Gianni Marconato, Oltre la mitologia delle competenze

by gabriella

Tre interventi di Gianni Marconato sul(la vexata quaestio del) rapporto tra conoscenze e competenze e sulle condizioni didattiche per lo sviluppo e la valutazione delle competenze [Fonti: 1; 23].

Mi sono reso conto, e continuo ad averne conferma, che le competenze a scuola sono spesso vissute all’interno di una narrazione mitologica.

Il mito è una forma di narrazione antica fondata sul pensiero magico, che interpreta la realtà in base a credenze interiorizzate che non dimostrano nulla, perché la conoscenza non è dell’uomo ma proviene dalla divinità. Proprio per questo motivo, proprio perché non fondato sul pensiero razionale e sull’osservazione del fenomeno, il mito è un po’ la coltre di nubi che nasconde la vetta dell’Olimpo. E così sono anche le convinzioni di molti (non tutti) docenti in ordine alle competenze: mitologia tout court.

Proviamo, quindi, a far scendere tali credenze dal Monte Olimpo, avvolto nelle sue nubi, per restituirle a più appropriati significati.

Le competenze sono alternativamente vissute con atteggiamenti demonizzanti o con entusiasmo, atteggiamenti entrambi privi di fondamento logico. “Sono il male della scuola” o “rappresentano l’aziendalizzazione dell’istruzione”, o ancora “sono l’innovazione della scuola”, “devono rappresentare lo scopo dell’istruzione”.

In realtà, le competenze (mi riferisco alla loro declinazione in contesti scolastici) altro non sono se non la rappresentazione alta della comprensione di conoscenze (dichiarative, strutturali, procedurali, concettuali, esperienziali, etc.) e l’appropriazione integrata di abilità (cognitive, personali, sociali). Quindi, un passaggio evolutivo nel continuum dell’apprendimento scolastico.

Le competenze (in quanto costrutto) hanno a che fare con l’autonomia e la consapevolezza, con la capacità di sapersi situare e agire in contesti complessi.

E’ fondamentale perciò comprendere che le competenze non rappresentano obiettivi di serie A e le conoscenze di dominio, invece, obiettivi di serie B.

Non risulta, in tale prospettiva, necessario (perché insensato) che a scuola si lavori con accanimento per sviluppare competenze trascurando le discipline: solidi e significativi apprendimenti disciplinari sono imprescindibili per il conseguimento di competenze. La competenza potrebbe essere un fine, ma anche no, se non vi sono le condizioni.

Le competenze non si sviluppano “in automatico” e serve dedicare loro tempo e strategie appropriate.

A scuola non si può (e non si deve) lavorare solo per le competenze, anche perché l’attuale organizzazione curricolare e amministrativa non lo consente (un’impostazione integralmente concepita per competenze richiederebbe un ripensamento altrettanto integrale della struttura dei curricoli e dei loro contenuti epistemologici, e di conseguenza anche un’idea di cosa serva insegnare e apprendere nel XXI secolo: una vera rivoluzione dopo quella illuminista).

Nelle attuali condizioni credo che al lavoro per le competenze (da sviluppare e non solo da valutare) possa sensatamente essere destinata una parte circoscritta dell’anno scolastico perché, dal punto di vista delle competenze, devono essere sviluppate anche le “risorse” per le competenze, ivi compresi i processi cognitivi (mobilizzazione, riconoscimento, valutazione, contestualizzazione, utilizzo) che le rendono possibili.

In senso stretto la competenza è la dinamizzazione delle risorse. Se non ci sono le “risorse” non c’è niente da dinamizzare.

Un’ ultima doverosa riflessione (e riguarda il tema dell’aziendalizzazione della scuola, che è anche una mia preoccupazione): se un problema con le competenze c’è, esso riguarda non tanto la loro essenza quanto il loro contenuto: di quali competenze ci vogliamo occupare? Quelle che l’Europa ci chiede? Quelle che il mondo del lavoro ci chiede? Competenze per adattare le persone al mondo o competenze perché le persone costruiscano il mondo?

