Due millenni dopo i sofisti, la teologia protestante inizia l’opera di alfabetizzazione popolare, dei poveri e delle donne, attraverso una nuova teologia che indica nella lettura delle Sacre scritture la via per la salvezza dell’anima.
Indice
1. Lutero e la dissoluzione rinascimentale dell’ordine medievale
2. La protesta di Lutero e la teologia protestante
2.1 Le 95 tesi e la critica politica alla Chiesa
2.2 Dalla critica politica alla nuova teologia
3. Le conseguenze pedagogiche della riforma protestante
4. Gli sviluppi politici della riforma: i monarcomachi
La playlist di pedagogia moderna
1. Lutero e la dissoluzione rinascimentale dell’ordine medievale
Lutero, in verità, vinse la servitù per devozione mettendo al suo posto la servitù per convinzione. Egli ha spezzato la fede nell’autorità, restaurando l’autorità della fede. Egli ha trasformato i preti in laici, trasformando i laici in preti. Egli ha liberato l’uomo dalla religiosità esteriore, facendo della religiosità l’interiorità dell’uomo. Egli ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore.
Karl Marx, Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto, 1844
I concetti che meglio definiscono la modernità sono quelli di crisi d’autorità – della Chiesa, di Aristotele, del sovrano – critica – da Voltaire a Kant – e rivoluzione – scientifica ed astronomica, oltre alle rivoluzioni politiche inglese e francese.
A Lutero e alla riforma protestante spetta dunque un ruolo di primo piano nella dissoluzione rinascimentale dell’ordine medievale: la teologia luterana e la delegittimazione della Chiesa di cui fu portatrice sono infatti uno dei principali detonatori della crisi moderna.
Ma il pensiero del monaco agostiniano si rivela cruciale anche in relazione all’evoluzione delle politiche scolastiche: la prima alfabetizzazione delle masse nord-europee passa infatti per le tesi protestanti del libero esame e del sacerdozio universale.
2. La protesta di Lutero e la teologia protestante
2.1 Le 95 tesi e la critica politica alla Chiesa
La vicenda del monaco agostiniano Martin Luther inizia nel 1517, anno in cui redige le celebri novantacinque tesi, attaccando frontalmente la Chiesa sulla dottrina delle indulgenze e su questioni teologiche.
Tradotte in tedesco e stampate (non è certo se furono affisse dal monaco alla porta della chiesa del castello di Wittemberg), le tesi circolavano in ambiente universitario e divennero presto un documento notissimo nei territori tedeschi. L’intimazione a ritirare le tesi arriva nel 1520 con la bolla Exurge domine in cui il papa paragona Lutero a un «cinghiale che devasta la vigna del signore».
La critica di Lutero era a un tempo politica e teologica. La prima colpiva la corruzione della Chiesa e il drenaggio di ricchezze verso Roma che i paesi tedeschi non potevano più sopportare.
La Chiesa riscuoteva infatti imposte che andavano ad alimentare i cantieri del rinascimento romano (ad esempio la costruzione della Cappella Sistina di Michelangelo) e che manifestamente non venivano utilizzate per lo scopo legittimo del sostentamento del clero locale.
L’evento destinato a innescare la protesta luterana fu la dichiarazione papale dell’indulgenza plenaria e la sua conduzione da parte di Leone X.
Il papa aveva urgente necessità di liquidità e non poteva aspettare il termine della raccolta delle imposte. Si avvalse così di un meccanismo finanziario in base al quale le elemosine versate dai fedeli per la salvezza della propria anima o di quella dei propri defunti venivano riscosse dai banchieri che avevano anticipato le somme al papa.
Emblematica, in proposito, è la figura del monaco e inquisitore domenicano Johann Tetzel, che aveva ricevuto l’incarico di predicare le indulgenze nei territori di Alberto di Brandeburgo ed era solito incoraggiare il versamento delle somme con espressioni quali
appena la moneta tintinna nella cassa, l’anima in Paradiso balza.
