Studiando la modernizzazione si osserva come un cambiamento economico [il lavoro da mezzo – di sopravvivenza – a fine – di arricchimento] abbia innescato la molteplicità di trasformazioni che caratterizza la fisionomia delle società moderne.
Estendendo lo sguardo alle società tradizionali o non moderne, si vede come il tipo di organizzazione del lavoro umano, quale primo elemento di adattamento all’ambiente, decida l’insieme dei rapporti sociali, cioè la forma di società.
Indice
1. Adattamento all’ambiente e lavoro
2. Le società acquisitive
2.1 Le società di caccia e raccolta contemporanee
2.2 Le società acquisitive preistoriche
3. Casi etnografici
3.1 I Kwakiutl
3.2 I Kung San
3.3 I Guayaki
4. La rivoluzione agricola e la stratificazione sociale
4.1 La domesticazione delle piante
4.2 La domesticazione degli animali
4.3 Investimento lavorativo e rendimento nel tempo
4.4 Orticoltura e agricoltura
4.5 Agricoltura e differenziazione sociale
4.6 Pastorizia e società nomadi
Videolezioni
1. Adattamento all’ambiente e lavoro
Nel corso degli ultimi cinquantamila anni, la specie umana (Homo sapiens sapiens) si è adattata agli ambienti e climi più diversi.
Diffondendosi su tutta la Terra, l’umanità ha infatti occupato aree tra loro diversissime, elaborando forme di adattamento altrettanto diverse tra loro. Il che ha voluto dire costruire utensili differenti per sfruttare l’ambiente circostante; inventare metodi efficaci per ripararsi dal freddo o dal caldo; stabilire relazioni con altri popoli vicini, che magari, nel frattempo, avevano sviluppato altre forme di adattamento.
Tutti questi modi di “vivere nel mondo”, adattandosi alle varietà degli ambienti diversi, sono il risultato di un processo lungo quanto la storia di Homo sapiens.
Al centro di questo processo c’è il lavoro umano, cioè la capacità dell’uomo di trasformare la natura per rispondere ai propri bisogni, una sintesi di energia fisica e di capacità di manipolare la materia grezza, di osservazione, di abilità nel costruire e creatività nell’immaginare soluzioni a sempre nuovi problemi.
Queste capacità derivano all’uomo, sul piano evolutivo, dalla notevole complessità del suo cervello, dal linguaggio, che gli consente di dare forma concettuale allo spazio e al tempo (prima, dopo, laggiù, qui ecc.), e anche dal carattere prensile degli arti superiori, che gli consentono la presa di forza e di precisione.
Gli esseri umani sono esseri sociali e quindi vivono in comunità: ciò consente di coordinare gli sforzi di un numero teoricamente incalcolabile di individui, moltiplicando quindi le capacità di cacciare, costruire, coltivare, allevare, estrarre, produrre strumenti per produrre altri strumenti. L’organizzazione del lavoro è alla base delle relazioni umane, e queste relazioni determinano rapporti di forza e di potere, di maggiore o minore ricchezza.
Laboratorio
Pierre Clastres, Recensione a L’anarchia selvaggia. La società senza stato, senza fede, senza re
Pierre Clastres, La questione del potere nelle società primitive
Pierre Clastres, Introduzione a Marshall Sahlins, Stone Age Economics, 1976
Pierre Clastres, Tabù alimentare, obbligo di scambio e legame sociale presso i Guayaki
2. Le società “acquisitive” (cacciatori-raccoglitori e pescatori) contemporanee
Per quasi quattro quinti della sua storia, cioè per circa quarantamila anni, Homo sapiens sapiens (cioè noi) ha basato la propria sopravvivenza sulla raccolta di frutti selvatici, sulla caccia e sulla pesca, attività che praticava con strumenti fatti di pietra, d’osso o di legno (bastoni, coltelli, lance, frecce, ami, reti). Le società di questo periodo, terminato tra i dodicimila e i diecimila anni fa con la comparsa dell’agricoltura, sono state definite società acquisitive. L’espressione “società acquisitive” sta a sottolineare che esse erano fondate sulla acquisizione, appunto, di risorse offerte “spontaneamente” dall’ambiente.
