Gabriele Boselli, La povertà degli INVALSI geometrico demonstrata

by gabriella

Da tempo non leggevo un articolo così bello sulla scuola. Lo legga chi si chiede a cosa serve la vetusta istituzione e a cosa (cioè CHI) dovrà servire in futuro, a cosa servono i test Invalsi e perchè l’OCSE ha deciso che dobbiamo somministrarli.

Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora
Rielaborazione di omonima pubblicazione dell’Autore uscita nel n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia (Bononia University Press, Bologna) intorno a una possibile valutazione “di sistema” scientificamente attendibile e condivisibile dalle scuole

di Gabriele Boselli
consigliere CNPI

I paragrafi 13 e 14 della famosa “lettera dell’Europa” al governo italiano (scritta –pare- su bozza del destinatario di allora)  pongono in ulteriore evidenza il problema della valutazione. Sulla stampa scientifica e professionale e sui siti il tema è assai dibattuto  ma forse poco approfondito a livello epistemologico. Nel contempo, sempre più spesso vengono diffuse dai media sintesi assai negative sul valore della scuola italiana, derivate da ricerche che tengono conto solo degli aspetti più facilmente valutabili del rendimento scolastico, quelli esecutivi, automatici o in cui comunque la capacità di pensiero critico e creativo,  in un’ottica di visione seriale e pseudo-oggettiva dei processi educativi, non ha spazio. Una lettura attenta dei testi originari di simili importanti (che hanno una grossa portata nell’orientamento dell’ opinione pubblica) ricerche di sistema mostra poi una rappresentazione dei fenomeni più complessa ma pochi leggono le ricerche in originale e il danno d’immagine è comunque compiuto.

1. Sostenere la richiesta di valutazione, ma opporre alla prassi mediatica e al “pensiero amministrante”  ufficiale il rigore epistemologico

L’essenziale –è nota la frase di A. De Saint Exupery- “è invisibile agli occhi”. Ma il sistema vive esclusivamente nel visibile e nel tassonomizzabile e ne richiede imperiosamente un qualche simulacro. E’ dunque vero –la retorica politica lo impone- che qualcosa in materia di valutazione occorre fare: ma è necessario che sia fatto disinteressatamente, onestamente, scientificamente Soprattutto scientificamente, tenendo conto della complessità del tema e dell’ipercomplessità dell’epoca, non rinchiudendosi nei confini rituali di quello che Heidegger avrebbe forse additato come pensiero calcolante o amministrante (1)..
La ricerca pedagogica italiana prevalente in materia mi appare bloccata da una quarantina di anni sui lavori di M. Gattullo e B.Vertecchi; il primo, purtroppo, è morto da quindici anni e forse –data la sua matrice bertiniana- avrebbe cambiato idea; il secondo è vivo ma non ha proceduto oltre e i suoi allievi dominano il campo docimologico con i loro dogmatismi. Sarebbe ora di ripartire: l’istanza di scientificità (vedi anche di quegli anni i lavori di De Bartolomeis e della Becchi) potrebbe trovare ora risposte in modelli epistemologici diversi da un galileismo fuori tempo e fuori campo.
La ricerca mondiale sulle scienze dell’educazione ha recepito la lezione husserliana della Crisi delle scienze europee. Studi importanti sono ad esempio condotti nell’ambito del Wordl Phenomenolgy Institute di Vancouver diretto da A.T.Tymieniecka; in Italia dal gruppo di Encyclopaideia di Bologna (M.Tarozzi e M.Artoni), dal Centro di fenomenologia e scienze della vita di Macerata  (F.Totaro e D.Verducci), dal Centro italiano di ricerche fenomenologiche di Roma (A.Ales Bello).

