Sigmund Freud, L’avvenire di un’illusione. L’illusione di un avvenire
L’avvenire di un’illusione (1927), è dedicato da Freud al ruolo svolto dalla religione nel mantenimento della convivenza sociale, la civiltà che il padre della psicanalisi vedeva edificata sulla rinuncia alla scarica delle pulsioni sessuali e aggressive.
Le forme di religiosità più arcaiche sono ricondotte da Freud a una trasfigurazione delle forze della natura in termini paterni, legata al bisogno di protezione dal rischio dell’annientamento. Il sentimento religioso ha dunque origine nel vissuto di radicale impotenza sperimentato da ognuno durante l’infanzia, significato che emerge esplicitamente nell’immagine del Dio ebraico.
La componente allucinatoria rinvenuta nelle rappresentazioni religiose, del tutto affine alle altre produzioni dell’inconscio quali i sintomi e i sogni, porta lo scienziato a definire la religione «la nevrosi ossessiva universale dell’umanità», la cui carica affettiva rende solida un’eredità arcaica e infantile che l’umanità stenta a lasciarsi alle spalle.
«L’insieme è così manifestamente infantile, così irrealistico, da rendere doloroso,
a un animo amico dell’umanità, pensare che la grande maggioranza dei mortali
non sarà mai capace di sollevarsi al di sopra di questa concezione della vita».
Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernità
L’introduzione di Bauman a La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 7-25.
Nel 1929 comparve a Vienna Das Unbehagen in der Kultur, un saggio che inizialmente doveva essere intitolato Das Unglück in der Kultur. Il suo autore era Sigmund Freud. In italiano l’opera è nota come Il disagio della civiltà (Torino, Boringhieri, 1978). La stimolante e provocante lettura freudiana delle pratiche della modernità entrò nella coscienza collettiva e finì per strutturare profondamente il modo di valutare le conseguenze (intenzionali e non) dell’avventura moderna. Anche se Freud aveva preferito parlare di Kultur o di «civiltà», sappiamo ora che il libro riguarda la storia della modernità; solo la società moderna era in grado di pensare se stessa come fermento «culturale» o «civilizzatore» e di agire sulla base di questa autocomprensione producendo gli esiti che Freud si proponeva di indagare; per questo motivo, l’espressione «civiltà moderna» è pleonastica.
Giuseppe Panissidi, Se questo è un credente. Albert Einstein a Princeton

Albert Einstein (1879 – 1955)
E’ in corso la digitalizzazione dei Collected Papers of Albert Einstein che permette di riconsiderare il rapporto di Einstein con la religione. In questa prima parte del suo saggio, pubblicato su Micromega I, e II Giuseppe Panissidi illustra la visione dello scienziato e la sua critica radicale all’idea di un Dio personale.
“Professore, sento dire che lei è profondamente religioso”. “Vero. Cerchi e penetri con i limiti della nostra mente i segreti della natura e scoprirà che, dietro tutte le discernibili concatenazioni, rimane sempre qualcosa di sottile, di intangibile e inesplicabile. La venerazione per questa forza, al di là di ogni altra cosa che noi possiamo comprendere, è la mia religione. A questo titolo io sono religioso”.
Il sito web della Princeton University ha cominciato a pubblicare la corrispondenza e innumerevoli altri scritti di Albert Einstein, migliaia di testi e documenti originali. Dalle lettere ai giornali, al diario personale, fino ai messaggi disseminati dallo scienziato in luoghi improbabili, come, solo per fare un esempio, dentro le scatole da scarpe.
Una parte considerevole degli ‘storici’ “Collected Papers of Albert Einstein” è già stata trasferita nel nuovo archivio, risultato finale di un lungo processo di digitalizzazione di una quantità sterminata di documenti, mentre in precedenza si era fermi a circa 900. Il nuovo archivio digitale è da pochi giorni disponibile per la consultazione online, nell’originale tedesco e in parziale traduzione inglese. Il mese prossimo, si prevede la pubblicazione di un altro migliaio di documenti, ma, complessivamente, i documenti originali su cui si lavora alacremente sono circa 80mila.
Michel Foucault, La verità e le forme giuridiche
I seminari tenuti all’Università cattolica di Rio de Janeiro tra il 21 e il 25 maggio 1973 sono tra i testi più importanti e illuminanti di Foucault.
