Posts tagged ‘Carlo Galli’

7 Gennaio, 2012

Carlo Galli, Lobby

by gabriella

La Parola

(voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di ‘passaggio’, ‘corridoio’; in tedesco, Laube, portico).
Il significato attuale – ‘gruppo di pressione’, ‘gruppo di interesse’ – nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali – i lobbisti – fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.

Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico.  Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo – pur diffusissimo – è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l’interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.

L’esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi – anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti -. Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare – e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto – è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di ‘trionfo del particolare’, che lede sia l’autonomia della politica sia l’uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti  (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.

Tramontata da molti decenni l’ipotesi corporativa – che consisteva nel dare rilievo pubblico e giuridico agli interessi sociali organizzati, all’interno di uno Stato autoritario -, la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l’anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell’aula.  

Oggi, così,  le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un ‘si salvi chi può’ permanente,  è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno.

http://www.repubblica.it/rubriche/la-parola/2011/12/16/news/lobby-26740927/

31 Agosto, 2011

Carlo Galli, Tasse. Scenari, I soliti ignoti

by gabriella

La Parola

Tasse

(di etimo analogo al verbo ‘tassare’: dal latino taxare, derivato a sua volta da tangere [toccare], col significato di ‘valutare toccando’, ‘soppesare’, e anche di ‘biasimare’, ‘tacciare’).
Propriamente la tassa è un importo dovuto dai cittadini allo Stato in cambio di prestazioni (es., la tassa portuale), e si distingue dall’imposta che invece colpisce liberamente il patrimonio o il reddito (imposta diretta) oppure il movimento di ricchezza (imposta indiretta). Tuttavia, nel linguaggio comune, con ‘tasse’ si intende di solito l’insieme dei tributi che lo Stato esige dai cittadini (il potere d’imporre tasse appartiene, di norma, a enti pubblici sovrani, come lo Stato, e a enti territoriali, come le Regioni e i Comuni, che derivano tale potere dallo Stato).

Il rapporto tasse-politica è quindi strettissimo. L’età moderna conosce, a questo riguardo, tre dinamiche fondamentali. La prima è la progressiva conquista, da parte dello Stato, del monopolio della tassazione e dell’imposizione fiscale, per farne un diritto di sovranità (come il legiferare, l’amministrare la giustizia, il battere moneta, il dichiarare guerra) e uno dei segni del proprio controllo del territorio e della popolazione: per tassare, lo Stato deve, infatti, conoscere la quantità e la qualità delle persone, delle loro ricchezze e delle loro attività economiche (la scienza statistica). La seconda è la lotta dei cittadini per determinare autonomamente il livello della tassazione, senza subirlo da parte del potere regio: i Parlamenti, rappresentativi della sovranità popolare, hanno infatti come compito fondamentale l’approvazione del bilancio dello Stato, delle sue uscite (le spese) e delle sue entrate (le tasse). Questo collegamento fra tasse e cittadinanza (che nel mondo anglofono si espresse nello slogan no taxation without representation) significa che il  peso fiscale non deve essere interpretato come un servaggio, come un tributo pagato dai vinti ai dominatori, ma come la consapevole partecipazione dei cittadini al bene comune. La terza dinamica è la progressiva abolizione dei privilegi (i nobili, durante l’Ancien Régime, erano esenti da tasse): poiché la tassazione è collegata alla cittadinanza, tutti i cittadini devono essere uguali davanti al fisco.

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