(1)    Lo scenario di sociologia della cultura in cui il problema va considerato può essere quello disegnato da Saskia Sassen in un testo del 2006 che una volta sarebbe stato chiamato “fondamentale”: Territorio, autorità, diritti, ora presso Bruno Mondadori, 2008.
La globalizzazione dell’economia indebolisce le tradizioni culturali ed esige in ogni luogo del mondo una uniformità, informaticamente amministrabile, di processi valutativi che costituiscano il vero “programma ineludibile” delle strutture scolastiche. Vengono indebolite e denazionalizzate le teleologie su base filosofica e le prassi valutative intese come tradizioni di atti ermeneutici si perdono nell’embricazione asimmetrica con modelli resi forti (per il potere che li impone) di teaching for testing.

Questo comporta per noi fenomenologi il dover assumere una posizione teoretica di contrasto alla macchina dei test “oggettivi”. Stimolati anche dal vedere che stanno arrivando nelle professioni e nella scuola gli studenti a suo tempo selezionati per l’accesso alle facoltà con questa pratica: bravi quando si tratta di compilare stampati o di esercitare pensiero conforme e replicante ma di rado brillanti in tutte quelle attività in cui occorre capacità critica, attenzione a tutto campo, fantasia, inventiva. Operatori selezionati con metodologie oggettivistiche opereranno allo stesso modo perfezionando il ciclo. E dirigenti scolastici e ispettori “convergenti”, selezionati prevalentemente su test, restringeranno l’orizzonte di senso della scuola allineandolo e conformandolo all’attualità del sistema globalizzato. Posizione vincente nella cronaca ma perdente nella storia poichè l’Europa e l’Italia in particolare possono invece puntare solo sull’innovazione e la creatività per avere un buon futuro.
Le ricerche accennate, come tutte quelle di derivazione IEA, sono comunque da prendere in considerazione in quanto indicative dei loro presumibili effetti nel condizionamento dell’opinione; occorre d’altra parte  esservi attenti in quanto sono spesso ricche anche di dati utili a valutare quella parte delle attività scolastiche in cui viene posto in atto il pensiero convergente e immediatamente operativo.

Dal nostro punto di vista una valutazione “oggettiva” delle scuole e di chi vi lavora che pretendesse di avere valore complessivo appare implausibile (Bertolini, “Una valutazione possibile”, La Nuova Italia, 1999). Se la valutazione del personale scolastico e delle scuole non ha adeguata struttura epistemologica, se la committenza non è interessata alla verità ma alla produzione di materiale per argomentazioni persuasive, la valutazione diviene uno strumento di pura gestione del potere: se sei una scuola, ti valuto  per l’efficacia della rappresentazione che –a suon di test e di slides– sai rendere credibile nel pubblico; se sei un insegnante o un dirigente ti valuto non per quel che sai e sai fare ma per il lustro che deriva dalla tua presenza e per l’obbedienza che mi presti. Se persegui valori diversi da quelli che mi sono utili non considero i dati che li riguardano.
Continuando il lavoro di “Una valutazione possibile” (cit.), credo occorra proseguire con rinnovata lena nella costruzione secondo il metodo fenomenologico di una teoria della valutazione generativa di pratiche rigorose di ricerca.
Il tentativo ha anche rilevanza politica: se non vi è un modello di valutazione scientificamente fondato (oltre che generalmente rispettato, se non condiviso, dalla comunità degli studiosi e dei docenti) valutare diviene altrimenti un’arma contro la libertà d’insegnamento e la libertà di pensiero e di espressione.  Una retorica di sostegno, dunque e le valutazioni saranno non atti scientifici ma pratiche di affermazione del Potere.
Il tentativo può essere allora quello di elaborare scenari ed elementi progettuali per una teoria della valutazione che consenta di produrre non fatti politici (ricerche da cui trarre plausibilmente documenti da portare sui media a suffragio di interessi) ma atti veritativi. Cercheremo di indicare esplicitamente i principi del metodo d’indagine e i processi configurativi, induttivi e deduttivi di costruzione teoretica e attuazione pratica. Per mettere il tutto a disposizione di chi proverà a valutare insegnanti, dirigenti e scuole o di chi sentirà il bisogno di strumenti per difendersi da valutazioni fondate su modelli di scientificità e pratiche percepiti da chi lavora nelle scuole come alieni o aventi scopi meramente propagandistici (2).