Esercitazione
Analisi e discussione in gruppo delle tele di Paolo Veronese, Cena a casa di Levi e Cena di San Gregorio Magno: la Chiesa tridentina.
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2.2 Dalla critica politica alla nuova teologia
L’evidente mercimonio suscitò la ribellione di Lutero il quale, davanti alla riduzione delle opere pie all’esborso di quattrini, sostenne che la salvezza era concessa da Dio per la fede e non per le opere. La critica politica si fondeva così, immediatamente, con la riforma della dottrina.
Per la chiesa cattolica l’uomo si salva con la fede e con le opere. Lutero edifica invece una nuova teologia basata sulla salvezza per sola fede e su un nuovo rapporto tra il fedele e Dio. Nella pessimistica visione teologica che Lutero trae da Agostino l’uomo, irrimediabilmente corrotto dal peccato, entra in contatto con Dio solo attraverso la propria interiorità.
Lutero enuncia infatti il principio del sacerdozio universale, in base al quale ogni credente è sacerdote di se stesso, e del libero esame, per il quale la scrittura è lo strumento con cui Dio ammaestra il mondo e la sua verità è immediatamente trasparente all’esame diretto di ogni credente.
E’ su questi due dirompenti principi teologici che si infrange la legittimità dell’autorità della Chiesa. Nessun ruolo per la salvezza dell’anima le è infatti più riconosciuto: né quello di somministrare il perdono, né quello di spiegare e diffondere la verità biblica. Il fedele dovrà confessare interiormente le proprie colpe ed entrare in contatto con Dio attraverso la lettura individuale delle scritture.
Ai primi due principi, Lutero aggiunge quello del sola fide – ci si salva solo per fede – et sola scriptura – nessun rito o credenza della Chiesa ha fondamento se non è contenuto nei testi sacri – e del sola gratia: il peccato originale ha reso l’uomo irrimediabilmente malvagio e incapace di agire con retta volontà (servo arbitrio), possiamo salvarci solo attraverso il sacrificio di Cristo.
Ponendo fine alla mediazione spirituale della Chiesa, Lutero fonda così un nuovo rapporto con l’autorità, e una nuova dimensione dell’interiorità che si identifica con la nascita della coscienza.
Si tratta di un atto di nascita che si fonde strettamente con la critica. Il termine “protestanti”, infatti, comincia ad essere usato dopo la Dieta di Spira (1529) quando l’imperatore Carlo V revocò le concessioni fatte ai principi luterani in materia di fede, alla quale i principi di Sassonia, Assia e Brandeburgo risposero con una dichiarazione solenne che esordiva con “Noi protestiamo”.
3. Le conseguenze pedagogiche della riforma protestante
Istituendo un rapporto diretto del fedele con Dio attraverso le Scritture, la riforma pone le premesse per una grandioso movimento di alfabetizzazione popolare, finalizzato a fornire a tutti i credenti, senza distinzioni di censo e di genere, gli strumenti per la salvezza dell’anima.
L’impegno pedagogico della Riforma si esprime così nella traduzione della Bibbia nelle lingue volgari e nella loro capillare diffusione, resa ora possibile dalla stampa, nonché nell’apertura di scuole popolari accessibili anche alle donne.
Nella Lettera ai consiglieri di tutte le città della Germania (1524), Lutero si rivolge alle autorità civili delle città convertite affinché provvedano ad aprire scuole popolari aperte a tutti.
Sei anni dopo, con il Sermone sul dovere di mandare i fanciulli a scuola (1530) indirizza invece ai padri di famiglia un invito alla lungimiranza che uscendo dal dominio religioso, indica per la prima volta al popolo la possibilità di una elevazione culturale e sociale:
Dio non vuole che coloro che sono re governino da soli e siano i soli signori: egli vuole anche avere in questi posti i suoi mendicanti. Senza di ciò penserebbero che è la nobile nascita a fare i signori e i sovrani, e non Dio solo.
