Le comunicazioni di massa 2. I media elettrici ed elettronici

by gabriella

Seconda parte della lezione dedicata ai mass media. Qui l’introduzione e la trattazione dei media «alfabetici».

 

Indice

1. Un medium elettrico

1.1 Il cinema

 

2. I media elettronici

2.1 La radio

2.1.1 L’uso della radio del nazismo
2.1.2 L’uso della radio del fascismo
2.1.3 L’uso bellico e civile della radio durante e dopo la guerra

2.3 La televisione

2.3.1 Lettura: Massimo Panarari, Siamo ancora figli della trash TV

 

3. I New Media

3.1 La rete delle reti
3.2
La rivoluzione informazionale
3.2 Web is Us/ing, la rete siamo noi ma ci sta usando
3.3 I social media [in stesura]

 

Download (PDF, 1.44MB)

1. Un medium elettrico

1.1 Il cinema

Il cinema racconta storie

Narrazione in pietra a Notre Dame

Se la stampa è lo strumento, per eccellenza, dell’informazione e, per questo, il mezzo principale di costruzione dell’opinione pubblica nel XIX secolo, il cinema è la forma più diffusa di racconto ed è dunque veicolo di modelli culturali e luogo di creazione dell’immaginario sociale, con un’influenza ancora più profonda sui suoi pubblici.

Come mostrano le cattedrali gotiche, l’immagine è sempre stata il mezzo di comunicazione diretto al popolo analfabeta. Il suo potere comunicativo e seduttivo è quindi storicamente noto. Il cinema però unisce immagine e movimento, moltiplicando il potere seduttivo di questa forma di narrazione e facendone una forma di spettacolo.

Di questo “potere” si resero conto immediatamente i commentatori che assistettero alla nascita del cinema, alla fine dell’800, con le sperimentazioni di Thomas Edison (il suo primo film, Dickson greeting, una registrazione su pellicola in celluloide che ritrae il collega di Edison che saluta, è del 1891) e dei fratelli Lumière (i cui primi video sono del 1895).

Primi tra questi il filosofo francese Henri Bergson a cui si devono i concetti di immagine-in-movimento e immagine-tempo (image mouvement, image-temps), e il tedesco Walter Benjamin che ha descritto l’impatto della visione delle immagini in movimento come uno choc, un’emozione provocata da un forte impatto sugli spettatori.

Waler Benjamin (1982 – 1940): le immagini in movimento dell’informazione e della réclame funzionano come choc

Qui sotto un brano tratto da Silvano Cacciari, Il potere dell’immagine in movimento (1994) sull’analisi di Benjamin.

Torniamo al XIX secolo, quello della metropoli dello choc dove convergono Benjamin, Engels, Poe, Baudelaire e un inedito Hegel innervosito dalla marea umana di Parigi. In Parco Centrale, WalterBenjamin sostiene che fin dal XIX secolo le forme di trasmissione di conoscenza metropolitana privilegiate, che hanno nell’informazione e nella réclame i propri elementi centrali, avvengono tramite choc.

Proprio commentando il Freud di Al di là del principio di Piacere, Benjamin definisce lo choc come un fenomeno provocato da «energie troppo grandi che operano all’esterno» dell’organismo e che irrompono verso l’interno dell’organismo stesso. È come se la trasmissione di conoscenza avvenisse tramite una frecciata che ha possibilità di arrivare a bersaglio in misura direttamente proporzionale alla propria velocità, che può restare a lungo sul bersaglio per quanto sia stato forte l’impatto dettato da quella velocità.

Quest’impatto si chiama choc ed è una forma di trasmissione del sapere che toglie spazio alle figure sociali della trasmissione di conoscenza tramite narrazione. Queste figure erano l’agricoltore sedentario e il mercante navigatore che utilizzavano

«l’esperienza che passa di bocca in bocca che è la fonte cui hanno attinto tutti i narratori».

Jean Béraud, La porte Saint Denis

A partire dalle metropoli dell’800, non si trasmette più esperienza ma si fa circolare informazione con le tecniche dello choc; l’agricoltore e il navigatore debbono cedere il posto alle accresciute competenze della carta stampata, che non serve più solo da bollettino commerciale e politico, ma riporta modi di vivere e di pensare da tutto il mondo.

