[…] l’identità non solo non ha nulla di essenziale, di puro, di definito o perdurante nel tempo, ma emerge per contrasti e contrapposizioni di caratteristiche che conferiscono una peculiarità temporale sia alle persone che ai gruppi di persone che si riconoscono in una certa selezione del senso del sé.
Nella definizione proposta da Dizionario di Antropologia di Ugo Fabietti e Francesco Remotti, leggiamo infatti che:
“Il discorso sull’identità a livello della persona come dei gruppi è strettamente connesso a una riflessione sulle differenze, siano esse culturali, di genere, o etniche. Questo sia che si considerino i contesti di comunicazione e contrapposizione fra il sé e l’altro, sia che si studino le diverse forme di raggruppamento da cui è costituita la realtà sociale: la dimensione dell’identità personale e il discorso sulle identità sociali e culturali sono strettamente correlati, poiché i modelli attraverso cui vengono interpretati i sé e gli altri possono essere considerati come espressioni simboliche della cultura. E’ inoltre implicito in questa tematica il problema della continuità, cioè l’analisi di quegli elementi costitutivi che, nel tempo, conferiscono alla persona o a una collettività le sue caratteristiche peculiari, permettendo di distinguerla dalle realtà che la circondano”.
In questo senso, nei momenti di confronto con identità che si costituiscono attorno ad orizzonti di significati diversi da quelli in cui ci riconosciamo possono emergere delle criticità (i.e. viaggio, trasloco, emigrazione, etc.). Infatti nel ricercare un senso, un’etichetta, una categoria, una classificazione di persone che si aggiungono ad un determinato gruppo sociale, le difficoltà nell’includere nel gruppo originario sembrano appartenere più a coloro che considerano la loro identità come assodata in maniera imperitura piuttosto che a coloro che la vedono come parte di un flusso di significati che circola e si ricostituisce sulla superficie di un mondo sempre più interconnesso.
E prosegue così Alice Bellagamba, autrice della voce identità nel sopracitato dizionario:
“Non è infatti possibile pensare l’identico (ciò che si conserva per un certo periodo simile a se stesso) se non tracciando un confine rispetto all’altro: l’uomo circondato dalla non umanità, la nobiltà del libero sullo sfondo della naturalità dello schiavo, la comunità dei vivi e le sue relazioni con il mondo degli antenati. In ogni società esiste un paradigma di principi di base per l’identificazione e la differenziazione delle persone.
Sul piano teorico l’identità non è un oggetto dotato di autonomia e di realtà, anche se talvolta l’antropologia stessa sollecitata dalle situazioni incontrate, può essere tentata di fornire un supporto realista alle rivendicazioni identitarie, elaborando gli strumenti attraverso cui gruppi o persone si richiamano al singolare e al locale. Essa è piuttosto come ricorda Levi-Strauss un luogo virtuale al quale è necessario far riferimento per spiegare una pluralità di fenomeni e di cui è opportuno osservare i processi di produzione e riproduzione: si tratta infatti di un progetto in cui si ritrovano simultaneamente coinvolti i singoli e le formazioni sociali. All’interno dei quadri culturali che modellano le abitudini e le memorie gli attori sociali operano infatti delle scelte di identificazione, variabili in intensità, natura e livello, attraverso cui vengono posti in gioco i rapporti con la società e le istituzioni nel loro complesso, da un lato e con i gruppi e le comunità locali dall’altro”.
L’identità si configura dunque come un processo in fieri nel quale siamo tutti contemporaneamente coinvolti e che contribuiamo a costruire e ridefinire, produrre e riprodurre in quel flusso inarrestabile di senso e di significati che scandiscono il fluire della nostra vita quotidiana.
Melissa Pignatelli
Fonte: Identità in Dizionario di Antropologia, a cura di Ugo Fabietti e Francesco Remotti. Voce a cura di Alice Bellagamba, Zanichelli, Bologna, 1997.
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