57 anni fa, la polizia sparava sulla folla riunita per una manifestazione antifascista, uccidendo 5 operai tra i diciannove e i quarant’anni. I manifestanti protestavano contro l’appoggio esterno del MSI (partito di esplicita ispirazione fascista) al governo democristiano guidato da Fernando Tambroni. Le foto d’archivio. Mimmo Franzinelli racconta la storia dell’eccidio su Wikiradio.
La sera del 6 luglio la CGIL reggiana proclamò lo sciopero cittadino di protesta contro le violenze dei giorni precedenti. La prefettura proibì gli assembramenti nei luoghi pubblici e concesse unicamente i 600 posti della Sala Verdi per lo svolgimento del comizio.
L’indomani il corteo di protesta era composto da circa 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta.
Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti, al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico, investì la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercarono rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli dei bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell’ordine impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare.
Sul selciato della piazza caddero Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino. Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti. Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli. Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli. Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi, era commissario politico nel distaccamento “G. Amendola”.
Furono sparati 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola e una guardia di PS dichiarò di aver perduto 7 colpi di pistola.
Sedici furono i feriti “ufficiali”, ovvero quelli portati in ospedale perché ritenuti in pericolo di vita, ma molti altri preferirono curarsi “clandestinamente”, allo scopo di non farsi identificare.
I fatti furono narrati in una celebre canzone di Fausto Amodei, dal titolo Per i morti di Reggio Emilia e, più recentemente, nel romanzo di Paolo Nori del 2006 Noi la farem vendetta e nella canzone del gruppo reggiano degli Offlaga Disco Pax Piccola Storia Ultras (2012). Tratto dalla voce Strage di Reggio Emilia di Wikipedia.
La sequenza dell’eccidio nella documentazione fotografica conservata nell’Archivio di storia patria di Reggio Emilia, resa pubblica solo nel 2000.

Un agente di polizia si inginocchia, prende la mira e spara su uno dei manifestanti fermo in mezzo ai giardini: è Afro Tondelli, ex partigiano
6 Agosto 2014 at 19:59
In passato spesso, insieme ad altri, cantavamo Per i morti di Reggio Emilia: sulle prime non conoscevo questa canzone, ma nonostante questo mi veniva la pelle d’oca e non sapevo perché e sulle loro facce degli altri, compagne e compagni,vedevo un fremito di voci diventare un coro vasto di una sola voce. E qualche tempo fa lessi il libro di P Nori Noi la farem vendetta. In giro però c”è disgregazione e quelli che ancora lottano sono isolati e abbandonati a loro stessi. La frantumazione e la debolezza della classe operaia in quanto proletariato è uno dei motivi di tante sconfitte, ma è anche bene ricordare che bisogna contare sulle proprie forze. Ciò potrebbe essere un momento, come si diceva una volta, di presa di coscienza. Se volessimo usare metafore marinara e calcistica, in fatto di squadra, la nostra imbarca acqua da tutte le parti e ha una difesa colabrodo. Bisogna ricorrere alla nuova cantieristica marinara e acquistare dei grandi giocatori dagli ingaggi spropositati che la squadra non può assolutamente permettersi. Allora, Che fare? Si cresce e si è appartenenti alla squadra(la classe non è acqua o molto probabilmente è una classe liquida che si fa scivolare le cose e la vita addosso attratta dalle luci della pubblicità del consumismo?)di classe attraverso la lotta. Sembra da molti segnali che ad una classe politica incapace, collusa e corrotta, corrisponda una classe operaia, o ciò che ne rimane, e l’intero proletariato altrettanto corrotti. Non smettere di cantare, e leggere: leggere sia i libri sia la realtà e le nostre vite individuali nel contesto odierno. L’elenco non finisce qui, anzi. Un buono esempio di memoria e lucidità è proprio il presente blog.
6 Agosto 2014 at 21:18
E’ un problema serio quello che ti poni nei tuoi ultimi messaggi e non ho ancora mai provato a darti una risposta. Da tempo si parla, nel mondo occidentale, di postfordismo e crisi della grande fabbrica che avrebbe (o ha) spazzato via anche la soggettività che produceva (quella operaia, appunto). Il lavoro da noi è cambiato, gli operai sono meno numerosi e più ricattabili, sono meno stabili e meno specializzati, mentre le altre forme di lavoro sono portatrici di un’altra identità. Non è chiaro se l’età industriale sia ancora in corso nel sud del mondo e di quali eventi sarà portatrice. Certo è che in questa parte del mondo sarebbe necessaria una enorme elaborazione del passato, oltre che del presente, da parte di chi è ancora alla ricerca di un’altra forma di esistenza e di un altro rapporto col pianeta. Non la si vede ancora con la necessaria energia.
4 Giugno 2015 at 09:42
La Polizia ne parla così:
http://www.polizianellastoria.it/forum/index.php?topic=75.0
4 Giugno 2015 at 15:53
L’ufficio stampa della polizia offre la visione insider, corredata di cornice storica e imbarazzo istituzionale: era il 1960, a quindici anni dalla liberazione, la polizia sparava sui manifestanti antifascisti disarmati.
10 Luglio 2015 at 00:25
L’Italia è sempre stata un paese dalle solide tradizioni democratiche, che si rispecchiano appieno nella degna polizia che si ritrova…
“..a quindici anni dalla liberazione, la polizia sparava sui manifestanti antifascisti disarmati..”
E 15 anni sono trascorsi dall’ultima volta che qualcuno di questi forzosi dell’ordine pubblico ha perso qualche colpo di pistola in piazza. Col tempo si sono fatti più furbi: ci sono sempre le camere di sicurezza lontano da occhi indiscreti.
10 Luglio 2015 at 06:26
o le pratiche tradizionali davanti a una stampa embedded.