Wired, Non è così che vedono i delfini

by gabriella

doplhinUn caso di falso virale e di pervertimento dell’open access a danno degli internauti meno informati. Wired Italia commenta il comunicato stampa di Speackdolphin.com e del business della no-profit Global Earth inc..

L’immagine virale che mostrerebbe come vedono i delfini è priva di qualsiasi base scientifica.

 

Nei giorni scorsi è circolato un comunicato stampa con allegata un’immagine che è rapidamente diventata virale: mostrerebbe infatti un esempio di come ci vedono i delfini.

L’immagine sarebbe il risultato di uno studio nel quale i ricercatori hanno registrato gli impulsi di ecolocalizzazione emessi da un esemplare di delfino e poi, grazie a uno strumento chiamato Cymascope, sarebbe stato possibile ottenere una grezza immagine che, una volta elaborata al computer, mostrerebbe la sagoma di un essere umano che si trovava nella vasca con l’esemplare al momento dell’esperimento.

L’immagine è senz’altro suggestiva, ed è facile abbandonarsi alla speranza di una scoperta che accrescerebbe la nostra comprensione di questi animali così complessi. Purtroppo non è così, e vista l’eco ricevuta è ancora un’occasione di riflessione su come spesso un comunicato stampa sia rilanciato in maniera totalmente acritica. L’episodio segna inoltre l’ennesima scivolata della fabbrica di click I Fucking Love Science, che prontamente ha proposto ai suoi milioni di fan la notizia.

Il primo campanello di allarme è la fonte: il comunicato stampa non viene da un’università o un centro di ricerca (non che questi debbano essere considerati immuni alla fuffa), ma dal sito Speakdolphin.com di proprietà della no-profit Global Earth, Inc,dedicata a finanziare ricerche sulla comunicazione tra i delfini. Global Earth e SpeakDolphin sono il prodotto di Jack Kasswitz e della moglie Donna Brewer, ma Nessuno dei due risulta provvisto di un backgroung in una qualunque disciplina della biologia, o della scienza in generale. Ancor più grave è il fatto che nel sito si parli di ricerche che in realtà sono assolutamente sconosciute allaletteratura scientifica.

(Photo by Nigel Roddis/Getty Images

Photo by Nigel Roddis/Getty Images

Il colmo è che nel sito personale di Kassewitz c’è addirittura una sezione chiamata Open Science Publication. Qui Kassewitz spiega che le riviste scientifiche classiche hanno dei bias e che la miglior peer-review è rendere la scienza accessibile a tutti e quindi open. A questo segue l’anteprima di un presunto studio e l’invito ad acquistare il paper su Amazon (!). Seguendo il link è possibile apprezzare l’ampia produzione di materiale divulgativo sui delfini prodotto da Kassewitz.

Non è davvero chiaro se Kassewitz ignori candidamente cosa sia e come funzioni l’open science, o se ne storpi deliberatamente il significato e l’importanza. Comunque sia la peer review è sconosciuta dalle parti di Speakdolphin.com e il comunicato sulla visione dei delfini non fa eccezione. In mancanza di una pubblicazione sottoposta a revisione paritaria manca quindi il primo (anche se assolutamente imperfetto) filtro tra le bufale e fatti.

Ma qual è davvero il problema di quell’immagine? Come riporta il sempre attento Washington Post, la discussione è stata avviata su twitter dal comunicatore scientifico Kyle Hill:

Insomma, ammesso e non concesso che l’immagine sia davvero quella del nuotatore nella vasca e che sia stata costruita registrando i click del delfino, non ci direbbe assolutamente nulla su come il cervello del delfino forma le immagini quando usa l’ecolocalizzazione. Anche prima di Kassowitz gli esseri umani erano già in grado di elaborare i riflessi dei suoni sottomarini per estrarre informazioni dell’ambiente circostante: qualsiasi onda sonora che incontra un ostacolo viene riflessa e ascoltandola con i giusti strumenti è possibile avere un’idea di dove sia e che forma abbia quell’ostacolo.

Nella più generosa delle ipotesi, l’immagine sarebbe quindi una nostra interpretazione di un’eco generata dai suoni dei delfini, ma in base alle informazioni rilasciate da Speakdolphin.com nemmeno questo è confermabile. Secondo il comunicato della ditta che produce lo strumento chiave:

“Il meccanismo alla base dello strumento Cymascope è che trascrive le periodicità sonore in periodicità delle onde acquatiche. In altre parole, il suono è impresso su una membrana d’acqua. L’abilità di Cymascope di catturare imagini simili a quelle che vedono i delfini è in relazione alle proprietà quasi olografiche del suono e alle sue relazioni con l’acqua, che saranno descritte in un futuro paper su questo argomento”.

Per ora anche il fantastico strumento Cymascope rimane però sconosciuto alla letteratura scientifica. Techinsider, che per prima ha raccontato i dubbi degli esperti sulla ricerca, ha chiesto esplicitamente ulteriori informazioni sul funzionamento di Cymascope, ma senza successo. La rivista ha anche intervistato Justin Gregg, ricercatore del Dolphin Communication Project (Florida): secondo l’esperto non è possibile valutare le immagini diffuse sulla base di un comunicato stampa, e segnala come l’ultima volta che Cymascope e Speakdolphin.com hanno fatto annunci simili (il primo è del 2008) Gregg e altri ricercatori si sono messi in contatto con loro per cercare di avere più informazioni sull’avveniristica tecnologia, ma anche loro senza risultati.

Con buona pace dei fan di I Fucking Love Science, ecco invece quello ha scritto al Washington Post la dottoressa Kelly Jakoola, direttrice di ricerca al Dolphin Research Center (Florida):

“Tutto questo non è stato pubblicato su una rivista scientifica, e nemmeno presentato a una conferenza. La scienza usa la peer-review per una ragione. Quindi a meno che/fino a che non ci sarà la valutazione di altri scienziati, non c’è nessun risultato di cui parlare.”

Kassevitz difficilmente si farà scoraggiare da questa accoglienza da parte dei colleghi, almeno a giudicare da altre curiose affermazioni che il Post ha trovato sul suo sito (e ora misteriosamente scomparse, ma per fortuna c’è Wayback Machine). Secondo Jack scienziati e istituzioni che si occupano di delfini seguono un’agenda bigotta e di parte che mira più ai soldi che alla ricerca della verità, e conclude:

“Quante grandi scoperte o grandi scienziati sono stati derisi dalla comunità scientifica e chiamati ‘ciarlatani’ per poi essere riconosciuti come quelli che dicevano la verità. Sono orgoglioso del percorso che ho seguito per cercare di avere una conversazione con un altro abitante senziente di questo pianeta. Il razzismo scientifico o la dominanza di specie illustrano quanto poco abbiamo imparato e quanto lontano dobbiamo ancora andare.”

 

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