Robespierre

by gabriella
Maximilien Robespierre

Maximilien Robespierre (1758 – 1794) Busto in terracotta modellato nel 1791 dallo scultore giacobino sordomuto Claude-André Deseine

Il 28 luglio 1794 saliva il patibolo Maximilien Robespierre. Cresciuto con il culto della repubblica romana e di Rousseau, arrestato e condotto ferito alla ghigliottina, il suo corpo fu gettato in una fossa comune del Cimetière des Errancis, con sorte opposta a quella del ginevrino le cui spoglie riposano al Panthéon tra i grandi di Francia.

Un estratto di Études sur Robespierre, il profilo che Albert Mathiez tracciò nel 1958, riaprendo il dibattito storico sull’incorrutibile e sul Terrore [Sul processo del re; La Costituzione del 24 giugno 1793].

In coda al testo il film La révolution française, realizzato per il bicentenario della rivoluzione con il patrocinio dei Ministeri della Difesa e della Cultura [sottitolato in inglese].

«La rivoluzione di un popolo di ricca spiritualità,
quale noi abbiamo veduto effettuarsi ai
nostri giorni, può riuscire o fallire;
essa può accumulare miseria e crudeltà tali
che un uomo benpensante, se anche potesse sperare
di intraprenderla con successo una seconda volta,
non si indurrebbe a tentare a tal prezzo l’esperimento;
questa rivoluzione, io dico,
trova però negli spiriti di tutti gli spettatori (che non sono in questo gioco coinvolti) una partecipazione d’aspirazioni
che rasenta l’entusiasmo, anche se la sua manifestazione non
andava disgiunta da pericolo, e che per conseguenza
non può avere altra causa che una
disposizione morale della specie umana».

Immanuel Kant, Il conflitto delle facoltà, 1798

«La solennità del suo portamento; l’autorità della parola sempre umile, anche se severa; il volto nobilmente alterato dall’abitudine alla meditazione e da una lunga pratica di vita; la fronte spaziosa, lo sguardo pensoso, il tratto fiero delle labbra abituate alla prudenza, tutto lo rendeva simile ai saggi dell’antica Grecia. Di loro aveva la virtù, la penetrazione, la bontà.
Persino la sua austerità era di una dolcezza infinita».

Louis Blanc

 

Indice

1. La giovinezza, il culto di Rousseau e la difesa dei diseredati
2. I discorsi d’eguaglianza

2.1 Contro l’eleggibilità per censo: Dal discorso sul marc d’argent, il testo d’imposta stabilito per l’eleggibilità
2.2 Contro i liberisti e gli accaparratori
2.3 La proprietà non è un diritto naturale
2.4 Il testamento politico
2.5 La fine

3. La Révolution Française

 

1. La giovinezza, il culto di Rousseau e la difesa dei diseredati

Nato ad Arras, nel dipartimento del Passo di Calais, il giovane Maxime poté studiare a Parigi, nel prestigioso collegio Louis-Le-Grand, grazie a una borsa di studio. Brillante negli studi, ebbe per compagni Camille Desmoulins, più giovane di lui di due anni, che gli fu amico fino ai tragici giorni della primavera 1794 e Louis-Marie Stanislas Fréron, ministro della repubblica, poi termidoriano e avversario dell’antico compagno di studi.

Secondo la testimonianza del direttore del collegio, nel giugno 1775 venne scelto per pronunciare un elogio in versi al nuovo re Luigi XVI, in visita al collegio, il quale espresse parole di ammirazione per il giovane allievo. Introdotto allo studio della retorica, Maximilien aveva prontamente assimilato l’eloquenza e lo spirito dell’orazione classica, tanto da essere soprannominato «il Romano» per il vigore delle sue orazioni, improntate alla morale stoica e ispirate dalla lettura di Plutarco.

Tornato ad Arras dopo il collegio, si distinse come avvocato ottenendo i migliori successi, senza sentirsi obbligato a patrocinare qualunque causa: si batté contro il pregiudizio che faceva pesare sui figli le indegnità dei genitori e rese l’onore agli uomini che avevano denunciato gli errori giudiziari, gli arresti arbitrari, tutti gli abusi dell’ancien régime. Difese la domestica Clémentine Deteuf che un monaco aveva denunciato perché si sottraeva alle sue molestie e una cameriera di Carnot alla quale si voleva impedire di ereditare.