Questa competenza viene sottratta all’agricoltore, memoria del luogo, e al navigatore, memoria degli altri luoghi, fornendo a un pubblico amplissimo una variegata gamma di modi di pensare e vivere, e da una molteplicità di luoghi prima impensabile, trasmessi con la velocità e con l’effetto, dello choc prodotto su scala industriale.

Lo choc cattura, arpiona l’attenzione: questa è la legge aurea della trasmissione industriale di conoscenza nelle metropoli [Silvano Cacciari, Gilles Deleuze e l’immagine politica, Paris VIII, 1996].

Antoine Lumière (1840 – 1911)

Paradossalmente, l’impatto spettacolare del cinema non fu notato dai primi sperimentatori. Pare, infatti che un famoso illusionista parigino che voleva utilizzare l’invenzione nei suoi spettacoli sia stato respinto da Antoine Lumière perché:

«(Giovanotto, non vi voglio rovinare) questo apparecchio ha valore soltanto scientifico, non avrà futuro nel mondo dello spettacolo» [voce “Cinema“, Wikipedia].

Se sfugge al padre dei fratelli Lumière, l’impatto spettacolare del cinema non sfugge agli ingegneri del consenso al lavoro nella Germania di Hitler e nell’Italia di Mussolini.

Negli anni 20, in Italia, il cinema dei telefoni bianchi dipinge una società del benessere, spensierata e opulenta, mentre in Germania la scenografia nazionalpopolare del Trionfo della volontà di Leni Riefenstal, chiama le masse alla mobilitazione patriottica.

Non è esente da propaganda il cinema oltreoceano, costruttore di immaginario egemone dal secondo dopoguerra.  A lato, uno dei volti più importanti dell’autocelebrazione americana: quello di John Wayne.

 

2. I media elettronici

2.1 La radio

La diffusione della radio come mezzo di comunicazione di massa avviene a partire dagli anni ’20 del Novecento, attraverso tecnologie di trasmissione a distanza con onde elettromagnetiche.

Da subito si rivela come medium popolare e immediato dal grande potere informativo, come anche di intrattenimento. Attraverso la radio può, infatti, essere seguita la diretta di un evento pubblico o anche solo ascoltare musica.

18 giugno 1940: il generale De Gaulle pronuncia alla radio l’appello alla resistenza

Con la radio sono stati quindi coperti eventi diversi quali le battaglie dal fronte o le partite domenicali di calcio.

Nel 1935 fu trasmessa in diretta la cronaca dell’invasione italiana dell’Etiopia.

 

2.1.1 L’uso della radio del nazismo

Hitler intuì perfettamente il potere della radio

Hitler fu ben consapevole delle potenzialità del medium radiofonico nella propaganda e nei meccanismi di indottrinamento ideologico delle masse.

Nel Mein Kampf osserva che la radio è:

un’arma terribile nelle mani di chi sa farne uso.

È, invece, Goebbels, suo ministro della propaganda, a dichiarare che:

La vera radio è propaganda. Propaganda significa combattere in ogni campo di battaglia dello spirito.

La radio diventava pertanto, nella volontà nazista, uno strumento di propaganda “intelligente” volto a creare e a mantenere negli ascoltatori uno specifico stato emozionale.

Per questa ragione, la propaganda doveva essere convalidata dai successi militari: la “confusione mentale, la contraddittorietà dei sentimenti, l’esitazione, il panico” che – secondo Hitler – la radio doveva contribuire a creare, dovevano poi trovare soddisfazione quando la radio, annunciando le conquiste e le vittorie militari, dava agli ascoltatori l’impressione di unità, di forza, di sicura vittoria alla fine della lotta.

Joseph Goebbels, Ministro della propaganda

Quindi come mezzo di propaganda i nazisti preferirono la voce alla carta stampata e fecero un uso scientifico del potere della radio. Le trasmissioni radiofoniche sono, infatti, più immediate, più vibranti, più personali e offrono le occasioni più idonee per creare emozioni.

Per «ficcare il messaggio nazista nella testa della gente e, prima di tutto, nei cuori» la propaganda del regime usò tecniche precise, basata su teorie psicologiche, attivando sistematicamente meccanismi di identificazione, proiezione e rassicurazione osservati successivamente dagli storici e dagli studiosi delle comunicazioni di massa.

1. La riduzione e la semplificazione dell’ideologia nazista in alcuni stereotipi, che venivano in tale veste più facilmente acquisiti e introiettati dagli ascoltatori.