Secondo me dovremo riscrivere le competenze chiave di cittadinanza e l’insieme delle competenze che si possono sviluppare a scuola in un’ottica umanistica (Magari aggiornando il libro bianco di Delors e di Cresson).

PS. Tra gli extra delle competenze metterei la questione della disintegrazione e ricostruzione delle discipline qualora si voglia finalizzare tutta l’attività didattica allo sviluppo di competenze. Bisogna riparlarne se no ci impantana

 

Il flusso della conoscenza e le competenze

Ovvero: Teoria delle discipline Vs pratica delle discipline

Nel dibattito sulle competenze si manifesta spesso il fantasma della scomparsa delle conoscenze perché queste ultime sarebbero “sostituite” dalle competenze.

Ho più volte confutato questa affermazione (che rappresenta anche una paura per tanti insegnanti) sostenendo, con una semplificazione concettuale, che non esiste competenza senza conoscenza, che una competenza solida ha le proprie basi in un sistema ampio e significativo di conoscenze.

Un’altra preoccupazione vissuta da non pochi insegnanti su questo argomento è che lavorare per le competenze sia occuparsi di “altro” rispetto alle pratiche scolastiche consolidate.

Ho sempre confutato anche questa preoccupazione affermando che le pratiche didattiche  più consuete, mal che vada, portano a sviluppare alcune “risorse” importanti e necessarie a mettere in atto le competenze.

Adesso voglio spingermi un po’ oltre, cercando di disegnare un quadro organico che possa dare ragione del fatto che le competenze altro non sono che il naturale sviluppo di ciò che si fa da sempre a scuola e per questo intendo affermare che la competenza rappresenta un passaggio evolutivo nel flusso della conoscenza: rappresenta, cioè, una posizione avanzata nel continuum della conoscenza.

David Jonassen

A supporto di questo convincimento epistemologico utilizzo l’ “architettura della conoscenza umana” delineata da David Jonassen nel 2009 (Reconciling a Human Cognitive Architecture, (2009), in “Constructivist Instruction. Succes or Failure?”,  S. Tobias, T. M. Duffy eds) perché l’utilizzo delle differenti tipologie di conoscenza che rappresentano  il quadro della cognizione umana lì identificate mi consente di delineare una progressione nella qualità della conoscenza.

Passiamo, infatti, da un apprendimento meccanico caratterizzato da memorizzazione e ripetizione di conoscenza ad un apprendimento situato caratterizzato dall’uso contestualizzato di conoscenza, passando per l’apprendimento significativo caratterizzato da comprensione e costruzione di conoscenza.

 

 

Parlare di “continuum” significa affermare che ci muoviamo all’interno dello stesso universo di significati e di pratiche: significa, cioè, che i differenti elementi sono differenti stadi di sviluppo  e non entità differenti.

Ogni stadio ha una sua specificità definibile, per gli scopi di questa analisi, in termini di differenti risultati di apprendimento perseguibili, di differenti processi cognitivi mobilitati e di differenti strategie didattiche utilizzate.

Dal punto di vista dei risultati di apprendimento, si verifica il passaggio dall’appropriazione meccanica di oggetti astratti ed in isolamento alla costruzione di connessioni tra gli stessi, per approdare ad utilizzi situati in contesti sempre più complessi e aperti.

Dal punto di vista dei processi cognitivi, muovendoci lungo il continuum, abbiamo a che fare con processi di maggior complessità, di ordine superiore, che implicano un progressivo sviluppo cognitivo ed un crescendo di maturità cognitiva.

Dal punto di vista delle strategie didattiche ci si sposta da dispositivi che si focalizzano sulla trattazione  di contenuti e sulla loro appropriazione a dispositivi focalizzati sul soggetto che apprende.

 

Dall’Architettura della cognizione umana di Jonassen

 

Conoscenza dichiarativa

Conoscenza statica su fatti, concetti e principi (“knowing that” Ryle – 1949).