(2) Anche il discorso che si va sempre più affermando sui grandi media in ordine alla “premiazione del merito” è in questo senso assai scivoloso: funzionale al potere in quanto incrina quel poco che resta dello spirito di corpo, consegnando isolati i singoli docenti nelle mani del valutatore. La prassi “meritocratica” impedirà a docenti e dirigenti  –messi in concorrenza/conflitto tra loro- di portare attenzione alle condizioni generali in cui la scuola è stata costretta.  Li disincentiverà da quell’impegno sui grandi temi filosofici e politici che potrebbe contrastare lo spaccio dell’ ideologia prevalente.

2. Il potenziale “pericoloso” della ricerca fenomenologica

La valutazione delle scuole e di chi vi lavora su matrice sistemica e globalizzata uniforma a una razionalità “post-imperiale” la preziosa pluralità delle culture tradizionali e potrebbe indebolire gravemente le capacità di pensiero critico. La fenomenologia invece nasce -con Cartesio prima ancora di Kant e Husserl (Husserl, Meditazioni cartesiane)- come dottrina di critica delle manifestazioni, del modo in cui la realtà viene proposta come evidente verità consegnandola di fatto come oggetto in mano ai suoi celebranti (i chierici) per imporla ai destinatari (i laici). Avversa allo scetticismo (il disperare sulla possibilità di perseguire il vero) inizia tuttavia (ma non si ferma) con il dubbio radicale, con il sospetto. Come ogni teoria critica, la fenomenologia si libera il più possibile dalle preesistenti pratiche configurative di masse di dati; non per respingere questi ultimi o rinunciare a cercarne altri ma per scomporli, decostruirne le strutture, ricomporli alla luce di principi diversi e intersoggettivamente accreditati di analisi e di riconfigurazione. Non mira a verità presentabili come ipostatiche, incontrovertibili (quelle introdotte da proposizioni come “questo è il dato”,” è chiaro che”, “bisogna riconoscere….” o “bisogna prender atto che”, “è oggettivo che” etc.), ma a manifestare nel caso nostro rappresentazioni della realtà delle scuole nell’intimo quanto dichiarato  convincimento che questa non è accessibile in sè e per sè  ma si possono costruire plausibili narrazioni di valore del suo manifestarsi alla comunità dei ricercatori, degli insegnanti, degli studenti, dei genitori, del pubblico. Che detiene un “diritto al confronto con la realtà” quotidianamente negato dal sistema informativo globale.
Si protrà allora indagare sui limiti dell’oggettività, sul come fare emergere il valore delle produzioni dei soggetti e delle relazioni intersoggettuali, sulle possibilità di un valutare ordinato su costellazioni assiologiche e non su valute (standards riconosciuti di allineamento).

3- Princìpi di un possibile risorgimento assiologico

3.1  Singolarità del volgersi e sviluppi nell’intersoggettualità

Valutare la scuola e chi vi lavora (si faccia parte o no del campo valutato) significa, prima che altro, volgersi (volgere sé ..) a ciò che appare, altro dall’io/noi ma da noi stessi rappresentato. E’ atto costitutivamente espressivo del soggetto valutante, pur se in-teso ad altro. Niente di ciò che (senza trucchi) appare è mera parvenza; niente di ciò che appare è pura verità. Sempre si attua come rappresentazione di un soggetto (individuale, societario o istituzionale) costituito intorno a un oggetto, o meglio a un argomento. Meglio scrivere “argomento” perchè solo questo, in quanto ha luogo nel discorso, può essere investigato; non l’oggetto in sé e per sé che è e rimarrà sempre altro, anche quando l’altro siamo noi stessi.

3.2  Inobiettivabilità delle risultanze

Qualità e quantità del lavoro si possono rappresentare attraverso un processo dialogante e dialettico, ma inobiettivabile senza tradimento dell’oggetto e dello stesso soggetto, di proiezione all’esterno, di confronto tra vari punti di vista. Inobiettivabile nel senso che l’oggetto in sé muta di continuo, oppone alla stabilità degli strumenti ricognitivi la fluidità del suo offrirsi in forme sempre nuove; non è coglibile per ciò che è ma per il suo essere-nel-campo, in un contesto in cui il gioco dei valori è innestato nell’insieme vivente degli attori e dei valutatori. L’oggetto è essenzialmente una produzione della soggettualità degli attori, oltre che, come abbiamo scritto, in qualche misura un “precipitato” dei loro interessi.