A dimostrazione delle conseguenze rivoluzionarie di una Riforma protestante che si lega fin dall’inizio alla scoperta della stampa e determina la prima scolarizzazione popolare nel Nord Europa, alla fine della guerra dei trent’anni, poco più di un secolo dopo la protesta di Martin Luther, veniva trovata nelle campagne tedesche devastate dagli eserciti una bibbia contadina, all’interno della quale il capofamiglia aveva annotato:
Dicono che la terribile guerra è finita. Ma qui non ci sono segni di pace […] Viviamo come animali, strappando l’erba coi denti. Molti dicono che qui non c’è Dio.
Era il 17 gennaio 1647, per la prima volta un contadino aveva potuto mettere per iscritto la sua disperazione. La parte d’Europa rimasta cattolica conserverà per questo un secolare ritardo – incolmato ancora oggi – basti pensare all’analfabetismo dei personaggi dei Promessi sposi, ambientato nello stesso periodo storico.
Nel video sottostante, la lezione della storica valdese Letizia Tomassone sul contenuto universalistico, emancipativo, della lettura della Bibbia e la «presa di parola» delle donne nel contesto della riforma della chiesa e della società. Al temine della lezione, le considerazioni sulla reazione alla libertà delle donne nello stesso contesto protestante.
La collocazione tradizionale delle donne ai margini come soggetto che non ha facoltà di parola nei momenti decisivi, nei concili, nelle facoltà di teologia o nelle cattedrali è qualcosa che è rimasta a lungo è […] anche nel protestantesimo. Questa marginalità, questa sottomissione, non può essere dimenticata in un momento. Per Calvino, uomini e donne sono uguali davanti a Dio, ma l’ordine del mondo riposa anche sulla sottomissione delle donne […] quindi le donne vengono tacitate e vengono inviate al rogo, tanto nel mondo cattolico che in quello protestante. Loro insisteranno, credendo che la loro libertà venisse da Dio e non avesse bisogno del riconoscimento degli uomini per essere esercitata…
4. Gli sviluppi politici della Riforma, i monarcomachi
C’est le peuple qui établit les rois, qui leur met les sceptres dans les mains,
et qui par ses suffrages approuve leur élection.
[È il popolo che incorona i re, che mette lo scettro nelle loro mani
e che approva la loro elezione col voto]
Hubert Languet (1518-1581)
Christ, not man, is King.
Oliver Cromwell (1599-1658)
Where the Spirit of the Lord is, there is Liberty.
Paolo di Tarso, Seconda Epistola ai Corinti (3:17) su una bandiera del bicentenario della Rivoluzione americana (1776-1976)
Nel XVI e XVII secolo, mentre infuriavano le guerre di religione, i calvinisti francesi teorizzarono la sovranità popolare e svilupparono una originale dottrina politica che legava l’azione del sovrano al consenso popolare e la legittimità della ribellione e del tirannicidio.
Sono detti monarcomachi quei teorici del XVI e XVII secolo – soprattutto – ugonotti « qui combattent le gouvernement d’un seul », cioè la monarchia assoluta, difendendo la tesi di una monarchia contrattuale – un antecedente storico di quella che sarà molto più tardi la monarchia costituzionale.
In Francia e Svizzera furono inizialmente gli ugonotti Théodore de Bèze, Philippe de Mornay, François Hotman, Hubert Languet, a rivendicare la sovranità del popolo e a sostenere che gli Stati Generali, in quanto assemblea del popolo, dovevano scegliere il re e i magistrati, potevano destituirli in caso di demerito, decidere la pace e la guerra e fare le leggi. Se la sovranità è del popolo, sostennero i monarcomachi, anche la sua obbedienza è condizionale e riposa sul rispetto delle promesse da parte del re (in seguito, sul rispetto della legge da parte del sovrano). Nel caso in cui il re si comporti da tiranno, la resistenza è dunque legittima, secondo alcuni, fino al tirannicidio.