Dato che la conoscenza dichiarativa non è necessariamente applicata nell’esecuzione di un compito o di un’abilità, spesso diventa inerte (Whitehead, 1929). Questo succede perché le idee che si stanno apprendendo non vengono connesse con il mondo che ci circonda (Perkins, 1999).

Questo, spesso, è il tipo di conoscenza trattato nella nostra scuola.

Conoscenza procedurale

E’ la conoscenza necessaria all’esecuzione di un compito, conoscenza che può essere applicata direttamente ed è rappresentata da regole operative (Anderson 1996).

Conoscenza strutturale

Media la traduzione della conoscenza dichiarativa  in forme significative di conoscenza dichiarativa e altre forme di conoscenza (Jonassen et al. 1993). E’ la conoscenza di come sono correlati i concetti all’interno di un dominio di conoscenza. E’ la consapevolezza esplicita e la comprensione di quelle interrelazioni e l’abilità di rendere esplicite le stesse. E’, anche, nota come “struttura cognitiva” (Shavelson, 1972), l’organizzazione delle relazioni tra concetti nella memoria a lungo termine

Conoscenza situazionale

Conoscenze sulle situazioni così come esse normalmente si presentano. Sono conoscenze sui problemi, sui contesti e sui processi di soluzione di problemi (Script nelle concettualizzazioni di Schank). Sono conoscenze legate alla pratica. Sono quelle conoscenze che consentono la gestione di problemi con minor carico cognitivo.

Conoscenza concettuale 

E’ implicato un elevato livello di integrazione di conoscenza dichiarativa. E’ l’immagazzinamento, l’accumulo integrato di dimensioni significative in un dato dominio di conoscenza. E’ molto di più dell’accumulo di conoscenza dichiarativa: è la comprensione della struttura operativa di un concetto in quanto tale e tra concetti associati. Cambiamenti nella conoscenza concettuale sono chiamati “cambiamento concettuale”. Il cambiamento concettuale è il processo di riorganizzazione dei propri personali modelli concettuali.

Conoscenza strategica

(note anche come conoscenze condizionali): Sono quelle conoscenze di strategie e attività di apprendimento cui si fa appello per l’esecuzione di un compito. Strategie che sono d’aiuto nella regolazione, nell’esecuzione e nella valutazione di un compito. Sono la comprensione di quando e dove applicare le conoscenze procedurali.

Conoscenza esperienziale 

È la conoscenza che scaturisce da episodi di vita cui siamo stati coinvolti; è il tipo di conoscenza che ci aiuta a risolvere problemi, pianificare attività, progettare cose, diagnosticare situazioni, spiegare fenomeni, prevedere effetti (Kolodner, 1992). Di fronte ad una nuova situazione noi richiamiamo alla nostra memoria una simile vissuta in precedenza. Il caso precedente ci aiuta a risolvere quello attuale.

E una forma di memoria dinamica che cambia col tempo con l’integrazione di nuove esperienze in quelle passate (Schank 1982). L’intelligenza umana altro non è che la libreria interna di storie indicizzate (Schank, 1999)

 

Una questione aperta

Nonostante questa omogeneità concettuale tra conoscenza e competenza che risolve sul piano teorico la questione della loro correlazione, qualche problema ancora esiste sul piano pratico, sul piano della didattica curricolare.

Quando lavoriamo (didatticamente) per sviluppare competenze dobbiamo necessariamente fare ricorso alle conoscenze che sono funzionali all’esercizio della specifica competenza. Le conoscenze rilevanti sono solo una parte di quelle riferibili ad un dominio, ad una disciplina.

In questa logica la disciplina perde la sua unitarietà, viene (almeno potenzialmente) snaturata nella sua epistemologia. Nel finalizzare le discipline alle competenze, le stesse vengono, in certa misura, disintegrate e chissà se e come potrebbero essere ricomposte, sempre che si voglia continuare a dare un senso, un valore alle discipline o le si voglia vedere, concettualmente ed operativamente, come meri strumenti per lo sviluppo di competenze.