2. Era poi usata costantemente la tecnica della ripetizione. Gli ascoltatori erano bombardati con la stessa informazione, le stesse frasi ripetute senza fine.

3. Al rituale della tecnica ripetitiva si aggiunge lo slogan come strumento atto a facilitare la memorizzazione.

Fu la prima volta nella storia della radio che gli elementi specifici del mezzo vennero presi in considerazione e si cercò di pianificarne l’uso per il conseguimento di un determinato scopo. La funzione propagandistica della radio ” inventata ” dai nazisti avrà larga diffusione, in tempo di guerra e non solo, ancora oggi.

Goebbels aveva, infatti, capito che:

“Le notizie sono un’arma della guerra. Il loro scopo è quello di vincere la guerra, non quello di dare informazioni”.

 

2.2.2 L’uso della radio del fascismo

Mussolini parla all’Eiar

Anche il fascismo seppe fare un abile uso di tutti i mezzi di propaganda a partire dalla radio.

Dopo l‘iniziale sottovalutazione della sua utilità negli anni ’20, dovuta alla realistica valutazione delle condizioni di arretratezza delle masse popolari soprattutto nelle zone rurali (dialettofonia, incapacità di comprensione di messaggi di media complessità, indisponibilità di mezzi per l’acquisto degli apparecchi), momento in cui il regime si concentra sul controllo della stampa attraverso la censura e il controllo esercitato dall’Agenzia Stefani, negli anni ’30 le trasmissioni radiofoniche cominciarono ad essere precedute da interpretazioni fasciste delle informazioni.

Solo nel 1933 e 1934 con l’apertura di Radio Rurale (le cui trasmissioni dei giorni feriali erano rivolte agli studenti, quelle domenicali ai contadini) il fascismo inizia a fare uso “scientifico” della radio come mezzo di propaganda e di produzione del consenso per accelerare il progetto di “fascistizzazione della società italiana”, a partire dalla gioventù e dalle campagne.

Lo stato fascista impose all’industria la costruzione del Radio Rurale, apparecchio radio decorato con due fasci littori fra spighe di grano

In un primo tempo i programmi per ragazzi si limitarono a un’ora pomeridiana poi, a partire dal 1933, la radiofonia fece il suo ingresso nello spazio scolastico con sceneggiati che rievocavano momenti di una storia d’Italia ridotta ad aneddoto o a leggenda e che cantavano le glorie del regime per bocca dei personaggi più cari ai bambini.

La radio si rivolse anche alle madri con programmi significativi di puericoltura che andavano in onda due volte a settimana e ai contadini, fino ad allora ai margini della vita pubblica, con “L’ora dell’agricoltore” (1934).

Celebri i dialoghi tra Menico, Timoteo e Dorotea, personaggi fissati in stereotipi divenuti miti dell’immaginario collettivo.

La nuova trasmissione rompeva l’isolamento della vita contadina e portava alla ribalta le masse rurali, particolarmente fiere degli intervalli musicali considerati segno di riscatto sociale.

Il regime, nel contatto diretto con le masse, si presentava sotto la veste paternalistica del pacificatore sociale, attento al miglioramento generale delle condizioni di vita.

Grazie alla radio il regime introdusse, poi, la politica direttamente nelle case degli italiani, con trasmissioni in diretta di adunate e discorsi del Duce.

La propaganda

 

2.2.3 L’uso bellico e civile della radio durante e dopo la guerra 

Con la guerra, la radio viene arruolata dai due schieramenti per compattare il proprio fronte ed intimorire quello avverso. Da ricordare, Radio Londra, il programma radiofonico della BBC, che durante la seconda guerra mondiale trasmetteva in italiano, dando notizie dell’avanzata degli alleati durante la seconda guerra mondiale.

Dopo la guerra, negli anni ’50, la radio trasmette il Festival di Sanremo, ma il suo ruolo informativo è già tanto evidente da spingere il legislatore italiano ad istituire la Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’imparzialità dei radio-giornali.

Negli anni ’70, il monopolio statale è infranto da migliaia di trasmissioni pirata, il cui diritto ad andare in onda verrà poi riconosciuto da una sentenza della Corte Costituzionale del 1976: si chiameranno allora radio libere, dapprima importante fenomeno di informazione alternativa e grassroot (cioè “dal basso”), poi soprattutto radio private commerciali create per pubblicizzare prodotti e servizi locali sfruttando la trasmissione gratuita di musica.