Queste tesi, che mettevano in questione la tradizionale dottrina dell’obbedienza assoluta del suddito cristiano all’autorità politica, furono difese in trattati polemici come la Francogallia – François Hotman – Ginevra, 1573 – il Du droit des magistrats sur leurs sujets – Théodore de Bèze, 1574 – e, soprattutto, il Vindiciae contra tyrannos, steso in latino da un anonimo ugonotto che si firma Junius Brutus – probabilmente il giurista Philippe de Mornay, 1579 – con chiara allusione al tirannicida Bruto. Quando Enrico di Navarra divenne pretendente al trono di Francia, furono peraltro i teorici cattolici a utilizzare le tesi dei monarcomachi ugonotti contro la possibilità di essere governati da un re “empio”, rivendicando il diritto di resistenza contro un sovrano non cattolico.
I calvinisti furono i primi a fondere temi religiosi con una tesi contrattualistica finalizzata a limitare il potere de re. Secondo le tesi monarcomache, il detentore originario del potere (derivante da Dio) è infatti il popolo che, per soddisfare le proprie necessità, lo conferisce temporaneamente al re, conservando il diritto di revocarlo qualora il monarca, contravvenendo alle clausole pattizie, si comporti come un tiranno.
Il diritto di resistenza viene esplicitamente teorizzato dal teologo ginevrino Théodore de Bèze, successore di Calvino alla guida della chiesa riformata della città svizzera, nel suo Du droit des magistrats sur leuer sujets, e da François Hotman in Francogallia. Nel 1579viene pubblicata a Basilea la più famosa pubblicazione ugonotta, il Vindiciae contra tyrannos, il cui anonimo autore fa esplicito riferimento al tirannicida Bruto.
Nel 1584, quando il protestante Henri de Navarre divene pretendente al trono di Francia, i monarcomachi moderano la loro polemica per non ostacolare il disegno del loro principe. I loro argomenti sono così ripresi e utilizzati da alcuni autori cattolici contro il futuro re ugonotto, come il De iusta Henrici tertii abdicatione (1589) di Jean Boucher o il De justa reipublicae in reges impios authoritate, attribuita al vescovo Guillaume Rose.
Nel Vindiciae contra tyrannos, la teorizzazione del diritto di resistenza e del tirannicidio approda a una concezione che fonda sul consenso popolare – e non più nell’astratto perseguimento del bene generale difeso in epoca medievale da Tommaso d’Aquino – il potere sovrano.
Leggiamo, all’inizio del Libro dei Re, di un duplice patto: il primo tra Dio e il Re e il Popolo, affinché il Popolo fosse un Popolo di Dio; il secondo tra il Re e il Popolo per garantire una perfetta obbedienza al Re che comanda rettamente […]
I titoli del [primo] patto, in compendio, erano questi: che, sia lo stesso Re, come tutto il Popolo, dovevano singolarmente adorare e collettivamente far adorare Dio, secondo le prescrizioni della loro legge […]. E’ quindi evidente che i Re sono legati con giuramento alla legge di Dio, come vassalli nei confronti del Sommo Signore di tutte le cose. Se però, come abbiamo accennato, non rispettano l’impegno preso, se violano la legge, come ai vassalli viene tolto il feudo in caso di fellonia, così ad essi viene tolto il regno […].
Dato che i Re vengono eletti dal Popolo, ne segue necessariamente che l’intero popolo è superiore al Re. Per definizione, infatti, chi viene eletto da qualcuno è inferiore a quello, chi riceve da un altro l’autorità è a lui inferiore.
Di qui la formula pronunciata anticamente dai rappresentanti del popolo del Regno d’Aragona durante la consacrazione del re:
Nous qui vallons plus que vous, et qui pouvons plus que vous, vous élisons Roy à telles & telles conditions, et y en a un entre vous et nous, qui commande par dessus vous. [Noi che valiamo più di voi e che possiamo più di voi, vi eleggiamo re a queste e quest’altre condizioni e c’è uno tra voi e noi – Dio – che comanda sopra di voi].
Esercitazione
4. Illustra l’importanza della teologia luterana sul piano scolastico.
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