Va anche detto che a scuola si fa la teoria della disciplina e non la sua pratica; forse lavorare (anche) nella prospettiva delle competenze può aiutare a mettere in pratica la teoria.

La questione aperta, pertanto, è: come si possono insegnare le discipline in modo funzionale alla competenza senza snaturarle nella loro epistemologia e senza perdere tutto il loro valore in termini di risultati di apprendimento.

 

Alcuni semplici esempi pratici di come la questione si cala nella realtà

Lettura ascolto e produzione sono ufficialmente obiettivi tra i più importanti ma, nella realtà, sono sacrificati alle conoscenze di tipo enciclopedico. Per parlare bene non serve una conoscenza specialistica della grammatica. Serve invece la pratica viva della lettura e dell’acquisizione di schemi operativi da modelli elevati. Sapere che “che” sia pronome o congiunzione in una frase non ti serve a parlare o a scrivere meglio  …. e via dicendo ……

Cosa bisogna sapere e saper fare per realizzare una buona didattica per le competenze

Dopo un buon numero di interventi in Istituti comprensivi sulla didattica per le competenze mi sono imposto un “compito autentico”:  ripensare l’approccio didattico che sto proponendo a chi mi chiede di assisterlo nel (difficile) compito di attivare una didattica per competenze nella realtà in cui si trova a operare.

E’ evidente che chi chiede un intervento a fronte di un problema o ad un obiettivo da raggiungere si aspetti, a cose fatte, di avere il problema risolto o l’obiettivo raggiunto; tuttavia, non sempre ci sono le condizioni per poter soddisfare le attese: vincoli di tempo, vincoli di budget, condizioni organizzative …..

Mi sono, quindi, forzato, nel contesto di quel mio “compito autentico”, di identificare ciò che è necessario conoscere e saper mettere in atto per realizzare una buona didattica per le competenze, in modo tale che chiunque voglia imboccare quella strada, lo faccia con la consapevolezza, almeno, dei carichi di lavoro associati e che formuli, di conseguenza, aspettative coerenti con la realtà nella quale si trovi ad operare.

Io non credo che si creino facilmente le condizioni per lavorare in una situazione ideale, per cui considero naturale lavorare nell’imperfezione; ritengo, comunque, utile rendere esplicito lo scenario di cosa sarebbe necessario conoscere e saper fare per realizzare una vera e  buona didattica per le competenze, sempre convinto che le persone possano fare solo ciò che realmente sanno fare.

Preciso, doverosamente, che nell’elenco qui di seguito mi sono soffermato sulle conoscenze e sulle abilità necessarie per attuare una didattica per le competenze, tralasciando altri aspetti e dimensioni da prendere in considerazione, ma non immediatamente oggetto della nostra attenzione.

Più precisamente, per realizzare una buona didattica per le competenze è necessario:

  • Conoscere e capire cosa siano le competenze, risolvendo i tanti fraintendimenti concettuali associati all’apparente dicotomia conoscenze – competenze
  • Conoscere cosa sia la didattica per le competenze nelle sue intersezioni e differenze con la didattica delle discipline e saperla praticare
  • Conoscere i compiti autentici nelle loro caratteristiche didattiche generali e nel caso del loro uso nella didattica per le competenze, saperli progettare, gestire e monitorare nella loro efficacia per l’apprendimento in generale e per le competenze
  • Comprendere la valutazione delle competenze nella sua logica e nel suo processo
  • Conoscere le rubriche per la valutazione delle prestazioni, saperle costruire e adattare e successivamente utilizzare
  • Saper gestire il processo di rilevazione delle “prove” della competenza e la loro correlazione con uno o più Traguardi e una o più competenze
  • Conoscere e comprendere la logica della certificazione delle competenze nel percorso pluriennale di formazione – valutazione – certificazione
  • Saper costruire e utilizzare, in prospettiva pluriennale, gli strumenti per la gestione del processo di certificazione

Intorno a questi obiettivi di apprendimento ho strutturato i miei interventi toccandone, per ragioni di tempo, solo alcuni, accettando l’imperfezione ma puntando ad un miglioramento continuo.

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