Dell’esperienza delle radio libere, non del tutto esaurita, si può ricordare Radio Aut, emittente fondata da Peppino Impastato nel 1977 a Terrasini, con la quale lui ed altri attivisti politici denunciavano la connivenza dei potei locali con la mafia di Tano Badalamenti.

2.3 La televisione

La televisione è una delle principali fonti d’informazione e tra le più diffuse attività ricreative.

Presente in Italia dal 1954, ha avuto un impatto enorme sui nostri comportamenti tanto da essere stata accusata negli decenni scorsi di innescare un profondo mutamento antropologico capace di trasformare lo spettatore da homo sapiens, soggetto razionale e pensante, a homo videns, superficiale e istintivo, perché, a differenza della scrittura, non stimola ma atrofizza le facoltà intellettuali degli individui (Giovanni Sartori, Homo videns, 1997).

Il principale effetto osservato dai commentatori è quello della passivizzazione dello spettatore, cioè di una postura psico-fisica di inazione passiva e di dipendenza propria di chi guarda.

Un altro problema è quello del potere persuasivo delle immagini tale da nasconderci il confine tra reale, rappresentazione realistica ed informazione contraffatta (realismo ingenuo).

Ciò accade, in primo luogo, perché il processo enunciativo nasconde allo spettatore i meccanismi narrativi adottati dalla TV, in secondo luogo perché il fine stesso dell’immagine in movimento è colpire lo spettatore ed emozionare con la rappresentazione. In altri termini, la televisione non è uno sguardo neutrale sulla realtà, ma uno sguardo che ne propone una visione narrativa.

Per la sua diffusione capillare e la forte esposizione ai suoi contenuti da parte dei pubblici, soprattutto più anziani e meno colti, la televisione è certamente un’agenzia di socializzazione di primaria importanza, in quando definisce i contorni dell’ambiente simbolico i cui si collocano gli spettatori fornendo interpretazioni su cose ed eventi; intrattenendo ed esprimendo la cultura dominante o mainstream.

George Gerbner (1942 – 2005)

Gli studiosi hanno cercato di comprendere il legame tra la costruzione di senso e il potere di socializzazione della televisione.

Secondo la teoria della coltivazione proposta da Gerbner e colleghi negli anni ’80, la televisione coltiva mappe specifiche di lettura e interpretazione della realtà che generano un’omogeneizzazione progressiva delle rappresentazioni degli spettatori.

La coltivazione è un effetto a lungo termine, progressivo e tendenzialmente non intenzionale, distinto dai processi di persuasione, che produce mainstreaming, cioè l’assorbimento o riduzione al silenzio delle voci differenti e distinte da quella dominante e risonanza, cioè rafforzamento delle convinzioni ed esperienze comuni già sperimentate dai pubblici..

Secondo la teoria dell’Agenda setting, è la televisione a imporre temi e contenuti all’attenzione del pubblico, indicandone le priorità e l’importanza in un determinato momento e contesto.

Secondo la Position Theory, invece, c’è un legame molto stretto tra narrazione esterna e dialogo interno che ha come punto di incontro il processo di mediazione del significato. La narrazione, infatti, è lo strumento che consente l’interazione tra un individuo e la cultura in cui è immerso con la sua rete di significati.

Luk Van Langenhove

Harré e Van Langenhove (1999) hanno mostrato che il pubblico definisce la propria interpretazione del mondo costruendo categorie binarie (come ricco/povero; vincente/perdente; ecc.) e partecipando a pratiche discorsive che contengono storie nelle quali sono elaborate le diverse situazioni dei soggetti (ad esempio, “il ricco è vincente e felice perché con il denaro può fare ciò che vuole”), davanti alle quali il soggetto si colloca e prende posizione (ad esempio, voglio essere un vincente).

Tale posizionamento permette al soggetto di riconoscersi come membro di diverse categorie e di investire energia emozionale nei confronti della categoria a cui appartiene, sviluppando un sistema morale intorno a tale appartenenza.

I due meccanismi intorno a cui ruota il rapporto dell’individuo con la narrazione esterna sono la ricostruzione retorica (cioè il meccanismo di costruzione di un sistema di riferimento e delle sue icone sociali) e il posizionamento dell’individuo rispetto a tale sistema.

