Anne Grynberg, L’hitlerismo

by gabriella

L'impossible oubliPropongo la traduzione [mia] del capitolo, L’Hitlerisme, del libro di Anne Grynberg, L’impossible oubli (Paris, Gallimard, 1995). Il volume fa parte della documentazione offerta ai partecipanti del seminario sulla Shoah organizzato dal Mémorial de la Shoah di Parigi nel novembre 2009, nel quadro del Programme Pestalozzi del Consiglio d’Europa.

 

Dal Mein Kampf – 1924

L’Ebreo resta nel posto dove si è stabilito e ci si radica a tal punto che non si può cacciarlo che molto difficilmente anche impiegando la violenza. Egli è, e resta, il parassita tipo, l’incubatore che come un bacillo nocivo, si stende sempre più lontano appena che una sola opportunità favorevole gli si presenta. L’effetto prodotto dalla sua presenza è quello delle piante parassite: là dove si attaccano i popoli che li accolgono si spengono».

A. Hitler, Mein Kampf

L’Antisemitismo è uno dei principali fondamenti della concezione del mondo di Hitler, come è esplicitata nel Mein Kampf (La mia battaglia), l’opera che Hitler redige nel 1924 nella prigione di Landsberg dove era stato incarcerato per nove mesi dopo la sconfitta del putsch di Monaco, e che costituisce al tempo stesso una autobiografia, un trattato teorico e un programma di governo.

 

L’Ariano al vertice della gerarchia delle razze

Il principio essenziale è quello dell’ineguaglianza delle razze, essendo rappresentata la razza superiore dagli ariani bianchi, biondi, dolicocefali (con il cranio allungato come segno di intelligenza), tipo fisico molto diffuso in Germania e tra i paesi dell’Europa del Nord.

«Tutta la cultura umana, tutti i risultati apportati dall’arte, la scienza e la tecnologia sono quasi esclusivamente dovuti al genio creatore dell’ariano – sostiene Hitler -. Questo stesso fatto implica che solo su questo si fonda l’umanità superiore e che esso è, dunque, il prototipo di ciò che noi intendiamo con la parola “uomo”. E’ il Prometeo della nostra specie».

Spetta dunque agli ariani, del tutto naturalmente, di dominare il mondo, perché si tratta di un popolo superiore. E’ su questo postulato di base che Hitler sviluppa le sue concezioni politiche, sia al livello del paese che a livello internazionale.

 

Uno stato forte per assicurare la supremazia

SS contro gli ebreiIl principio dell’ineguaglianza delle razze definisce in effetti la concezione hitleriana dello stato che deve essere uno strumento per assicurare la supremazia della razza superiore, «creatrice e portatrice di cultura e civiltà». A questo fine, la preservazione della purezza razziale è un imperativo assoluto, il matrimonio e la maternità non devono avere altro scopo. Allo scopo di restare nel solco del diritto, il popolo deve essere guidato e controllato da un capo unico e incontestato. Di qui il rifiuto netto e colmo di disprezzo della «mollezza democratica» a vantaggio del «principio del capo», il quale deve godere di poteri dittatoriali così da scoraggiare ogni velleità di disobbedienza.

Secondo questo stesso principio i diritti sovrani esercitati dagli stati federati, i Lander, in materia di bilancio o di polizia, devono sparire a vantaggio di un Reich unificato.

