa a non parlarne?), e un pubblico via via più incuriosito.
Una categoria inesauribile
Ma anche i rovistatori della Resistenza rientrano in una categoria più ampia, che sembra inesauribile e dalla quale ci dobbiamo aspettare altre puntate, sempre più clamorose. Noi sappiamo bene che esiste una differenza essenziale tra la revisione, momento irrinunciabile del lavoro del ricercatore storico, e il revisionismo, che possiamo definire come l’ideologia e la pratica della revisione programmatica.
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