Fornendo format narrativi, la televisione ha, appunto un ruolo di primo piano nel processo di ricostruzione retorica.

Massimiliano Panarari, Siamo ancora figli della trash tv

 

3. I new media

Internet è molte cose: è una rivoluzione della conoscenza paragonabile solo a quella della stampa per i suoi effetti di democratizzazione e accesso al sapere; è il più grande bene pubblico mai costruito dall’uomo ed anche l’infrastruttura comunicativa di una società globalizzata.

Ciò non le impedisce, come vedremo, di essere anche un luogo di propaganda e manipolazione, di estrazione di valore dalle attività degli utenti e di violazione sistematica della privacy, di essere l’infrastruttura che ha reso e rende possibile la globalizzazione economica.

Questo groviglio di contraddizioni, di opportunità e pericoli, si deve alla sua storia e al su atto di nascita già complesso e controverso, tra utopie tecnologiche californiane e guerra fredda, libertà dei bit e privatizzazione delle reti.

 


3.1 La rete delle reti

Mainfraim

Mainfraim

Sulla nascita della rete Internet, negli anni ’60, è stato scritto prevalentemente che fu progettata nel contesto della guerra fredda quando, in un’America sotto choc per il lancio sovietico dello Sputnik, l’ingegnere elettronico della RAND Corporation Paul Baran progettò una rete distribuita di telecomunicazioni capace di resistere a un eventuale attacco atomico.

Ciò che viene messo in secondo piano è invece che negli stessi anni, le culture tecnologiche libertarie delle università californiane, avevano sviluppato una concezione rivoluzionaria delle telecomunicazioni che guardava ad un sistema informativo senza centro che rendesse impossibile il controllo politico, perché impossibile da spegnere. L’idea era di realizzare una rete che funzionasse in modo alternativo al sistema telefonico o elettrico, entrambe soggette al controllo di una autorità centrale.

Il secondo elemento proveniente dalla cultura universitaria era lo spirito collaborativo della ricerca reso ancora più forte dalla necessità di unire non solo gli sforzi intellettuali umani, ma la potenza di calcolo di macchine enormi, costose e dislocate ai quattro angoli del paese.

All’agenzia ARPAnet, la rete finanziata dal Dipartimento americano della Difesa da cui si è sviluppata Internet, questi elementi determinarono l’architettura della futura rete Internet: caratterizzata da orizzontalità, cooperazione, assenza di controllo su indirizzo dei ricercatori che ne assunsero la direzione.

Larry Roberts, primo direttore di Arpanet

Il primo di essi, Lawrence Roberts, scrive infatti nel 1968:

Così come sistemi informatici condivisi in tempo reale hanno permesso a centinaia di singoli utenti di condividere risorse hardware e software, le reti collegheranno dozzine di sistemi come questi permettendo di farlo con migliaia di utilizzatori.

L’architettura pensata da Larry Roberts, Joseph Licklider e dagli altri scienziati informatici non aveva fini commerciali, né fini militari, ma è stata pensata essenzialmente come tecnologia dell’intelligenza cooperativa al servizio della ricerca scientifica, capace di creare un servizio di telecomunicazioni funzionale ad una società autenticamente democratica e libera [Per approfondire, vedi Richard Barbrook, The Hi-Tech Gift Economy, in inglese].

John Perry Barlow, La Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio

L’infrastruttura universitaria creata in California negli anni ’60 è stata privatizzata nel 1995, da Bill Clinton creando le condizioni per la sua diffusione mondiale e per le trasformazioni culturali che ne hanno fatto, insieme alla più grande biblioteca mai pensata dal genere umano, anche il più grande mercato con le sue chiacchiere e i suoi traffici, soppiantando la conversazione sofisticata e colta dei suoi primi utilizzatori.

 

 

3.1 La rivoluzione informazionale

Per capire come le nuove modalità di costruzione del sapere diano vita ad una società completamente diversa da quella che ha preceduto la rivoluzione informazionale, ci serviremo di due video realizzati dal prof. Michael Wesch della Kansas University.

Nel primo, Information R/evolution, Wesch insiste giustamente sulla gigantesca semplificazione che si accompagna all’abbandono delle gerarchie, delle categorie e della logica stessa che presiedeva alla costruzione del sapere pre-digitale.

Una semplicità che permette ad un web non proprietario (internet è il più grande bene pubblico mai costruito dall’uomo) di crescere esponenzialmente e surclassare qualunque impresa individuale, singola, privata (ad eccezione di Google).

