U. Galimberti, La pazzia secondo Foucault

by gabriella

Che rapporto c’è tra la psichiatria e la follia? A sentire Foucault un rapporto perverso, essendo la psichiatria una scienza nata non per curare la follia, ma per mettere la società al riparo dalla follia, segregandola un tempo nei manicomi e oggi nel chiuso dei corpi sedati dalle pillole. Non era questo l’intento di Pinel che nel 1793 inaugurò a Parigi il primo manicomio, liberando i folli dalle prigioni, in base al principio che il folle non può essere equiparato al delinquente. Con questo atto di nascita la psichiatria si presenta come scienza della liberazione dell’ uomo. Ma fu un attimo, perché il folle, liberato dalle prigioni, fu subito rinchiuso in un’altra prigione che si chiamerà manicomio. Da quel giorno incomincerà il calvario del folle e la fortuna della psichiatria. Se infatti passiamo in rassegna la storia della psichiatria vediamo emergere i nomi dei grandi psichiatri, mentre dei folli esistono solo etichette: isteria, astenia, mania, depressione, schizofrenia. La storia della psichiatria, scrive Foucault, è storia degli psichiatri, non storia della follia. E poi la follia è davvero una malattia o non piuttosto una delle tante forme della condizione umana? Probabilmente la follia esiste ed è presente in noi come la ragione, e una società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece la nostra società incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la “follia” in “malattia” allo scopo di trasformare l’irrazionale in razionale. Infatti, come ci ricorda Basaglia, quando un folle entra in ospedale o in terapia cessa di essere “folle” per trasformarsi in “malato”. Diventa razionale in quanto malato. Ma la depressione, la mania, la schizofrenia sono davvero malattie come l’ulcera, l’epatite virale, il cancro? O il modo di essere schizofrenico è così diverso da individuo a individuo e così dipendente dalla storia personale di ciascuno da non consentire di rubricare storie e sintomi così diversi sotto un’unica denominazione? L’ansia di accreditarsi come scienza sul modello della medicina ha fatto sì che la psichiatria trascurasse, senza curarsene, la “soggettività” dei folli, i quali furono tutti “oggettivati” di fronte a quell’ unica soggettività salvaguardata che è quella del medico e del suo sapere. Quello che per un Greco antico era un “invasato dal dio”, per un medioevale un “posseduto dal demonio”, per la scienza psichiatrica è un “malato”. Come da noi Basaglia, anche Foucault in Francia, perorava la causa della chiusura dei manicomi, ben sapendo che non bastava per porre fine alle vite bruciate tra le sue mura, silenzioso olocausto consumato nel nome della scienza, per ottenere dalla società una rivisitazione dei suoi rapporti con le figure della follia e, più in generale, del disagio. A ciò si deve aggiungere che la scienza oggi si è fatta più esigente, più asettica, persino più pulita, anche se decisamente più invasiva di quanto non fosse l’istituzione manicomiale. Oggi a essere minacciata è la società come istituzione totale, dove troppi individui, nel tentativo di gestire al meglio i propri umori, preferiscono, alla relazione sociale, il ricorso quotidiano alle pillole, fino a trasformarsi in robot chimici sempre all’altezza delle loro prestazioni nel cupo silenzio delle loro anime. Gli scritti di Foucault, raccolti in Follia e psichiatria, sono stati composti tra il 1957 e il 1984, anni in cui la difesa dei diversi, dei folli, dei soggetti più deboli, era un’ atmosfera diffusa, come non sembra sia oggi nella nostra cultura che si sta rivelando sempre più sensibile a rapporti di forza che a rapporti di sostegno. Che sia questa la premessa per cui la follia, e la disperazione che sempre l’ accompagna, trovano un terreno favorevole per dilagare?

01 luglio 2006 —   pagina 39   sezione: ALMANACCO DEI LIBRI

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