Le società che vivono quasi esclusivamente di caccia, raccolta e, pesca sono oggi meno di due milioni e mezzo di individui; rappresentano, cioè meno dello 0,0004% dei 7 miliardi di abitanti della Terra. I dati raccolti dai demografi — studiosi che si occupano della popolazione umana, delle sue variazioni sul piano quantitativo in relazione all’ambiente, all’alimentazione, alla salute, alle catastrofi ecc. – attestano che l’economia di caccia-raccolta è una forma di produzione del cibo e di adattamento che ha conosciuto una progressiva e rapida riduzione di fronte all’avanzata di altre forme, in primo luogo dell’agricoltura.
Nelle società acquisitive gli esseri umani “prendono” (anche se spesso mediante strumenti da loro fabbricati) ciò che la natura “offre” spontaneamente. In queste società, il lavoro umano si presenta quindi come un’attività a rendimento immediato. Questo modo di procurarsi il cibo ha importanti conseguenze sul modo in cui sono organizzate le società acquisitive.
Le società acquisitive attuali sono di piccolissime dimensioni, sono fortemente ugualitarie e, nel caso dei cacciatori-raccoglitori, molto mobili. Infatti, se il gruppo restasse sempre nello stesso luogo, animali e frutti non avrebbero il tempo di riprodursi e di maturare. La necessità di trovare sempre nuove risorse favorisce a sua volta la formazione di gruppi assai ridotti conosciuti con il nome di “bande”. Dovendo spostarsi a piedi, le bande non accumulano risorse inutili. Ciò spiega l’egualitarismo delle società acquisitive, la cui sopravvivenza è resa possibile dal sentimento di solidarietà e di condivisioni dei beni naturali.
Anche i rapporti tra maschi e femmine sono assai più paritari che presso altre popolazioni. La formazione di nuove coppie è, come in tutte le società, un fatto pubblicamente riconosciuto attraverso atti formali: un dono, una promessa, una formula pronunciata di fronte agli altri membri della banda. Si tratta di legami che possono essere sciolti in qualunque momento, senza che i membri del gruppo possano impedirlo. Inoltre le donne, poiché devono spostarsi continuamente, non sono confinate alla sola sfera domestica. Esse beneficiano, di fatto, degli stessi diritti degli uomini. Anche in queste società esistono individui più autorevoli di altri per saggezza e capacità di affrontare i problemi. Spesso sono le donne a esprimere i pareri migliori, e quando accade sono loro ad essere ascoltate più dei loro mariti o fratelli.
Alcuni individui, sia uomini sia donne, si incaricano di stabilire un contatto con gli “spiriti” della natura. I cacciatori-raccoglitori popolano, infatti, il mondo naturale di forze e di spiriti in genere benevoli, ai quali si rivolgono con preghiere e offerte. Queste ultime consistono per lo più in una parte della preda catturata o dei frutti raccolti, che sono lasciati sul posto.
Un simile comportamento coincide con un atteggiamento di rispetto nei confronti della natura da cui questi cacciatori-raccoglitori sanno di dipendere per la loro sopravvivenza. Se uccidessero troppi animali o raccogliessero troppi frutti selvatici (di cui tra l’altro non saprebbero che fare), essi comprometterebbero l’equilibrio di un ambiente che fornisce loro sostentamento e che, per questo, merita di essere rispettato.
Nelle società contemporanee di caccia-raccolta esistono e sono riconosciuti individui più e meno capaci nel gestire rapporti, risolvere problemi, guarire malattie. Le condizioni generali di vita di questi gruppi (esiguità numerica, mobilità, assenza di risorse accumulabili e di una netta divisione del lavoro) fanno in modo che le differenze tra individui non si traducano in disuguaglianze permanenti tra gruppi, cosa che invece si verificherebbe se le differenze fossero trasmesse da una generazione all’altra. In queste società non si hanno, quindi, forme di stratificazione sociale.