Quest’orfano infatti porta[va] nel cuore l’amore profondo per gli umili e i diseredati. La città che sogna[va] non era quella chiusa degli Enciclopedisti, la città della borghesia che si sostitui[va] a quella della nobilità, ma era la città aperta di Rousseau […].

Jean-Jacques Rousseau

Jean-Jacques Rousseau (1712 – 1778)

Per lui, che sembra abbia incontrato poco prima che morisse, scrisse di pugno:

Rousseau, io ti vidi nei tuoi ultimi giorni […] ho contemplato il tuo viso augusto […] da quel momento ho compreso pienamente le pene di una nobile vita che si sacrifica al culto della verità e queste non mi hanno spaventato. La coscienza di aver voluto il bene dei propri simili è il premio dell’uomo virtuoso […] come te, io conquisterò quei beni, a prezzo di una vita laboriosa, a prezzo anche di una morte prematura.

Era senza dubbio un philosophe, separatosi con riflessione autonoma dalle religioni positive, non era praticante – con grande scandalo di uno dei suoi maestri che ne ha lasciato testimonianza -, ma da autentico philosophe era tollerante.

Alla Costituente egli incarnò da solo un partito, il partito del popolo, detto all’epoca dei sansculotte. Senza farsi demoralizzare, con coraggio, oppose alle soluzioni borghesi proposte dai vari Barnave e Lameth, soluzioni autenticamente democratiche.

Protestò contro la distinzione tra cittadini attivi e passivi che, mentre divideva i francesi in due classi nemiche, poneva i privilegi del patrimonio al posto di quelli della nascita. Denunciò il censo di eleggibilità, il criterio proporzionale che avrebbe consegnato il potere politico ala rendita fondiaria; contro i sofismi di Barnave difese la causa dei neri e non perse occasione per dimostrare l’infedeltà della borghesia ai principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Ciò che sognava di instaurare è, come dichiarò il 18 Piovoso.

un ordine delle cose in cui le distinzioni non nascano che dalla stessa eguaglianza, in cui il cittadino sia sottomesso al magistrato, il magistrato al popolo e il popolo alla giustizia; in cui la patria assicuri il benessere di ogni individuo e ogni individuo goda con orgoglio della prosperità e della gloria della patria […] in cui le arti siano decorazioni della libertà che le nobilita, il commercio la fonte della ricchezza pubblica e non soltanto dell’opulenza mostruosa di qualche famiglia.

 

2. I discorsi d’eguaglianza

2.1 Dal discorso sul marc d’argent, il testo d’imposta stabilito per l’eleggibilità

“Ma voi dite, il popolo! Gente che non ha nulla da perdere! Come potrebbero esercitare, al pari nostro, tutti i diritti del cittadino? Gente che non ha nulla da perdere! Come è ingiusto e falso agli occhi della verità questo linguaggio dell’orgoglio in delirio!

Questa gente di cui voi parlate, solo in apparenza vive e sopravvive in seno alla società, senza avere i mezzi per vivere e sopravvivere. Perché anche se è vero che è priva di quei mezzi, ha pur sempre qualcosa da perdere o da conservare. Certo, gli abiti grossolani che mi coprono, l’umile stambugio in cui ho diritto di ritirarmi e vivere in pace; il salario modico con cui nutro mia moglie e i miei figli: tutto ciò, lo confesso, non equivale alle terre, i castelli e le carrozze; è nulla rispetto al lusso e l’opulenza, ma per l’umanità è già qualcosa. E’ una proprietà sacra, altrettanto sacra certamente dei grandi possedimenti della ricchezza.

Ma che dico! La libertà, la mia vita, il diritto alla sicurezza, alla giustizia per me e i miei cari, il diritto di combattere l’oppressione, di esercitare liberamente tutte le facoltà dello spirito e del cuore, sono dei beni così preziosi , i prìmi tra quelli attribuiti dalla natura all’uomo, e che a differenza dei vostri non sono affidati alla protezione delle leggi!