Partendo dall’analisi di alcuni testi nietzscheani, Foucault vi illustra la genealogia del soggetto e dei saperi, mostrando come l’uno e gli altri si costituiscano attraverso giochi di verità e pratiche agonistiche di sapere e potere. Nella seconda parte, dedicata a una celebre lettura dell’Edipo sofocleo – colui che sa e che può troppo -, Foucault mostra la nascita della separazione tra sapere e potere, cioè della critica e della filosofia occidentale quali «diritto di opporre una verità senza potere a un potere senza verità».
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
K. Marx, Seconda tesi su Feuerbach [l’incipit è un mio commento al testo foucaultiano, non una sua citazione di Marx]
Presenterò oggi una riflessione metodologica per introdurre il problema che, sotto il titolo “La verità e le forme giuridiche”, può esservi sembrato un po’ enigmatico. Tenterò di presentarvi il punto di convergenza di tre o quattro serie di ricerche esistenti, già esplorate, già inventariate, per confrontarle e riunirle in una sorta di ricerca non dico originale ma almeno innovativa.
Carlo Augusto Viano, Storia della critica della religione
Nell’introduzione ad Oca pro nobis – opera di «critica, satira e sberleffo» di Carlo Cornaglia, Filippo d’Ambrogi, Walter Peruzzi e Maria Turchetto, appena uscita per Odradek – Carlo Augusto Viano traccia una breve storia della critica della religione, dell’ateismo e dell’anticlericalismo. La tesi di Viano è che la cultura contemporanea ha perso, in relazione ai credo, quegli anticorpi critici ben presenti invece dalla tradizione greca alla modernità.
Mentre condivido lo sconforto che pervade la sua ricognizione del reincantamento contemporaneo, mi convince meno l’idea che la filosofia contemporanea abbia dato un contributo di minore incisività rispetto alle letture di Pomponazzi e Machiavelli. Basti pensare, per citare i soli giganti, a Feuerbach, per il quale la religione è essenzialmente proiezione mentale – un disturbo psichico di gravità variabile – a Marx, che fin da ragazzo si riprometteva di detronizzare tutti gli dèi, celesti e terrestri – si può vedere cosa scrive, ad esempio, nell’Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico – a Schopenhauer, che proprio dedicandolo alla memoria di Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini, scrisse O si pensa o si crede, fino ad arrivare a Nietzsche, il cui Zarathustra rappresenta appunto l’invocazione ai contemporanei perché «restino fedeli alla terra» e dissetino qui il proprio desiderio di giustizia.
Nella cultura contemporanea manca una critica significativa della religione in generale e delle singole religioni. Si tratta di un aspetto importante della nostra storia intellettuale, presente nella cultura antica, a opera di letterati e filosofi, perfino dei filosofi che poi pretendevano di formulare una loro religione o proponevano pratiche religiose elaborate autonomamente. Il pluralismo religioso del mondo greco-romano favoriva un confronto tra le religioni, in cui era possibile criticare, anche aspramente, credenze e pratiche di questa o quella religione.
Michele Martelli, Relativismo, religione, laicità
L’Appendice a Il laico impertinente. Laicità e democrazia nella crisi italiana [Roma, Manifestolibri, 2013] pubblicata dal Rasoio di Occam.
Il relativismo e l’antropomorfismo religioso
Qual è l’origine delle religioni? La risposta classica del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, che rovescia la nota formula biblica, riallacciandosi alla riflessione del filosofo greco antico Senofane sulla genesi delle religioni, può essere così riassunta: «E l’uomo creò Dio». Non dunque Dio creò l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, ma l’uomo Dio. La teologia si fa antropologia.
Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo
In questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».
1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.
L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:
La professione di fede del Vicario savoiardo
Questo passo dell’Émile (1762) costò a Rousseau invettive dal pulpito e aggressioni fisiche. Il filosofo lo aveva scritto probabilmente alcuni anni prima, in occasione della sua ri-conversione al calvinismo (1756). [J.-J. Rousseau, Emilio, Bari-Roma, Laterza, 2003, pp. 193-205].
La prima parte della professione è dedicata alla presentazione dei principi su cui si regge la religione naturale, con la quale Rousseau si oppone al radicalismo scettico di molti philosophes. La seconda parte contiene la critica alle religioni rivelate (o positive), considerate come causa di conflitti tra gli uomini.
La professione di fede nella religione naturale:
Il primo frutto che trassi da queste riflessioni fu d’imparare a limitare le mie ricerche a ciò che m’interessava immediatamente, ad accettare con serenità una profonda ignoranza su tutto il resto e a non lasciarmi tormentare dal dubbio, se non per ciò che realmente m’importava sapere.read more »
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