2.1 Le società acquisitive preistoriche
Non tutte le società acquisitive che si sono presentate nella storia possedevano le caratteristiche che si riscontrano oggi tra i popoli cacciatori e raccoglitori. Sembra, per esempio, che i cacciatori-raccoglitori dell’Europa preistorica vivessero in aree talmente ricche di selvaggina da rendere quasi superflui gli spostamenti per doverla inseguire. Queste popolazioni vivevano quindi in insediamenti semipermanenti fatti di ripari di legno e di cavità naturali e davano vita a società caratterizzate da differenze di potere e di ricchezza delle quali sappiamo però molto poco.
Gli abitanti dell’Europa preistorica cacciavano inoltre grandi animali (mammut, orsi, cervi) dai quali ricavavano non solo gran parte del cibo, ma anche gran parte del materiale per la fabbricazioni di vesti, utensili, armi e ripari. I cacciatori-raccoglitori-pescatori attuali, invece, catturano per lo più piccole prede che non offrono loro un supporto alimentare paragonabile a quello degli animali cacciati nella preistoria, né prodotti derivati (ossa, tendini, pelli).
3. Casi etnografici
Le principali società acquisitive esistenti: 1. Inuit (Alaska, Canada sett., Groenlandia) 2. Kwakiutl (Columbia britannica) 3. Yanoàma (Amazzonia) 4. Kung San (Botswana, deserto del Kalahari) 5. Vezo (Madagascar) 6. Penan (Borneo).
Le ricerche paleoantropologiche citate e i casi etnografici studiati dagli antropologi mostrano importanti differenze nell’organizzazione sociale ed economica delle società acquisitive. Le esaminiamo attraverso i casi dei Kwakiutl, dei Kung San (boscimani), e dei Guayaki.
3.1 I Kwakiutl
I Kwakiutl sono un popolo indio di pescatori e cacciatori seminomadi che viveva originariamente nell’isola di Vancouver e lungo le coste della Columbia Britannica (oggi i nativi superstiti sono frammentati in un’area più vasta) nel Canada occidentale affacciate sull’Oceano Pacifico. La loro organizzazione sociale, l’arte (statue, maschere, pali totemici) e, particolarmente, la pratica del dono agonistico (potlach) furono oggetto di importanti studi dell’antropologia primo-novecentesca (v. Boas).
I Kwakiutl davano vita a una società composta di nobili, uomini liberi e schiavi, fondata su una marcata divisione del lavoro e nella quale le famiglie dominanti erano in concorrenza permanente per il prestigio.
Per ottenere una posizione di supremazia, esse organizzavano grandi feste in cui consumavano ingenti risorse alimentari e sfidavano le famiglie rivali e delle tribù vicine offrendo loro doni sontuosi (dono agonistico) in una pratica nota come potlatch. Le famiglie che erano in grado di consumare, donare o sacrificare più risorse, distribuendole alla comunità, acquistavano onore e potere mentre le sconfitte vedevano diminuire il proprio prestigio.
Basandosi sulle osservazioni di Boas sul potlach e su quelle di Malinowski sul kula dei trobriandesi, Marcel Mauss ha sostenuto che lo scambio dei beni, nella forma del dare, ricevere, ricambiare, anche quando di basso valore, è uno dei modi più comuni e universali per creare legame sociale. Di più, il dono è un fatto sociale totale, cioè un aspetto specifico di una cultura che, essendo in relazione con tutti gli altri, riesce a spiegarla.
Trattandosi di una pratica in conflitto con i valori calvinisti del lavoro e con la logica dell’accumulazione della società di mercato, missionari e agenti governativi chiesero alle autorità canadesi e statunitensi di proibire il potlach che ha continuato ad essere praticato illegalmente dai nativi.
3.2 I Kung San
Il giorno che moriremo
una lieve brezza cancellerà
le nostre impronte sulla sabbia.
Quando calerà il vento
chi dirà nell’eternità
che una volta camminammo qui
all’alba del tempo? [poesia Kung]
La ricerca dell’antropologo americano Richard Lee sui Kung San, chiamati alla fine dell’ottocento boscimani (da bushmen, uomini della foresta), un popolo di cacciatori-raccoglitori del deserto del Kalahari (Botswana), è particolarmente importante per essere durata circa cinquant’anni – dagli anni ’50 al 2000 – e aver quindi registrato i cambiamenti intervenuti in mezzo secolo a causa del contatto con gli occidentali.