 

Un popolo, uno Stato, un Capo! … e spazio vitale alla razza superiore

In materia di politica estera, l’uomo tedesco di razza superiore deve potersi liberare dai vincoli che pesano su di lui e specialmente dalle obbligazioni del Trattato di Versailles del 1919 – definito un Diktat umiliante: le perdite territoriali, il disarmo, i pagamenti di riparazione quale paese responsabile della guerra. A Ovest, il tedesco deve recuperare l’Alsazia-Lorena, a svantaggio della Francia, «irriducibile e mortale nemico». E soprattutto deve conquistare vasti terreni ad Est al fine di riannodare la sua storia alle gesta dei cavalieri teutonici e di dare al popolo tedesco uno «spazio vitale» sufficiente a permettergli di condurre con successo la sua missione civilizzatrice e di riunire tutti i popoli tedeschi – Ein Volk, ein Reich, Ein Fuhrer -, a svantaggio dei popoli di razza inferiore, essenzialmente degli Slavi, che vi si trovano attualmente e il cui destino non ha per lui alcuna importanza. Nella concezione hitleriana, in effetti, l’esistenza di ogni individuo è subordinata alla sua appartenenza razziale, che determina in maniera immodificabile il suo posto nella gerarchia dei popoli e la sua sorte. Al posto più basso della gerarchia si trova «l’Ebreo» nei confronti del quale Hitler esprime un odio ossessionante. Il suo fanatismo personale giocherà un ruolo motore nella persecuzione anti ebraica, anche se questa frenesia non è sufficiente a spiegare da sola l’intreccio della misura delle azioni che porta alla Shoah.

 

Il Male Assoluto

Hitler definì inizialmente gli ebrei come «degli esseri di sangue impuro» che costituiscono una «razza negativa» portatrice di infezione. Egli impiega frequentemente per indicarli i termini di «bacilli», «parassiti», «avvelenatori del sangue degli altri», «propagatori di infezione», «tubercolosi razziale» contro la quale bisogna difendersi «come lo hanno fatto nel secolo scorso Pasteur e Koch». Egli considera che la «sterilità intellettuale» degli ebrei è totale e che essi sono incapaci di ogni opera creatrice: al contrario essi attentano ai fondamenti morali, politici ed economici dei popoli nel seno dei quali si trovano e che essi vogliono asservire. Poiché è questo agli occhi di Hitler, l’obiettivo fondamentale degli ebrei, quello per cui essi utilizzano tutte le armi in loro potere, dallo sfruttamento capitalista al bolscevismo, al fine di estendere poco a poco la loro influenza e di

«pervenire ad una tirannia suprema sul mondo intero».

 

«Se l’ebreo si afferma, la sua corona sarà la corona mortuaria di tutta l’umanità»

«L’ebreo lavora sistematicamente a promuovere una doppia rivoluzione: egli circonda di una rete economica e politica i suoi nemici, i popoli che oppongono un’energica resistenza a questo attacco venuto cospirazione ebraicadall’interno, grazie alle influenze internazionali che mette in gioco. Li spinge alla guerra e finisce, quando lo giudica necessario, per piantare la bandiera della rivoluzione sul campo di battaglia. Egli dilania economicamente gli stati fino a quando le imprese sociali divengono improduttive, sono tolte allo stato e sottomesse al suo controllo finanziario. 

Dal punto di vista politico egli rifiuta allo stato i mezzi di sussistenza, rovina le basi di ogni resistenza e difesa nazionale, rovina la fiducia che il popolo aveva nel governo, diffonde male sulla storia e sul passato e getta in rovina tutto ciò che è grande. Ora comincia la ultima e grande rivoluzione. Nel momento in cui l’ebreo conquista la potenza politica, egli lascia cadere gli ultimi veli che lo nascondono ancora. L’ebreo democratico e amico del popolo fa nascere l’ebreo sanguinario e tiranno dei popoli. Egli cerca in pochi anni di sterminare i rappresentanti dell’intelligenza e togliendo ai popoli quelli che erano per loro natura le loro guide spirituali, egli li rende maturi, pronti per il ruolo di schiavi messi per sempre sotto il giogo»,

spiega Hitler nel Mein Kampf.

Così la cospirazione dei giudei è riuscita poco a poco a controllare tutto il mondo moderno. Hitler ne vede come esempio la Russia sovietica, dove il bolscevismo giudaico esercita la sua influenza e si appresta a estendere ancora il suo potere malefico. Secondo questa concezione quasi metafisica del «pericolo ebraico», bisogna dunque agli occhi di Hitler condurre una lotta a morte contro quelli che simbolizzano il male assoluto.