E voi dite che non ho interessi in queste leggi; volete privarmi del ruolo che al pari vostro devo avere nell’ammistrazione della cosa pubblica, e questo per la sola ragione che siete più ricchi di me!”

 

2.2 Contro i liberisti e gli accaparratori

Contro i liberisti, discepoli di Turgot che vantavano i benefici della concorrenza ancora davanti alla miseria della nazione, Robespierre accusò la piena libertà commerciale di favorire i monopoli e gli accaparramenti. Chiese l’inventario dei cereali, misure per rifornire i mercati, punizioni severe contro gli speculatori.

Gli autori di quella teoria hanno considerato i beni di prima necessità come una normale merce non hanno visto alcuna differenza tra il commercio del grano e quello dell’indaco; hanno discettato molto più sul commercio del grano che sul sostentamento del popolo … Hanno attribuito molta importanza ai profitti dei commercianti e dei proprietari, e quasi nulla alla vita degli uomini. E questo perché? Perché erano i potenti, i ministri, i ricchi che scrivevano e governavano; se fosse stato il popolo, probabilmente questo sistema avrebbe subito delle modifiche”.

Nessun uomo può avere il diritto di accumulare montagne di grano, accanto al suo simile che muore di fame. Il primo dei diritti è quello di esistere. La prima delle leggi sociali quindi deve garantire a tutti i membri della società i mezzi per sopravvivere: tutte le altre leggi le devono essere subordinate. E’ innanzitutto per vivere che si hanno delle proprietà. E non è più vero che la proprietà, in contrapposizione alla sopravvivenza degli uomini, possa mai essere sacra quanto la vita stessa; tutto ciò che è necessario per conservare tale vita è una proprietà comune dell’intera società; solo l’eccedente può essere una proprietà individuale e lasciato all’iniziativa dei commercianti.

[…] Voi, legislatori, ricordatevi che non siete i rappresentanti di una casta privilegiata, ma del popolo francese. Non dimenticate che la fonte dell’ordine è la giustizia: che la garanzia più sicura della pace pubblica è la felicità dei cittadini e che le lunghe convulsioni che disgregano gli stati sono prodotte dalla lotta del pregiudizio contro i princìpi, dell’egoismo contro l’interesse generale, dell’orgoglio e delle passioni dei potenti contro i diritti e i bisogni dei deboli.

 

2.3 La proprietà non è un diritto naturale

Dal Discorso alla convenzione del 24 aprile 1793 [traduzione mia].

«Domandate a questi mercanti di carne umana che cos’è la proprietà, vi dirà, mostrandovi quella lunga bara che chiamiamo nave dove ha incassato e pigiato degli uomini che sembrano vivi: “ecco le mie proprietà, le ho acquistate un tanto a testa”. Interrogate quel gentiluomo che ha terre e vassalli, o che ritiene l’universo capovolto da quando non le ha più: vi darà della proprietà un’idea simile.

Interrogate gli augusti membri della dinastia capetingia: vi diranno che il più sacro di tutte le proprietà è, senza tema di smentita, il diritto ereditario, di cui hanno goduto da che tempo è tempo, di opprimere, d’avvilire e d’assoggettare legalmente e monarchicamente a loro piacimento i 25 milioni di uomini che abitano la Francia.

Agli occhi di tutta questa gente, la proprietà non si fonda su alcun principio morale. Perché la nostra Dichiarazione dei diritti sembrerebbe presentare lo stesso errore definendo la libertà “il primo dei beni dell’uomo e il più sacro dei diritti naturali”? Noi abbiamo sostenuto con ragione che essa aveva per limite i diritti altrui; perché non avete applicato questo principio alla proprietà, che è un’istituzione sociale, come se le leggi eterne della natura fossero meno inviolabili delle convenzioni degli uomini? Avete moltiplicato gli articoli per assicurare la più grande libertà all’esercizio della proprietà e non avete detto una parola per determinarne la natura e la legittimità, così che la vostra dichiarazione sembra fatta non per gli uomini, ma per i ricchi, gli accaparratori e i tiranni.Io vi propongo di riformare questi vizi consacrando le verità seguenti:

1. La proprietà è il diritto di ogni cittadino di godere e disporre della parte di beni che gli è garantita dalla legge.
2. Il diritto di proprietà è limitato, come tutti gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti altrui.
3. Non può pregiudicare né la sicurezza, né la libertà, né l’esistenza, né la proprietà dei nostri simili.
4. Ogni possesso, ogni commercio che viola questo principio è illecito e immorale.