All’inizio della ricerca, i Kung erano circa 450.000 e vivevano dispersi in accampamenti di circa trenta individui raccolti intorno a una fonte d’acqua (una buca d’acqua) e dediti alla caccia e alla raccolta. Nonostante avessero avuto contatti con gli europei dalla fine dell’800, non coltivavano e non allevavano animali, a parte qualche cane, e non possedevano armi da fuoco per cacciare. Erano totalmente dipendenti da questa forma di economia, tranne che per il latte che si procuravano dagli Herero, i loro vicini allevatori.
La vita del villaggio iniziava al mattino, quando gli individui partivano per la caccia e l’attività di raccolta, e finiva al tramonto, ma solo una parte del loro tempo era dedicato alla ricerca del cibo: gran parte della giornata era infatti dedicata alle “relazioni sociali”, cioè a momenti passati con i parenti stretti (un terzo della giornata), a visitare altri accampamenti (un terzo) e a ricevere visite da questi (un terzo).
Le condizioni di vita di questi cacciatori-raccoglitori non erano particolarmente dure e la loro salute e aspettativa di vita era migliore di quella dei vicini agricoltori. Lee accertò che un decimo dei membri della società aveva più di sessant’anni, dato che, negli anni ’60 si avvicinava a quello di alcune società industriali. Invalidi e malati erano mantenuti dalle attività del gruppo e gli individui diventavano “produttori” relativamente tardi, cioè non prima dei quindici-vent’anni per le donne e di venti-venticinque gli uomini: l’età in cui si sposavano. Così, secondo le stime di Lee, poco più della metà dei membri del gruppo manteneva l’intera società (statistiche ancora una volta simili a quelle delle società post-industriali europee in cui il numero dei pensionati o inattivi eccede quello degli individui attivi).
I rapporti tra i sessi erano notevolmente paritari: le donne lavoravano con maggiore regolarità, gli uomini in modo meno costante, ma con maggiore intensità ed entrambi i sessi avevano abbondanza di tempo libero. Generalmente l’accampamento è fatto di capanne circolari di paglia e di fango che essi costruiscono velocemente, dopo aver ripulito dalla sterpaglia uno spiazzo. Il prodotto del raccolto e della caccia era consumato in comune.
L’80% della loro alimentazione era costituita da frutti, radici, piante, insetti, uova di uccelli, favi di miele; mangiavano ogni tipo di animale compresi bruchi, larve, topi. Specializzate nella ricerca delle erbe erano le donne che uscivano dall’accampamento per due o tre ore al giorno a raccogliere oltre 100 specie di piante, di cui conoscevano il valore nutritivo, le proprietà medicinali e la possibile utilizzazione come veleno e come cosmetico. Avevano inoltre conoscenze approfondite dei fenomeni fisici e biologici, di medicina, di botanica ed etologia. Dalle tracce lasciate sul terreno dagli animali, riuscivano a determinare il sesso, l’età, la velocità di spostamento e altre informazioni cruciali.
Delle prede abbattute non sprecavano nulla: la vescica era usata come contenitore, l’intestino come corda, le ossa trovavano diversi impieghi. I cacciatori non ammazzavano più del necessario, nemmeno se si trovavano di fronte a un intero branco di animali, così come le donne non raccoglievano se non ciò che serviva alla comunità – si è stimato che lasciassero sulla pianta circa il 30% dei frutti. I Kung insomma vivevano nell’ambiente, non lo dominavano.
Alle condizioni di adattamento difficili, soprattutto per la carenza d”acqua, i Kung rispondevano con la solidarietà di gruppo: dividevano il cibo con chi non aveva famiglia o non poteva uscire a cacciare, perché senza essere «buoni fratelli» sarebbe impossibile vivere nel deserto del Kalahari.
