Secondo Karl Polanyi (da La sussistenza dell’uomo, Einaudi, Torino, 1983; che recepisce anche i risultati del precedente Economie primitive, arcaiche e moderne scritto con C.M. Arensberg e H.W. Pearson) le prime società complesse furono quelle che, rispetto al fatto economico, subentrarono allo schema della più semplice reciprocità, con la redistribuzione. La forma analitica è quella che oggi gli anglosassoni definiscono in geopolitica “hub & spoke”, mozzo e raggi, come nella ruota. Il rapporto mozzo-raggi nella ruota è funzionale, non gerarchico, l’uno serve all’altro nella composizione di una funzionalità superiore ( il ruotare della ruota).
Il “centro” da cui promanarono successivamente le élite, era all’inizio, forse, solo il luogo al centro della geometria della relazioni umane di tipo economico (nel senso di sussistenza) in cui affluiva l’eterogeneo e defluiva lo standard. Questo centro accumulatore e redistributore svolgeva all’inizio, forse, il solo ruolo rispetto alle qualità: prodotti dell’orto di una certa famiglia, agricolo-selvatici e raccolta di altre, agricoli intenzionali di altre ancora o di produzione collettiva, prodotti di caccia o di pesca e di allevamento prodotti da altri ancora. Ciò dice anche che una certa “divisione del lavoro” era un forma naturale del mettere assieme tante varietà famigliari in un unico sistema sociale, interamente stanziale. Tanta varietà era un valore collettivamente ma una monotonia, singolarmente, laddove cioè il produttore rimaneva l’unico consumatore in un circolo chiuso. Far affluire le varietà in un centro che poi le suddivideva proporzionatamente a tutti (in proporzione alla molteplicità varietale ed ai bisogni) era senz’altro il modo più semplice di organizzare la faccenda. Questo centro funzionale doveva inizialmente sfruttare o appoggiarsi alla posizione già centrale e comunitaria dello sciamano-sacerdote.
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