Tratto dall’articolo di Marialuisa Stazio e Davide Borrelli (Università di Cassino e del Lazio meridionale), La parabola del meritocrate immeritevole.
“Un buon capro espiatorio vale quasi quanto una soluzione”.
Arthur Bloch
La ‘questione del merito’ sta diventando così centrale nelle nostre vite perché la usiamo a livello individuale e sociale per placare la nostra ansia di dare un senso alle frustrazioni umane e professionali legate ormai al nostro lavoro. E se talvolta ci capita di pensare di meritare il nostro disagio perché non siamo abbastanza bravi, sicuramente ci è molto più comodo e usuale imputarlo ai nostri colleghi, quei dannati ‘fannulloni’ all’origine di tutta questa ira di dio. Sarebbe ora che cominciassimo, invece, a considerare le nostrane istanze meritocratiche – parafrasando T. S. Eliot – come la carne di cui il ladro si serve per distrarre i cani mentre entra di soppiatto per svaligiare la casa. […] E, per dirla con Marshall McLuhan – che amava citare Eliot – pensare che sistemi valutativi e ‘premiali’ come questi siano a guardia della sua ‘qualità’ è come pensare che la funzione dei ladri sia quella di cibare i nostri cani.
Mauro Boarelli, L’inganno della meritocrazia
Valeria Pinto, Valutare e punire
Gianluca Gabrielli, I devoti della valutazione
Anna Angelucci, La valutazione negli Stati Uniti: storia di un fallimento
Giorgio Mascitelli, Le Olimpiadi a scuola. Piero Bevilacqua, A che serve premiare il merito
Gigi Roggiero, Mistificazioni meritocratiche
Scuola: IoMerito
Enrica Rigo, Maurizio Ricciardi, Il diritto d’accesso negato alla meritocrazia
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