I Kung erano cacciatori abilissimi, ma uccidevano soltanto per nutrirsi e per autodifesa. Erano convinti che tutti gli esseri viventi abbiano lo stesso diritto di vivere ed evitavano di uccidere anche gli animali pericolosi che preferivano evitare. Non uccidevano gli scorpioni, ad esempio, perché sapevano che sarebbero tornati a nidificare nello stesso posto e dopo sarebbero stati più aggressivi, li sopprimevano solo se attaccavano. Se un cacciatore incontrava uno scorpione, quindi, lo evitava, ammazzarlo sarebbe stato insensato visto che era quasi impossibile che l’animale e l’uomo sarebbero tornati ad incontrarsi nella vastità del deserto.
Lo stile di vita dei Kung conobbe intensi cambiamenti con l’arrivo degli occidentali e lo sfruttamento minerario delle loro terre: negli anni ’90 i Kung si erano trasformati in un popolo di pastori, salariati, agricoltori e artigiani, anche se molti individui avevano conservato le loro attività tradizionali. Il loro sistema non aveva però resistito: nel 2000 la caccia e la raccolta fornivano solo il 25-30% del fabbisogno alimentare e il resto del fabbisogno era assicurato dai programmi di assistenza internazionale. I Kung avevano quindi perso la loro indipendenza ed erano diventati “poveri”.
3.3 I Guayaki
I Guayaki sono un popolo di cacciatori nomadi dell’America meridionale (Paraguay) presso cui ha soggiornato a lungo l’antropologo francese Pierre Clastres che ha dedicato a questa società india importanti pubblicazioni [la Chronique des indiens guayaki. Ce que savent les Aché, chasseurs nomades du Paraguay, 1972 e La société contre l’État, 1974].
La società guayaki ignora lo stato e le gerarchie sociali, è fortemente egualitaria e il potere politico non è separato dal corpo sociale, come mostra il fatto che i Big Man, i capi tribù, hanno un immenso prestigio, ma nessun potere coercitivo sugli individui del proprio popolo. Questo aspetto colpì particolarmente i conquistatori spagnoli del XVI secolo che proprio osservando come non ci fosse nessuno a comandare e nessuno ad obbedire, giudicarono gli indios un popolo incivile «senza fede, senza legge, senza re».
3.3.1 I Big Man
Il capo guayaki non ha il potere di obbligare nessuno ed ha essenzialmente un ruolo di portavoce e di rappresentante della volontà collettiva che riassume in sé nei rapporti con gli altri popoli, amici o nemici. Egli non decide, ma interpreta la volontà generale che rappresenta. Poiché gode di grande considerazione, nel caso di liti o conflitti è consultato ma, non potendo imporre soluzioni o indicare qual è la legge, egli in genere «fa appello alla tradizione di concordia ereditata dagli antenati».
Clastres ha insistito sulla consapevole scelta dei Guayaki di conservare una società libera che ignora il comando (politico) e il potere sacerdotale, che dedica al lavoro una parte minima del proprio tempo e che ha sviluppato, nondimeno, un’economia prospera nella quale ognuno ha più di quanto necessiti e la povertà vi è ignota. La società “primitive” sono, secondo l’antropologo, società «indivise», che rifiutano la differenziazione, quindi lo stato, quale garante di tutte le distinzioni di status e ricchezza. La società guayaki frappone continui ostacoli all’incontro tra la chefferie (potentato) e il potere politico, cioè alla creazione di un organo di potere separato dalla società, la società
«vigila per impedire che il gusto del prestigio si trasformi in esercizio del potere» [si veda la prefazione di Clastres a Marshall Sahlins, Stone Age Economics].
3.3.2 Dono e legame sociale
In La socièté contre l’état, Clastres ha illustrato i meccanismi attraverso cui si produce il legame sociale presso i Guayaki, mostrando il legame tra il divieto posto ai cacciatori di mangiare le proprie prede e l’obbligo universale di dono:
Per il cacciatore Aché c’è un tabù alimentare che gli impedisce formalmente di consumare la carne delle proprie prede: baï jyvombré ja uéméré : « è vietato mangiare gli animali che noi stessi abbiamo cacciato», così che quando un uomo arriva al villaggio, egli condivida il risultato della caccia con la sua famiglia (moglie e figli) e gli altri membri del gruppo di caccia; naturalmente, egli non assaggerà la carne preparata da sua moglie. Ora, come si è visto, la selvaggina occupa il posto più importante nell’alimentazione dei Guayaki. Ne risulta che ogni uomo passa la propria vita a cacciare per gli altri e a ricevere da questi il proprio cibo. Questa proibizione è strettamente rispettata, persino dai ragazzi non iniziati quando uccidono degli uccelli.