3.3  Serialità dei processi, prevedibilità  dei risultati

In ogni campo, i risultati di una ricerca sono spesso (a volte in gran parte) il prodotto dei presupposti metodologici e dei modelli quanti/qualitativi espliciti e impliciti. Le impostazioni della ricerca determinano gli esiti. Quel che in una piccola ricerca è una frequente eventualità, in una ricerca che richieda grossi finanziamenti e apparati stabili (es. PISA, INVALSI) occorre che i risultati siano, se non utili, almeno compatibili con il sistema. E gli interessi deontologicamente mal controllati uccidono la verità del valore (autenticità e autorevolezza dell’attribuzione del valore), se mai questa esista.

3.4 Nella scuola ci sono solo soggetti, ma possono essere reificati

Si tratta dunque, a mio avviso, di costruire una valutazione non appiattita sugli stereotipi di ricognizione/interpretazione degli eventi che possono conseguire alla seriabilità delle procedure di ricerca, delle pratiche di elaborazione, di pubblicizzazione (3). Nel caso nostro si tratta di porsi in opera con il particolare profilo che questa ricerca può assumere essendo fenomenologia in atto, atto (non fatto, ovvero evento determinato da strutture precostituite) di una scienza speciale e non specialistica, per storia, campo, concetto di metodo.
Nella scuola questo significa anche far assumere ai valutati un ruolo attivo nel disegno dei  processi e nei metodi di valutazione. Secondo un valutazione fenomenologicamente impostata, entro l’area delle scienze dell’uomo, non ci sono oggetti, solo soggetti. E l’intersoggettività esclude approcci oggettivistici come di soggettivismo chiuso, concilia i termini dell’atto valutativo.

3.5  Atti di fenomenologia del vivente

Se le grandi e costose ricerche di sistema sono investimenti finalizzati della committenza publica e privata (sappiamo che ormai la differenza è minima, data l’ampia privatizzazione sostanziale del pubblico v. Sassen 2006/8) anche le ricerche libere non possono pretendere di essere meri rispecchiamenti di valori intrinseci all’oggetto. Per quanto seriamente si lavori, valutare è errare, sia nel senso di percorrere sentieri che spesso non portano da nessuna parte, sia nel senso di sbagliare: nemmeno una libera comunità di ricercatori senza padrone o committente (un padrone a tempo determinato) può pensare di giungere al vero, di valutare non quel che le appare, ma ciò che è.  Sta comunque entro un orizzonte di valori, una rete di aspettative che fan sì che niente sia meno evidente dell’evidenza e che l’evidenza sia solo quella visibile dalla propria finestra.
Anche la ricerca più onesta –se ha dignità e diritto di essere orgogliosa- deve conservare umiltà: non considererà mai i suoi risultati universali e necessari, tantomeno “oggettivi”. Potrà mirare a risultanze dichiaratamente relative e plausibili, almeno in potenza intersoggettualmente accettabili. L’interpretazione fenomenologica del mondo degli eventi non è -scriveva Piero Bertolini- oggettivistica né ingenuanente soggettivistica, ma ‘relazionistica’, relativizzante senza essere relativistica (nel senso che non rinuncia ad mettere in opera scale di valore. Comprendere è anche sapere di essere com-presi.