« … Demandez, dit-il, à ce marchand de chair humaine, ce que c’est que la propriété ; il vous dira, en vous montrant cette longue bière qu’on appelle un navire, où il a encaissé et serre des hommes qui paraissent vivants : « Voilà mes propriétés, je les ai achetées tant par tête ». Interrogez ce gentilhomme qui a des terres et des vassaux, ou qui croit l’univers bouleversé depuis qu’il n’en a plus : il vous donnera de la propriété des idées à peu près semblables.

« Interrogez les augustes membres de la dynastie capétienne : ils vous diront que la plus sacrée de toutes les propriétés est, sans contredit, le droit héréditaire, dont ils ont joui de toute antiquité, d’opprimer, d’avilir et de s’assurer légalement et monarchiquement les 25 millions d’hommes qui habitaient le territoire de la France sous leur bon plaisir.

« Aux yeux de tous ces gens-là, la propriété ne porte sur aucun principe de morale. Pourquoi notre déclaration des droits semblerait-elle présenter la même erreur en définissant la liberté « le premier des biens de l’homme, le plus « sacré des droits qu’il tient de la nature ? » Nous avons dit avec raison qu’elle avait pour bornes les droits d’autrui ; pourquoi n’avez-vous pas appliqué ce principe à la propriété, qui est une institution sociale, comme si les lois éternelles de la nature étaient moins inviolables que les conventions des hommes ? Vous avez multiplié les articles pour assurer la plus grande liberté à l’exercice de la propriété, et vous n’avez pas dit un seul mot pour en déterminer la nature et la légitimité, de manière que votre déclaration paraît faite non pour les hommes, mais pour les riches, pour les accapareurs, pour les agioteurs et pour les tyrans.Vous avez multiplié les articles pour assurer la plus grande liberté à l’exercice de la propriété, et vous n’avez pas dit un seul mot pour en déterminer la nature et la légitimité, de manière que votre déclaration paraît faite non pour les hommes, mais pour les riches, pour les accapareurs, pour les agioteurs et pour les tyrans.

Je vous propose de réformer ces vices en consacrant les vérités suivantes :

« I. La propriété est le droit qu’a chaque citoyen de jouir et de disposer de la portion de biens qui lui est garantie par la loi.
« II. Le droit de propriété est borné, comme tous les autres, par l’obligation de respecter les droits d’autrui.
« III. Il ne peut préjudicier ni à la sûreté, ni à la liberté, ni a l’existence, ni à la propriété de nos semblables.
« IV. Toute possession, tout trafic qui voile ce principe est illicite et immoral ».

 

2.4 Il testamento politico

Quando la Francia si trovò aggredita alle frontiere dall’Europa delle monarchie e lacerata all’interno dalla lotta contro chi voleva scendere a patti col nemico, concentrò le proprie forze in un ultimo tentativo: l’organizzazione del Terrore. Quest’uomo dalla sensibilità così spiccata, ebbe un ruolo decisivo nel mettere in opera il sistema di repressione.

Lo stesso uomo che all’epoca della Costituente, quando la pace regnava ancora, si era levato contro misure d’eccezione premature, che si era opposto alle prime leggi contro il clero e gli aristocratici emigrati, che si era dimostrato a più riprese avversario deciso dell’accentramento dei poteri e che aveva assunto con coraggio la difesa di tutte le libertà, che aveva proposto invano l’abolizione della pena di morte, fu trascinato poco a poco dalle necessità della duplice guerra a dare la propria adesione alla sola politica capace di salvare in quel momento la repubblica e la Francia.