Una delle conseguenze più importanti è che impedisce di fatto [1] la dispersione degli indios in famiglie nucleari: l’uomo morirebbe di fame, a meno di rinunciare al tabù. Bisogna dunque spostarsi in gruppo. I Guayaki, per renderne conto, affermano che mangiare gli animali uccisi con le proprie mani è il modo più sicuro di attirarsi il maleficio. Questo superiore timore dei cacciatori basta a imporre il rispetto che essa fonda: se si vuole continuare a uccidere degli animali, non bisogna mangiarli. La teoria indigena fa leva semplicemente sull’idea che la congiunzione tra il cacciatore e gli animali morti, sul piano del consumo, implichi una disgiunzione tra il cacciatore e gli animali vivi, sul piano della produzione.
In realtà, questa proibizione alimentare possiede anche un valore positivo, in quanto opera come un principio strutturante che fonda la società guayaki come tale. Stabilendo una relazione negativa tra ogni cacciatore e il prodotto della propria caccia, essa mette tutti gli uomini nella stessa posizione l’uno in rapporto agli altri, e la reciprocità del dono di cibo si rivela così non soltanto possibile, ma necessaria: ogni cacciatore è allo stesso tempo donatore e ricevente di carne. Il tabù sulla selvaggina appare così come l’atto fondativo della scambio di cibo presso i Guayaki, vale a dire come il fondamento stesso della loro società. […] Esso costringe l’individuo a separarsi dalla propria selvaggina, lo obbliga a contare sugli altri, permettendo così al legame sociale di stringersi in maniera definitiva, l’indipendenza dei cacciatori garantisce la solidità e la permanenza di questo legame, e la società guadagna in forza ciò che l’individuo perde in autonomia.
4. La rivoluzione agricola e la nascita della stratificazione sociale
È solo nell’ultima parte della sua storia, dieci-dodicimila anni fa, che Homo sapiens ha compiuto la cosiddetta rivoluzione agricola, abbandonando largamente le forme di adattamento e l’economia (per lo più nomade) di caccia e raccolta sviluppata in decine o centinaia di migliaia di anni. per passare a economie sedentarie basate sull’agricoltura e sull’allevamento. Tale cambiamento decisivo si produsse nelle valli dei monti Zagros, tra l’Iran, l’Iraq e la Turchia, poi nella cosiddetta mezzaluna fertile, un’area bagnata dai grandi fiumi Tigri, Eufrate e Nilo, e in Asia nei territori limitrofi ai fiumi Indo, Gange e ai fiumi Giallo e Azzurro.
La rivoluzione agricola comportò la comparsa della divisione del lavoro e la formazione dei primi insediamenti urbani, l’invenzione della scrittura e dei sistemi di calcolo, la nascita di religioni amministrate dai sacerdoti e, infine, dei primi stati e di società stratificate sul piano politico ed economico, cioè nelle quali si distinguono signori e servi, dominanti e dominari, ricchi e poveri.
4.1 La domesticazione delle piante
Prima di cominciare a coltivare alcune varietà di legumi e cereali (orzo, fagioli, ceci e grano) gli esseri umani dovevano aver avuto la possibilità di osservare le caratteristiche di certe piante selvatiche. I cacciatori preistorici, come si è visto, abitavano per lunghi periodi negli stessi luoghi, non avendo bisogno di inseguire la selvaggina; inoltre, avevano probabilmente imparato a conservare la carne, essiccandola o affumicandola, rendendosi meno dipendenti dal bisogno di cacciare. In questo contesto, per caso o per intuizione, gli antichi cacciatori e raccoglitori cominciarono a ibridare alcuni esemplari delle piante commestibili per ottenere grani più grossi o numerosi, dai quali ricavavano una farina per fabbricare cibi simili a focacce.