 

Gli stereotipi antigiudaici della Cristianità

Benchè Hitler si presenti come un teorico innovatore e creativo, il mito che sviluppa intorno agli ebrei non è completamente nuovo. Questo infatti affonda le sue radici sia in un passato molto antico – quello dell’antigiudaismo cristiano – che in un movimento di idee nato nel XIX secolo – l’antisemitismo moderno. Nel 321, sotto il regno di Costantino, il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’impero romano. Da allora la Chiesa esercita un’influenza preponderante sull’autorità civile, specialmente nei confronti degli ebrei – che essa vuole convertire poichè considera il Cristianesimo come la sola vera religione. Ora gli ebrei – molti dei quali consideravano agli inizi il cristianesimo come una setta ebraica – rifiutano massicciamente di credere nella divinità di Cristo, ciò che sarebbe per loro sinonimo di contraddizione.

Al fine di proteggere i fedeli contro questa influenza, considerata perniciosa, i Padri della chiesa sviluppano dei temi ostili al «popolo deicida» considerato come collettivamente responsabile della morte di Cristo. Nel corso del tempo una legislazione rigida proscrive i contatti tra cristiani ed ebrei.

Alla fine dell’XI secolo, la prima crociata, che rappresenta uno slancio unitario della cristianità, aggrava ancora l’antiebraismo cristiano: prima di liberare il Santo Sepolcro sembrava legittimo massacrare gli ebrei infedeli. Nella stessa epoca l’Europa conoscerà uno sviluppo economico che favorisce le attività di prestito a interesse esercitate soprattutto dagli ebrei perché tali operazioni sono proibite ai cristiani e perché gli ebrei, inoltre, non possono possedere delle terre. Il risentimento economico si aggiunge in questo modo all’ostilità religiosa.

 

Una vera demonologia dell’ebreo

 Tre gravi accuse sono portate contro gli ebrei: li si sospetta di rubare delle ostie ai cristiani per profanarle, reiterando così il deicidio. Si racconta anche che essi rapiscano frequentemente dei bambini cristiani e li assassinino per raccoglierne il sangue utilizzato nella fabbricazione del pane azzimo, cibo rituale della festa di Pasqua. Infine sono accusati di avvelenare le sorgenti e propagare le epidemie. Si perviene così all’idea di una collusione tra gli ebrei e Satana per nuocere ai cristiani e persino per ucciderli. Delle rappresentazioni popolari terrificanti prestano agli ebrei degli attributi diabolici: corna, lunga coda …

Si parla della «fetenzia ebraica» in opposizione all’«odore di santità»: più ancora ciò che è imputato agli ebrei è rappresentato come il risultato di una azione concertata, di una cospirazione. Nel XIII secolo si bruciano sulla piazza pubblica degli esemplari del Talmud considerato come un trattato di magia nera e il Sabbath, giorno di riposo e di preghiera della religione ebraica, è assimilato al Sabba delle streghe. Il portare un segno distintivo, la reclusione in quartieri separati (ghetti) l’interdizione a esercitare certi mestieri, le conversioni forzate, le espulsioni scandiscono ormai la vita degli ebrei.

Tali sono le conseguenze dell’«insegnamento del disprezzo», promosso dalla Chiesa cattolica che non detiene in ogni caso il monopolio dell’ostilità antiebraica: nella sua opera intitolata Degli Ebrei e delle loro menzogne, Lutero rovescia un fiume di anatemi sugli ebrei, «peste e pestilenza, pura disgrazia». Tali affermazioni saranno frequentemente evocate da Hitler.