Il sapere prodotto collettivamente e al di fuori dell’organizzazione industriale (o capitalistica) del lavoro è ora quantitativamente maggiore e qualitativamente migliore di quello generato dal mercato. Il video di Wesch sottolinea, così, come la Wikipedia degli autori occasionali abbia superato in qualità e accuratezza la blasonata Enciclopedia Britannica.

Prima della sua apertura al commercio, l’enorme creatività intellettuale della rete (all’epoca americana, non ancora globale) era rappresentata dal software libero e da tutte le soluzioni inventate «just for fun» dagli utenti e dagli hacker, dal Dos, al mouse, alle interfacce grafiche, ai primi giochi online.

Dagli anni ’90, molte di queste creazioni sono state brevettate, benché fossero state realizzate senza fini di lucro, mentre una parte dei servizi gestiti dagli utenti è entrata in una dinamica in parte simbiotica (reciproco vantaggio) in parte parassitaria (sfruttamento dell’ospite da parte del parassita), nella quale l’informazione che produciamo è diventata una merce e come tale è valorizzata da Wall Street e il suo corrispettivo distribuito ai gestori dei servizi che ospitano le nostre interazioni: da Facebook a Instagram agli altri social media.

Questo aspetto resta in sordina nel video di Wesch, ma è un elemento a cui il dibattito americano ha dedicato molta attenzione (si veda, ad es. Tim O’Reilly, What is Web 2.0. Design, Patterns ans Business Models for the Next Generation of Software e Henry Jenkins, Critical Information Studies for a Participatory Culture).

 

3.2 Web is Us/ing, la rete siamo noi ma ci sta usando

In The Machine is Us/ing – che, come si vede, gioca fin dal titolo sul rapporto uomo/macchina, chiedendosi a chi spetti la piena soggettività – Wesch approfondisce le caratteristiche del Web 2.0, il passaggio dall’HTML all’XML e la differenza fondamentale tra i due linguaggi che porta Internet in una nuova dimensione (quella dell‘interattività generale, o 2.0 appunto), nonché le modalità attraverso cui gli utenti “insegnano” alla macchina a riconoscere l’informazione che pubblicano.

E’ in virtù di questa interazione che la macchina siamo noi/ci sta usando/siamo noi. Nel web 2.0 noi siamo sia produttori che i consumatori dell’informazione, ma in un cyberspazio trasformato in una piazza commerciale, emergono i primi conflitti per la distribuzione della ricchezza generata dagli utenti e la forte inquietudine per la raccolta di dati generati dall’interazione degli utenti tra loro e con gli oggetti intelligenti (IOT) che dà vita a gigantesche banche dati (Big Data) utilizzate a fini di controllo sia nella profilazione commerciale che nella manipolazione del consenso.

I primi scandali, da Prism a Cambridge Analytica ci confermano che l’oro del XXI secolo, l’informazione, nasce in una rete distribuita, ma alimenta grosse vene che lo usano contro i suoi produttori.

 

3.3 I social media 

I social media sono tecnologie interattive (siti internet o applicazioni) e pratiche sociali per creare e condividere contenuti diversi in internet o nei social network attraverso dispositivi fissi o mobili. Nascono nei primi cinque anni del XXI secolo.

Dietro i social media c’è il design ideale e tecnologico del Web 2.0 che rende possibile la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti attraverso dispositivi fissi o mobili – aspetto che li distingue dai media industriali – e le reti sociali o communities che quei contenuti aggregano.

Sono social media i blog, i servizi di condivisione di oggetti mediali come YouTube (video), Instagram (video e foto), Flikr e Pinterest (foto), Slideshare (presentazioni), i social network come Facebook e LinkedIn e gli ambienti immersivi come Second Life.

I social network sono, dunque, le reti sociali aggregate da una piattaforma web che permette la creazione di profili e la condivisione di contenuti con gli appartenenti allo stesso network.

La creatività e interattività di internet ha prodotto una nuova comunicazione di massa, una nuova economia, e una nuova politica accomunate dal prefisso wiki.  La Wikinomics, in particolare è la nuova economia della collaborazione e della co-creazione di massa dei contenuti che vive a fianco dell’economia industriale di tipo tradizionale, spesso sua parassita.

 

— continua —

 

Print Friendly, PDF & Email


Comments are closed.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: