Posts tagged ‘servilismo degli intellettuali’

2 Luglio, 2014

Denis Diderot, Il libero servo Rameau. Rousseau, Il bisogno innalzò i troni, le scienze e le arti li hanno rafforzati

by gabriella

Il nipote di Rameau di Denis Diderot, capolavoro satirico della seconda metà del Settecento è la parabola grottesca di un musico fallito, cortigiano convinto, amorale per vocazione avvolto in un lucido cupio dissolvi. Nella sua imbarazzante assenza di prospettive edificanti, nella riduzione della vita a pura funzione fisiologica riesce in maniera paradossale a ribaltare la visione del bene e del male, del genio e della mediocrità, della natura umana e delle possibilità di redimerla. Rameau si è offerto attraverso i secoli come un nitido archetipo di libero servo, innocua foglia di fico per padroni a tolleranza variabile. Scorgiamo dietro la sua perversità le paure del filosofo del perdere se stesso e i propri riferimenti etici nell’affrontare un primo embrione di libero mercato delle idee che intuiva stesse nascendo in quel turbolento e fervido scorcio di secolo. Rameau manca dai nostri teatri dagli inizi degli anni Novanta, un ventennio di profonde mutazioni nel corpo della nostra società civile, le sue contorsioni intellettuali quindi assumono nuovo e violento impatto e nuovi motivi di aspro divertimento (Terni, Teatro Secci – 1 e 2 novembre 2011).

Con piece come Il nipote di Rameau, che Diderot scrive tra il 1762 e il 1763, il ‘700 pensa il proprio tempo funzionalisticamente (con un secolo d’anticipo su Marx e un paio su Talcott Parsons), inquadrando lucidamente la funzione di legittimazione del potere da parte degli intellettuali. Era stato Rousseau, una decina d’anni prima, ad aprire il dibattito. Nel primo dei suoi Discours (il Discorso sulle scienze e sulle arti), in aperta rottura con il suo tempo che pensava se stesso in termini di éclairement (lumi, rischiaramento) e di superamento di ignoranza e superstizioni, il ginevrino aveva sostenuto infatti che

«l’epoca presente è il regno della falsità»,

le lettere e le arti non sono mezzi di illuminazione ma di occultamento dell’ingiustizia, perchè 

«stendono ghirlande di fiori sulle catene»

di cui gli uomini sono carichi,

«soffocano in loro il sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravano nati, fan loro amare la schiavitù e ne formano i cosiddetti “popoli civili”».

Il filosofo può così concludere che «

«il bisogno innalzò i troni: le scienze e le arti li hanno rafforzati».

Bisogna aspettare Foucault (1926-1984) perchè si chiariscano le modalità di quel dressage (disciplinamento, creazione di “corpi docili”) a cui Rousseau si riferiva in termini di “civilizzazione” dello spirito autentico de l’homme naturel.

L’opera omnia di Diderot è accessibile dal sito di Gallica, in lingua originale.

8 Aprile, 2013

Gustavo Zagrebelsky, La cultura, patto fondativo della nostra convivenza

by gabriella

ZagrebelskyDa Micromega la riflessione platonico-socratica di Zagrebelsky sull’art. 33. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»: il fondamento di ogni convivenza non può che essere la ricerca non strumentale (dunque autenticamente libera) nei suoi legami con la cittadinanza e la democrazia.

La società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura.

Consideriamo l’espressione: io mi riconosco in… Quando sono numerosi coloro che non si conoscono reciprocamente, ma si riconoscono nella stessa cosa, quale che sia, ecco formata una società. Questo “qualche cosa” di comune è “un terzo” che sta al di sopra di ogni uno e di ogni altro e questo “terzo” è condizione sine qua non d’ogni tipo di società, non necessariamente società politica. Il terzo è ciò che consente una “triangolazione”: tutti e ciascuno si riconoscono in un punto che li sovrasta e, da questo riconoscimento, discende il senso di un’appartenenza e di un’esistenza che va al di là della semplice vita biologica individuale e dei rapporti interindividuali.

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4 Novembre, 2012

Gustavo Zagrebelsky, Tutti gli inganni della cultura nell’era della compiacenza

by gabriella

Repubblica pubblica un brano dell’intervento di Zagrebelsky alla Biennale dei Beni Culturali che si apre oggi a Firenze. La sensazione è che sia stato scritto in grande velocità, ma ha il merito di affrontare il tema centrale del «tradimento dei chierici».

Tutti i bisogni sociali sono ascrivibili a uno degli elementi di quella triade [immagino si riferisca alla partizione medievale di chierico, cavaliere, contadino, NDR.] elementi che, variamente configurati, intrecciati, coordinati o messi in gerarchia connotano il modo d’essere e di reggersi delle nostre società. La dottrina delle tre funzioni, che ha radici antichissime, deve tener conto degli odierni postulati della libertà e dell’uguaglianza.

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