12 Gennaio, 2014
by gabriella
In questo testo del 2006 [ripubblicato in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 4-21] Agamben riflette sul significato del dispositivo e della soggettivazione nelle società disciplinari, concludendo con un’analisi della problematica resistenza ai dispositivi capitalistici contemporanei – poiché legati a processi di desoggettivazione – e alla possibilità di una loro «profanazione».
1. Le questioni terminologiche sono importanti in filosofia. Come ha detto una volta un filosofo per il quale ho il piú grande rispetto, la terminologia è il momento poetico del pensiero. Ciò non significa che i filosofi debbano ogni volta necessariamente definire i loro termini tecnici. Platone non ha mai definito il piú importante dei suoi termini: idea. Altri invece, come Spinoza e Leibniz, preferiscono definire more geometrico la loro terminologia.
L’ipotesi che intendo proporvi è che la parola “dispositivo” sia un termine tecnico decisivo nella strategia del pensiero di Foucault. Egli lo usa spesso soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, quando comincia a occuparsi di quello che chiamava la “governamentalità” o il “governo degli uomini”. Benché non ne dia mai una vera e propria definizione, egli si avvicina a qualcosa come una definizione in un’intervista del 1977:
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12 Gennaio, 2014
by gabriella
Con la direttiva 17.12.2012 sui Bisogni Educativi Speciali, il MIUR ha richiamato l’attenzione su quella parte rilevante del disagio scolastico non legata a deficit cognitivo o a disturbi d’apprendimento (DSA) certificati. Gli studenti con bisogni educativi speciali sono, infatti, bambini e ragazzi, in condizioni di difficoltà (linguistica, psicologica o sociale) non includibili nelle prime due voci.
Un documento dell’Università di Bologna, evidenzia gli anacronismi (l’Unesco ha raccomandato già dal 2000 di sostituire l’espressione Bisogni Educativi Speciali con Educazione per tutti e non si tratta di un problema nominalistico), le arretratezze (il paradigma biomedico a cui i BES fanno riferimento attribuisce tutte le difficoltà d’apprendimento all’individuo, mentre il modello relazionale o “comunicativo”, decisamente più aggiornato, le interpreta come il prodotto dell’interazione tra l’individuo e il suo contesto), ed infine l’ipocrisia di una direttiva che invita la scuola a farsi carico della complessità educativa e sociale, senza specifico supporto economico, organizzativo, formativo: non sono infatti previste risorse per gli strumenti didattici, il numero di alunni per classe resta di 27/35, né si prevede l’assegnazione di insegnanti di sostegno o di formazione per gli insegnanti.
In questo contesto, la direttiva 2012 sui BES può ben essere definita, come osserva Ivana Prete nell’ultimo intervento, come uno strumento che «vela di inclusione una politica che giustifica l’esclusione» per quanto, paradossalmente, in quel teatro dell’assurdo che è ormai la scuola, capita persino di doverlo difendere.
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