4. Sui rituali di raccolta dati

Consapevole della mondanità del suo accadere, il valutare fenomenologicamente orientato rispetta (con agilità) la deontologia ufficiale e le regole del gioco della comunità scientifica anche se stabilite secondo altri approcci teorici e sostenute da interessi differenti e diversi. Ma ove eticamente necessario e legalmente corretto le elude. Una di queste regole “mondane” prescrive ad esempio che si lavori a raccogliere grandi masse di dati, impressionanti volumi di informazioni “neutre”. Questo va fatto ma criticamente, tenendo conto di curvature che mi paiono ovvie, seppur disconosciute dalla teoria prevalente:
a) individuare i dati da ricercare e selezionare quelli da prendere in considerazione significa aver scritto buona parte delle conclusioni;
b) l’aumento della massa di dati accresce simmetricamente la loro utilizzabilità per le conclusioni più disparate; nelle grandi ricerche di sistema i dati vengono solitamente raccolti sino a che raggiungono una vettrice di risposta accettabile per la committenza;
e) maggiori sono i mezzi e il “peso” della raccolta, più la ricerca apparirà “scientifica” e  convincente;
c) uguali regole di trattamento di solito confermano i risultati già acquisiti (per questo a volte le conclusioni che ne risultano sono analoghe e le generalizzazioni ripetibili); regole diverse anche su una stessa base di dati producono risultati diversi.

5. Innovare le regole è rinnovare la valutazione e i suoi esiti

Per ciò nella prospettiva fenomenologica delineata si pensa e da subito si opera anche secondo regole innovative. La valutazione degli insegnanti e delle scuole potrà essere atto di una scienza
-non mortificante, non amministrativa del dato secondo regole globali consolidate e standardizzate in cui l’omaggiato oggetto di fatto scompare; sarà una ricerca pensante il vivente, l’esistente concreto;
-avrà come meta la valutazione dell’esperienza (di ciò per cui si è passati attraverso, non la massa di conferma dei giudizi/pregiudizi );
-non tenderà ad affermare che quel che si vede è ed è assolutamente reale e tutto finisce nel constatare;
– sarà una valutazione narrativa, consapevole delle propria storicità, concreta;
-si sforzerà di essere pratica, “utile” non solo alla committenza ma anche agli attori del servizio scolastico, in particolare agli alunni;
– non avrà come suo scopo principale lo stilar classifiche, l’archiviare e il giudizioso amministrare eventi, ma conoscere una regione del mondo della vita sociale e aiutare chi vi si avventura.
Peraltro la scienza in opera non dovrebbe essere più insieme di atti di appropriazione o di induzione di dipendenze dal proprio potere; non dovrebbe cercar di porre ciò che si vede come ciò che sta sopra la mutevole intelligenza umana del fluire dei fenomeni e delle loro rappresentazioni codificate. Niente sta; niente è più sopra, tutto è dentro il flusso e noi pure.

L’approccio fenomenologico non sarà mera applicazione dei codici di ricerca ordinari ma -ribadisco- fenomenologia in atto, addensamento di esperienza pura che si costituisce in scienza attraverso l’epochizzazione, la sospensione del giudizio, la riduzione e altre pratiche metodologiche singolari.
Epochizzazione-_Mettere tra parentesi (non: ignorare, rimuovere, cancellare) ogni pre-giudizio sull’ oggetto osservato e sul contesto di ricerca, ogni sistema compiuto e, fin dove possibile date le circostanze operative, ogni convenzione. Dirigerci con il più leggero dei fardelli, alleggerito di ogni struttura precostituita, verso la qualità (il “qual essere”) e l’attualità di ciò che è nella direzione del nostro (che sia proprio nostro) guardare.
Riduzione fenomenologica– Alla messa in parentesi dovrebbe conseguire la possibilità di un’esperienza pura, di puri atti di conoscenza. Attingere al mondo della vita con un minimo di rappresentazioni a un’esistenza non coperta da teorie implicite sull’esistenza e sulla pratica professionale, a valori emergenti non dalle modalità della ricerca ma, almeno in parte, da ciò verso cui siamo intenzionalmente volti.
Momenti. Cercherà di essere atto scientifico in quanto attività intellettuale (ma non intellettualistica) che parte dall’attività pratica e vi approda, seguendo una prassi di scienza come:
immersione nell’esperienza – il racconto è autentico se il narratore non è un corpo estraneo, ha davvero con-vissuto l’esperienza di cui tratta e non si è limitato a far compilare dei questionari; è onesto se aperto a riferire tutto quel che gli risulta;
distanziamento: il semplice aver vissuto non significa aver colto il valore del vissuto, distanziarsi non significa indossare il camice dell’osservatore asettico, come si trattasse di valutare dei semplici reperti biologici ma decentrarsi, connettersi con più ampi mondi vitali e istituzionali;
concettualizzazione degli approcci e nelle metodologie elaborative singolari: per permettere la comunicazione forme e metodi devono essere oltre che reinventati, riconcettualizzati ovvero teoreticamente rifondati e chiaramente esplicitati; vi devono essere forme relativamente stabili di connessione dei fenomeni osservati ad altri;
discussione allargata in ogni fase, con ritorni regolari nell’esperienza;
revisione teoretica, ripartenze frequenti verso mete non prepensate, gratuitamente individuate e perseguite.
Una valutazione fenomenologica delle scuole e dei docenti saprà offrire conforto (abbiamo bisogno di pensare a un qualche tipo di fondazione, a dei presupposti della ragion valutante, per quanto universalmente indimostrabili) e far procedere a generalizzazioni, sorprendere precarie ma illuminanti regolarità nel mondo dei fenomeni, nel complesso del loro apparire.