4.2 La domesticazione degli animali
Ciò comportò la sosta nei luoghi dove queste piante venivano coltivate. Questi cacciatori-raccoglitori cominciarono inoltre anche a tenere presso di sé alcuni animali docili, capre e pecore, da cui ricavano il latte, e cani di cui sfruttavano l’aggressività per la difesa. Forse la domesticazione degli animali fu compiuta dalle donne che, rimanendo negli accampamenti più a lungo dei cacciatori, potevano prendersi cura di questi animali, conoscerli ed escogitare metodi per trarne vantaggio. Sembra comunque che il cane sia stato il primo animale “domestico”. Secondo alcun studiosi il rapporto tra l’uomo e il cane nacque dal fatto che i progenitori di questi animali seguivano le bande di cacciatori nutrendosi degli avanzi dei loro pasti.
Gli esseri umani cominciarono a trattare gli animali come le piante che avevano domesticato: facendo accoppiare gli esemplari con le caratteristiche migliori per ottenere più latte, più lana, oppure carne di migliore qualità.
4.3 Investimento lavorativo e rendimento nel tempo
Orticoltura e agricoltura rappresentano un “salto” nel processo dell’adattamento umano e si distinguono nettamente dalla caccia-raccolta e dalla pesca perché sono attività che comportano un investimento lavorativo nel processo di produzione. Se le società acquisitive “prendono” dall’ambiente ciò che questo “spontaneamente” offre, nelle società di orticoltori e di agricoltori il lavoro non ha un rendimento immediato bensì differito, cioè “spostato” nel tempo.
Ciò è importante perché, mentre il cacciatore-raccoglitore “prende” e tendenzialmente non accumula (non sempre può farlo), l’orticoltore, e ancora di più l’agricoltore, disbosca, prepara il terreno, pianta o semina e poi aspetta il frutto del suo lavoro. Mentre aspetta, si preoccupa che il futuro raccolto cresca bene: libera il terreno dalle piante infestanti, concima, pota. Intanto consuma una parte del prodotto raccolto durante la stagione precedente, e tiene una parte di quel raccolto per la semina successiva. Mentre il cacciatore si sposta continuamente, il coltivatore deve aspettare lavorando, in un luogo preciso, il frutto del suo lavoro.
4.4 Orticoltura e agricoltura
Gli antropologi tendono a distinguere tra loro anche orticoltura e agricoltura per alcune differenze importanti relative alla tecnica di produzione e alle forme di organizzazione del lavoro.
L’orticoltura è un tipo di coltivazione che consiste nel conficcare, nel terreno, parti [talee] del fusto di una pianta adulta dalle quali si sviluppano, con il tempo, nuove piante. Per praticarla occorre disboscare una certa area e bruciare gli alberi abbattuti, la cui cenere agisce da fertilizzante per il terreno (debbio).
Le piante coltivate in questo modo nelle fasce calde tropicali si riproducono velocemente durante tutto l’anno, per cui il lavoro è ridotto. Popoli che fondano la sussistenza sull’orticoltura sono distribuiti un po’ ovunque lungo la fascia tropicale, ma specialmente nell’Africa subsahariana, in America meridionale e in alcune regioni del Pacifico. Spesso gli orticoltori integrano la propria attività con la caccia, la raccolta e la pesca ma, a differenza dei cacciatori-raccoglitori, tendono a vivere in villaggi semi-permanenti. La collaborazione nel periodo della piantagione e del raccolto fa sì che le famiglie di questi coltivatori rimangano unite per attendere i frutti del loro lavoro. Spesso formano gruppi di alcune centinaia d’individui per periodi abbastanza lunghi, certamente più lunghi di quelli tipici delle bande di cacciatori-raccoglitori.