Nel giugno 1794, messo in minoranza nel comitato di salute pubblica, si ritirò per un mese. Riapparve alla tribuna per pronunciare il discorso dell’8 Termidoro, il proprio testamento:

L'arresto di Robespierre

L’arresto di Robespierre

In quali mani sono oggi l’esercito, le finanze e l’amministrazione interna della repubblica? […] Tutti coloro che credono nei principi sono senza influenza alcuna; ma non è sufficiente per loro aver allontanato un sorvegliante scomodo, con grave danno per il bene pubblico, la sua sola esistenza è per loro motivo di paura ed avevano ordito nelle tenebre all’insaputa dei loro colleghi, il progetto di strappargli, con la vita, il diritto di difendere il popolo.

Oh, la vita! L’abbandonerò a loro senza rimpianto! Ho l’esperienza del passato ed intravedo l’avvenire. Quale amico della patria può mai voler sopravvivere nel momento in cui non gli è più permesso di servirla né di difendere l’innocenza oppressa? […]

La controrivoluzione è nell’amministrazione delle finanze. Essa poggia per intero su un sistema di innovazioni controrivoluzionarie, mascherata all’esterno dal patriottismo. Essa ha per scopo di fomentare l’aggiotaggio, di sconvolgere il credito pubblico disonorando la lealtà francese, di favorire i creditori ricchi, di rovinare e ridurre alla disperazione quelli poveri, di moltiplicare i malcontenti, di spogliare il popolo di beni nazionali e di condurci insensibilmente alla rovina della fortuna pubblica.

28 luglio 1794 , Robespierre attende l'esecuzione con ventidue compagni

10 Termidoro, anno II della Repubblica (28 luglio1794), Robespierre attende l’esecuzione con ventidue compagni

[…] La controrivoluzione è in tutti i settori dell’economia pubblica. I cospiratori ci hanno trascinato, nostro malgrado, a misure drastiche, rese necessarie solo dai loro crimini, ed hanno ridotto la Repubblica alla più tremenda carestia, che l’avrebbe affamata senza il concorso degli avvenimenti più inattesi… Il popolo si indignerà: ma si dirà che esso è una fazione; la fazione criminale continuerà ad esasperarlo: cercherà di dividere la Convenzione nazionale dal popolo. Infine, a forza di attentati, si spera di arrivare a torbidi, nei quali i congiurati faranno intervenire l’aristocrazia e tutti i loro complici per uccidere i patrioti e ristabilire la tirannia.

[…] Popolo, ricordati che se, nella Repubblica, la giustizia non regna con dominio assoluto e se quella parola non significa amore dell’uguaglianza e della patria, allora la libertà è solo un nome vano. Popolo, tu che sei temuto, adulato e disprezzato; tu, sovrano riconosciuto che sei trattato sempre come schiavo, ricordati che, ovunque la giustizia non regna, a regnare sono le passioni dei magistrati; e che il popolo ha allora solo cambiato le sue catene, non i suoi destini!

[…] Questi sono i principi […] non già che io debba tacerli: poiché, che cosa si può mai obiettare ad un uomo che ha ragione e sa morire per il suo paese? Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo. Non è ancor giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti, finché la masnada dei furfanti dominerà.

 

2.5 La fine

Il 9 Termidoro, Robespierre fu arrestato con Saint-Just, suo fratello minore Augustin e altri due giovani deputati: gli ultimi rimasti nella Convenzione a sostenerlo. Maximilien si mostra rassegnato «La Repubblica è perduta…i briganti trionfano». Nessuna prigione accettò però di incarcerarlo e nelle ore successive si ritrovò libero con i suoi e fu condotto dalla truppa della Comune di Parigi all’Hôtel de Ville.

La maschera mortuaria eseguita su Robespierre da Marie Tussaud, oggi ad Aix-en-Provence

L’espressione serena della maschera mortuaria eseguita sul volto di Robespierre, ora al Museo di Aix-en-Provence

Alla notizia della liberazione di Robespierre, la Convenzione si riunì nuovamente e dichiarò fuori legge i membri della Comune e i deputati da questi liberati. La Guardia nazionale, sotto il comando di Barras, ebbe grandi difficoltà nel raggiungere l’Hôtel de Ville. Nella mattinata del 28 luglio 1794, il 10 Termidoro, le Guardie Nazionali, fedeli della Convenzione, si impadronirono, senza trovare ulteriore resistenza, dell’Hôtel de Ville, arrestando numerosi dirigenti giacobini fedeli a Robespierre. Augustin, nel tentativo di sfuggire alla cattura, si gettò dalla finestra sul selciato, dove fu raccolto in fin di vita. Su ciò che successe a Maximilien le opinioni degli storici divergono.