 

La lotta contro la modernità

Gli ebrei suscitano anche, nel periodo moderno, l’avversione delle correnti conservatrici partigiane del mantenimento dell’ordine sociale tradizionale. Esito della filosofia dei lumi, la Rivoluzione francese, per prima, riconosce gli ebrei come dei cittadini completi e non più come dei soggetti portatori di uno statuto inferiore. Nel resto di Europa questa emancipazione veicolata dalle armate rivoluzionarie, poi dalle truppe napoleoniche, è percepita come un obbligo insopportabile imposto dal nemico vittorioso. Essa appare anche come sinonimo di destabilizzazione sociale nel momento in cui si frantuma la società rurale tradizionale in seguito all’industrializzazione e all’urbanizzazione. L’ordine antico fondato sulla proprietà fondiaria e sul potere della nobiltà è minacciato dall’emersione di una borghesia conquistatrice, detentrice della ricchezza economica e impaziente di avere responsabilità politiche. La mobilità sociale cresce.

Dal canto loro gli operai delle fabbriche – nuova classe nata dalla rivoluzione industriale – intraprendono ben presto una lotta contro la miseria. Il liberalismo, la democrazia, il socialismo: tutte correnti di pensiero che fanno orrore ai paladini della tradizione, i quali ne imputano l’origine agli ebrei, simboli della aborrita modernità. Questi conservatori riattivano poco a poco i vecchi miti antigiudaici: desiderosi di rinnovare la loro presa sul mondo, gli ebrei cospiravano per fomentare dei movimenti rivoluzionari nei differenti paesi in cui si trovavano, sia per acquisire dei privilegi e per distruggere questi stati.

All’inverso, altri si ricollegano allo stereotipo dell’ebreo usuraio per accusare gli ebrei, infallibilmente legati al denaro, di profittare dello sviluppo del capitalismo per sfruttare i popoli. L’«oro ebraico», personificato dai banchieri sarebbe corruttore di coscienze. Questa idea è difesa in particolare da Carl Marx (l’autrice omette di sottolineare che Marx era di origine ebraica e non ha mai difeso tesi razziste. N.D.R.) poi ripresa da Proudhon, che vi aggiunge una connotazione prettamente razzista in accordo con la linea dell’antisemitismo moderno.

 

Antisemitismo, nazionalismi e teorie dell’ “igiene razziale” nel XIX secolo

Dreyfus

Epoca di industrializzazione, il XIX secolo è al tempo stesso quello dei nazionalismi: la nazione diviene un vero cemento sociale, il quadro fondamentale nel quale gli uomini si riconoscono e si raggruppano. In questo contesto gli ebrei sono di intralcio a causa della loro alterità fondamentale: una dispersione che infrange le frontiere, l’assenza di ogni assetto territoriale, un cosmopolitismo che sembra sospetto. La nazione deve dunque respingerli se non vuole essere snaturata, Nello stesso tempo il francese de Gobineau pubblica il saggio sulla diversità delle razze umane (1853 – 1855) nel quale egli pretende di portare fondamenti scientifici alla sua teoria della superiorità della razza nordica germanica.

Negli ultimi anni del secolo, mentre l’affare Dreyfus divide la Francia in due campi – quelli che difendono l’innocenza di Dreyfus e quelli che urlano «morte agli ebrei» – Drumont riporta un vivo successo pubblicando un libello pieno d’odio, la Francia ebraica. Nel 1899 Lord Chamberlain pubblica i Fondamenti del XIX secolo, libro in cui egli espone una teoria razzista secondo la quale la civiltà sarebbe la creazione esclusiva degli ariani – sedicenti originari dell’India – che dovrebbero premunirsi contro ogni mescolanza razziale con i semiti – venuti dall’estremo oriente –

«sottorazza degenerata».

 

Il pericolo di una giudaizzazione del mondo tedesco

Se ci sono certi precursori sul piano ideologico – come Fichte, Arndt o Jahn, paladini del pangermanismo – le prime manifestazioni politiche di questo antisemitismo moderno appaiono in Germania all’indomani della guerra del 1780, in occasione della grande crisi economica subita dal paese a partire dal 1873. Lo stesso anno, il giornalista Wilhelm Marr – al quale si attribuisce spesso l’invenzione del termine “antisemitismo” – pubblica La vittoria del giudaismo sulla germanità, opera nella quale afferma che le «caratteristiche razziali» degli ebrei chiamati «semiti stranieri» hanno permesso loro di diventare «per mezzo della speculazione e dell’usura» «la prima potenza occidentale». Egli dubita persino che il popolo tedesco sia troppo indebolito per poter resistere all’ebreo:

«la questione ebraica è una questione socio-politica – scrive -. La giudaizzazione del mondo tedesco ha fatto nascere delle idee, delle teorie, su una libertà socio individuale che non si può più chiamare libertà ma insolenza, e le conseguenze della quale sono diventate insopportabili, persino per la germanicità ebraizzata».

Egli chiama a gran voce ad un «sollevamento popolare antiebraico». Alfred Stocker, che fonda a Berlino il partito degli operai cristiano-sociale, definisce gli ebrei come

«un popolo dentro un altro popolo, uno stato nello stato, una tribù separata in seno di una razza nella quale essa è straniera».

Certo gli ebrei tedeschi godono di eguaglianza nei diritti. Ma una distinzione tende a stabilirsi tra il «paese legale» e il «paese reale». A partire dal 1880, delle violenze antisemite si producono in Germania, nella quale circola la petizione degli antisemiti, un testo violentemente antisemita che raccoglie 225.000 firme in pochi mesi, il grido Juden rauss risuona frequentemente. Tra il 1887 e il 1914 il numero di deputati antisemiti eletto nel Reichstag cresce notevolmente.

Esaltazione del passato della razza germanica

Nello stesso momento si sviluppa in Germania una corrente conservatrice che invoca con fierezza il passato che si fa risalire al Sacro Romano Impero tedesco – e le figure tutelari eroicizzate che sono per essa i cavalieri teutonici. La musica di Wagner li galvanizza. Bisogna ricordare lo sviluppo  in Germania, alla fine del XIX secolo, della corrente ideologica della «igiene razziale». Interpretando in maniera deviata L’origine delle specie di Darwin, che mette in evidenza la «selezione naturale» e «la sopravvivenza dei più adatti» nella lotta per la vita, quelli che vi aderiscono considerano, in nome della purezza della razza, che lo stato deve poter controllare tanto la nascita che la morte di coloro che sono sotto la sua responsabilità, gli «esseri biologicamente inferiori» devono poter essere liquidati.

L’Ebreo….di cui bisogna sbarazzarsi

L’ideologica hitleriana non è dunque venuta dal niente, essa si appoggia su un patrimonio di miti arcaici rivitalizzati da una corrente di pensiero marcata sulla scena dei nazionalismi del XIX secolo di un culto pervertito della scienza moderna. Quando Hitler inveisce contro gli ebrei  egli non parla un linguaggio totalmente nuovo, ma al contrario evoca degli stereotipi ben conosciuti. Quelli che lo ascoltano sono tanto più inclini ad ascoltarlo, malgrado il carattere parossistico e delirante delle sue proposte, tanto più la sconfitta militare del ’18 – considerata come una umiliazione nazionale – e la crisi economica e sociale attraversata nelle due guerre li rendono fragili e li incitano a cercare un capro espiatorio che è tradizionalmente l’ebreo. Per «sbarazzarsene» e poter vivere infine in un Reich judenrein (ripulito dagli ebrei) Hitler metterà in campo progressivamente tutto un processo amministrativo, poi farà appello ai mezzi tecnologici più moderni. La crisi dello stato che si apre nel 1930, presto rafforzata dai problemi economici sempre più gravi, gli permetterà in primo luogo di andare al potere in una ascesa che avrebbe senza dubbio potuto essere «resistibile» secondo  il motto di Bertold Brecht.

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