A confronto dell’orticoltura, l’agricoltura vera e propria comporta operazioni più complesse. Essa si basa, infatti, soprattutto sulla coltivazione di legumi (fagioli, fave, piselli, ceci ecc.), di cereali (grano, farro, orzo, miglio, riso, mais) e di alberi da frutto (ulivo, albicocco, vite ecc.). Tutte queste piante hanno bisogno di un terreno preparato adeguatamente (aratura, semina), di cure continue (sarchiatura, a volte irrigazione) e, dopo la raccolta, di operazioni quali la battitura, la spelatura, la spremitura ecc.
Un fatto importante è che, a differenza che nell’orticoltura, tali operazioni sono legate a precisi ritmi stagionali. Trattandosi di piante con tempi di crescita e di fruttificazione abbastanza lunghi (da un anno, come nel caso del grano, dell’ulivo e della vite in Europa, a quattro mesi, nel caso del riso nelle regioni del Sud-Est asiatico o della Mesopotamia), gli agricoltori devono accumulare risorse per i periodi in cui le colture sono improduttive e per poter poi ricominciare il ciclo produttivo (aratura, semina ecc.).
4.6 Agricoltura e differenziazione sociale
Tutte le grandi civiltà del mondo antico, dai Sumeri agli Assiri, dai Persiani ai Greci, dagli Etruschi ai Romani, dall’India alla Cina, agli imperi maya, azteco e inca si fondarono sull’agricoltura. Fu infatti la comparsa dell’agricoltura a mettere le basi per società fondate sulla divisione del lavoro, sulle disuguaglianze sociali, sulla schiavitù, sulla proprietà della terra (o dell’acqua), sullo Stato e sulle religioni amministrate da specialisti come i sacerdoti.
Ciò avvenne perché con l’agricoltura fu possibile sfamare più individui, cosa che provocò un aumento di popolazione. Ma l’agricoltura richiedeva un coordinamento delle attività, quindi individui specializzati nella fabbricazione di strumenti, nella costruzione di canali, nel calcolo delle stagioni e nel coordinamento delle attività agricole. Con lo sviluppo delle prime forme di scrittura o di calcolo questi individui cominciarono a controllare anche i modi di trasmettere certe informazioni a distanza, a coordinare il lavoro di altri individui lontani e a trarne vantaggio, accumulando risorse per proprio conto e circondandosi di dipendenti.
La storia del mondo antico è stata caratterizzata da questa diversificazione sociale tra categorie d’individui, dalla nascita di squilibri nella ripartizione delle risorse, del sapere e del potere.
4.6 Pastorizia e società nomadi
Agricoltura e allevamento nascono nello stesso momento. La pastorizia, tuttavia, non è l’allevamento, dal quale si distingue perché gli animali non vengono nutriti con foraggi coltivati, ma nell’ambiente naturale in cui vengono appunto condotti al pascolo. Se gli spostamenti degli animali richiedono tempi lunghi, come nel caso della transumanza, le comunità di pastori possono essere nomadi o seminomadi.
Esercitazione
1. Spiega cos’è il lavoro, in termini socio-antropologici, e perché l’organizzazione del lavoro è alla base delle relazioni umane (cioè del modo in cui gli uomini vivono insieme).
2. Spiega cosa sono le società acquisitive e come questa forma di adattamento all’ambiente condizioni il tipo di società che la adotta.
3. Illustra le differenze tra le società dei cacciatori paleolitici e le società odierne di caccia e raccolta, indicandone le cause ipotizzate dai paleoantropologi.
4. Indica come opera la divisione del lavoro tra i Kung San in relazione al genere, illustrandone le conseguenze sul piano dei rapporti uomo-donna.
5. Spiega che cos’è il potlatch e per quale ragione questa pratica è al centro della società Kwakiutl.
6. Illustra l’argomento con cui Clastres mostra che le società arcaiche rifiutano l’economia [nell’introduzione di Clastres all’edizione francese di Stone Age Economics].
7. Illustra le ragioni che Pierre Clastres (e Marshall Sahlins) oppone a chi considera l’economia delle società arcaiche un’economia di sussistenza (cioè di precarietà e sottosviluppo).
8. Spiega in cosa consiste e come ha avuto origine la povertà presso i Kung San.
Commenti recenti