6. La curvatura fenomenologica

La docimologia prevalente, centrata sulle esigenze della committenza, tende a classificare, cioè a ordinare/archiviare secondo criteri che rispondono direttamente o indirettamente alle esigenze del gruppo di ricerca nel suo rapporto con la committenza. E’ strumento partigiano. Il termine intenzionale è mero oggetto, non ha gravità, non influisce sulle forme della ricerca e questa procede linearmente, indifferente a ciò di cui tratta. Linearità di riduzione delle irregolarità del mondo alla retta che intercorre fra l’interesse del committente e l’immagine a priori che gli serve, attraversando campi di valutazione avvertiti come estranei.
Invece, la protensione verso l’oggetto costitutiva del procedere fenomenologico non è allineante e troverà attuazione nella particolarità della curvatura fenomenologica (flessione/torsione dell’immagine inerente sia alla sua base “reale” che all’ampiezza e alla velocità dei suoi mutamenti/spostamenti entro il campo totale), indotta dal campo e dal termine dell’argomento.  Fare fenomenologia è anche qui condurre una indagine sulle strutture mobili produttive delle manifestazioni del reale che ci interpellano, non lasciandoci indifferenti come se osservassimo strutture geologiche.  La scienza prende sempre parte alle dinamiche mondane, deve solo avere l’onestà di non dissimularlo.
Potrà così essere configurazione trasparentemente pro-duttiva di eventi: ogni valutazione fonda la progettazione successiva). Sarà pensiero in atto che non si fabbrica e non si replica ma che si prova (individualmente) e si costruisce continuamente (si edifica insieme, come ogni scienza) nel silenzio e nel rumore dei mondi vitali, tra le cose date, le pratiche di ricerca obbligate e le vie nuove che si apriranno.
La pedagogia come scienza filosofica (nel caso nostro fenomenologica) è peraltro protesa all’impensato, all’imprevisto, allo scomodo, a quanto l’establishment economico e politico glocal, con le sue soffocanti reti di interesse- talvolta non è più in grado nemmeno di immaginare. La retorica del potere veicolata dalla ricerca docimologica ufficiale è lineare solo in riferimento a se stessa ma essenzialmente non ha rispetto di ciò che osserva; di fatto spesso copre, curva e altera.
La ricerca fenomenologica mette in crisi l’immagine propagandistica, la incrina come struttura rappresentativa dell’ esistente e con ciò apre al futuro, scopre e innova. Accetta e a sua volta induce a curvature (non torsionali), in modo autentico e trasparente. Atto puro, libero, atto di una scienza consapevolmente ed esplicitamente anche politica, può accogliere il nuovo, sostenerlo con la sua potenza euristica e trasformatrice proprio perché onestamente interessata (da inter-esse).

http://lavagna.wordpress.com/2012/01/09/per-una-valutazione-delle-scuole-e-di-chi-vi-lavora/

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