Secondo alcuni, cercò di opporre resistenza, ma un colpo di pistola, sparato dal gendarme Charles-André Merda gli fracassò la mascella. Altri, tra i quali Thomas Carlyle e Albert Mathiez, accreditano la tesi del tentato suicidio. Un altra ipotesi è quella dello sparo accidentale dell’arma impugnata dallo stesso Robespierre per propria difesa, nel momento in cui cadde a terra nei momenti concitati dell’arresto.

Grazie a quel colpo di pistola, Merda ebbe comunque una brillante carriera militare: Napoleone lo promosse colonnello e barone dell’Impero, modificandone prudentemente il nome in Meda.

 

 

3. La Révolution française

Una bellissima colonna sonora, l’Hymne à la liberté di George Delerue, precede la monumentale – e, purtroppo, convenzionale – ricostruzione della storia della rivoluzione, voluta dai Ministeri francesi della Difesa e della Cultura per il bicentenario della rivoluzione. Nonostante il film sia intessuto di piccole e grandi sviste e infedeltà storiche, vale la pena di dedicargli le quasi sei ore di visione necessarie.

Le monde nous regardera et se demandera quel genre d’hommes nous étions.
Ne laissons pas dire que nous n’étions pas meilleurs que ceux que nous avons chassés.

Nous sommes tous condamnés à mourir.
Je connais cette Cour, c’est moi qui l’ai créée, et j’en demande pardon à Dieu et aux hommes.
A l’origine, elle devait être, non pas le fléau de l’humanité, mais un rempart, une dernière instance contre le déchaînement des fureurs de la brutalité et de la peur.
Au lieu de cela, c’est devenu l’assassinat des consciences.

Et ceux qui plus tard nous jugeront, verront bien que moi, Danton, je n’ai pas voulu cela.
Si je parle aujourd’hui, c’est pour défendre ce que nous avons réalisé, c’est pour tout ce que nous avons atteint, et non pour sauver ma vie.
Nous avons brisé la tyrannie des privilèges en abolissant ces pouvoirs auxquels n’avait droit aucun homme.
Nous avons mis fin au monopole de la naissance et de la fortune dans tous ces grands offices de l’état […].

Nous avons déclaré que l’homme le plus humble de ce pays est l’égal des plus grands.
Cette liberté que nous avons acquise pour nous-mêmes, nous l’avons affectée aux esclaves
et nous confions au monde la mission de bâtir l’avenir sur l’espoir que nous avons fait naître.

C’est plus qu’une victoire dans une bataille, plus que les épées et les canons et toutes les cavaleries de l’Europe
et cette inspiration, ce souffle pour tous les hommes, partout en tout lieu, cet appétit, cette soif de liberté jamais personne ne pourra l’étouffer. ”  

Nos vies n’ont pas été inutiles, nos vies n’ont pas été veçues en vain.

Georges Danton

 

Toi liberté, liberté que nous aimons
Toi liberté, liberté que nous voulons
Sois notre espoir et notre force
Sois notre joie, notre bonheur
Nous pourrons
Chanter chaque jour plus haut
Chanter chaque jour plus loin
Chanter joyeusement cet hymne de foi

Liberté, Liberté, je crois en Toi
Liberté, Liberté, sois notre loi
Ô Toi qui peux donner l’espoir
Ô Toi qui peux sonner la joie

Ô Liberté, Liberté que nous aimons
Sois toujours plus près de nous
Sois toujours plus près de nos cœur

Loin de nous l’esclavage
Loin de nous les prisons
Plus jamais de privilèges
Loin de nous famines et massacres
Loin de nous le temps des tyrannies

Nous chanterons toujours ton nom, “Liberté”
Nous croyons en Toi.

 

 

Print Friendly, PDF & Email


Comments are closed.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: