DSA, Troppi bambini sono considerati dislessici ma hanno solo disturbi comuni. La polemica tra l’IdO e Giacomo Stella

by gabriella

Troppi bambini in Italia sono considerati dislessici, ma in realtà hanno solo disturbi comuni.

È questo l’allarme lanciato dall’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma – centro accreditato dal Sistema sanitario nazionale di terapia e ricerca per l’età evolutiva, operativo dal 1970, ed ente di formazione e aggiornamento per medici, psicologi e insegnanti – che venerdì 16 dicembre 2011 presenterà, in occasione della conferenza stampa sul tema “La Scuola dell’obbligo ed i Disturbi specifici dell’apprendimento”, presso la Sala delle Conferenze Stampa di Montecitorio, in Via della Missione 6 alle ore 11, alla presenza del responsabile dei rapporti con il mondo Scuola Udc, onorevole Paola Binetti, e del direttore dell’Ido, Federico Bianchi di Castelbianco, i risultati di un’indagine condotta in numerose scuole materne ed elementari per individuare i bambini a rischio di Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), sottolineando che una percentuale elevata di bambini è stata erroneamente indicata a rischio Dsa.

L’indagine è stata realizzata all’interno del progetto “ORA SI!”, promosso dall’associazione di scuole “Una rete per la qualità” in collaborazione con l’IdO. Si tratta di un’iniziativa nata per dare ai docenti la migliore metodologia di supporto e per arginare il problema legato alla sproporzionata segnalazione dei Dsa nei diversi momenti dell’iter scolastico (materna, elementari, media e scuola superiore). Infatti, come spiega il direttore dell’IdO, Federico Bianchi di Castelbianco,

segnalare come dislessici bambini che in realtà non lo sono comporta due gravi rischi: sono dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili, mentre il loro problema non solo non verrà affrontato ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum studiorum.

http://tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=27219

Ora, a parte il fatto che la diagnosi di DSA, esattamente come la rilevazione di qualsiasi altro problema di apprendimento, non dovrebbe mai comportare la passiva accettazione dello stato di fatto che l’IdO sembra invece considerare scontata (quel “lascerà un vuoto di conoscenze”) ma dovrebbe consistere nella somministrazione di misure volte a tenere lo studente nel percorso di studi (nonché a salvaguadarne il benessere e la salute psicologica e a stimolarne la motivazione) per guidarlo alla compensazione della propria difficoltà, Orizzontescuola.it aggiunge, inoltre, un dettaglio importante che fa sorgere il sospetto che si parli adesso di dislessia come un tempo del tasso di atrazina nell’acqua (basta alzare i parametri e l’acqua inquinata diventa potabile):

In questo momento di crisi è necessario evitare di sperperare risorse – osserva l’IdO –. Le linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca indicano, a buon ragione, come la percentuale di bambini con dislessia nelle scuole non sia del 15% ma si tratti di una cifra pari al 3%.

Rispetto a questo, sembra grottesco che gli specialisti indichino nella legge la fonte legittima della rilevazione statistica dei DSA e ugualmente assurdo che l’osservazione che gli insegnanti sono tenuti a fare sulle difficoltà di apprendimento venga tacciata di eccesso di zelo: gli insegnanti non sono neurologi e l’osservazione didattica può solo segnalare problemi, non diagnosticarli (qui, l’utile “libretto degli insegnanti” di dislessiainrete.org).

In ogni caso, si tratta di capire soprattutto quali siano i “problemi comuni” a cui allude l’Istituto di Ortofonologia.

Qualche indizio dovremmo averlo. Così come in Italia è endemico l’analfabetismo di ritorno o funzionale (71% degli adulti, secondo dati De Mauro) sembra purtroppo altrettanto “comune” quello stato di forte deprivazione culturale che un tempo chiamavamo “disadattamento socio-culturale”.

E’ probabile che non potendolo più chiamare col suo nome (povertà), molti insegnanti alla ricerca di risorse e soluzioni lo eufemizzino cercando di chiamarlo dislessia, come forse è altrettanto “normale” in una scuola e un paese che stanno perdendo i propri riferimenti essenziali, che si cerchi di derubricare la dislessia a “problema comune”, per tagliare risorse a chi ha meno, che si tratti di un problema sanitario o sociale.

E’ questa, d’altra parte, la ricetta della famosa lettera del governo Berlusconi all’UE (recepita in perfetta continuità da Profumo): dove gli INVALSI accertino apprendimenti carenti si procederà con delle ristrutturazioni, vale a dire con riduzioni di fondi, mobilità coatta o licenziamento del personale docente che, ovviamente, pagherà per tutti, insieme ai propri studenti.

La risposta di Giacomo Stella a Federico Bianchi di Castelbianco

Da quando i dislessici hanno una legge che li tutela avevo deciso di non reagire più alle sciocchezze che ogni tanto vengono dette o scritte da tromboni che citano ricerche senza mai presentarle nelle sedi di confronto scientifico, o da insegnanti che si sentono privati della loro arma letale (la bocciatura) nell’educare i loro studenti.

Discutere e ragionare con chi oppone chiacchiere e fanfaronate ai risultati di anni di ricerche è una perdita di tempo inutile perché queste persone in genere non vogliono ascoltare e non vogliono documentarsi. Ma la pagina che avete pubblicato sul vostro giornale sulla dislessia rappresenta una svolta nei panorama dei “negazionisti”: non dice infatti che la dislessia non esiste, ma dice che “la dislessia è troppo diffusa per essere vera”.

Argomento ideologico e non scientifico molto pericoloso perché sarebbe come dire che un fenomeno viene accettato solo se è piccolo, invisibile, così non dà fastidio. Storicamente è sempre stato così con le minoranze e con i diversi. E in effetti è lo stesso argomento che si usa con gli extracomunitari: vanno bene e ci servono se sono pochi e non si vedono. Se diventano troppi, ci costringono a cambiare le nostre abitudini e questo ci disturba.

Se i dislessici diventano troppi allora la scuola è costretta a cambiare, magari a introdurre i computer per tutti o ad aggiornare la didattica, o a ripensare ai criteri di valutazione. Come si da dire dire che sono troppi? Quali dati si portano? Magari ne suggerisco qualcuno: l’ufficio scolastico regionale dell’Emilia Romagna nel 2009 ha svolto una ricerca alla quale hanno partecipato il 51% delle scuole pubbliche e paritarie di ogni ordine e grado della regione.

In totale i dislessici diagnosticati sono 4452, che corrisponde allo 1,47% della popolazione scolastica della stessa regione. Questi sono numeri certi e corrispondono un terzo circa di quelli citati come percentuale attesa. Dove sono tutte queste diagnosi? Forse dà fastidio e manda in confusione la domanda diffusa di tante famiglie che non riesce a ricevere risposte dai servizi impreparati ad affrontare il problema sia in termini numerici che clinici.

Il 3 % della popolazione scolastica italiana corrisponde a 240.000 bambini e studenti. Non sono né tanti né pochi, sono bambini e famiglie che combattono quotidianamente oltre che per vincere la difficoltà di apprendere e stare al passo con le richieste della scuola, anche contro l’ignoranza di chi parla di malattia, di medicalizzazione e di ospedalizzazione delle scuole. Di chi, come te, alimenta la confusione fra ADHD e dislessia, parla a vanvera di inutilità della rieducazione e di uso dei computer che oggi tutti i bambini usano dappertutto tranne che nella scuola.

Anche in questo caso ci sono tonnellate di documenti prodotti dalla ricerca che dicono che la dislessia non è una malattia, ma l’espressione di una piccola differenza di alcune aree del cervello che non impedisce di imparare, ma lo rende molto più faticoso. E in questa società che vuole tutto e subito questa fatica e lentezza non viene tollerata. Ma forse questo è un concetto troppo elaborato per chi è abituato a distinguere i malati dai sani, i neri dai bianchi, gli intelligenti dagli stupidi. In ogni caso l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato le linee guida per la diagnosi della dislessia, che prevedono una precisa e (ahimè per i bambini) lunga batteria di prove metodologicamente rigorose, da cui sono assenti proprio i suoi questionari.

Chi alimenta scetticismo e confusione alla fine contribuisce a mettere pietre nel già pesante zaino che i dislessici si portano a scuola tutte le mattina.

Giacomo Stella
Fondatore Associazione Italiana dislessia, Ordinario di Psicologia clinica, Università di Modena e Reggio Emilia
20 dicembre 2011

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