Paul Livingston, La politica della logica

by gabriella

Politics of LogicAlcuni passaggi interessanti sulla politicità della logica e sulla natura del formalismo, dalla recensione di Marco Piasetier a Paul Livingston, The Politics of Logic [London Routledge, 2012] per il Rasoio di Occam.

Il testo si propone di articolare la relazione tra logos e bìos, ovvero di rispondere alla domanda su come il linguaggio – in quanto forma trascendentale – definisca e plasmi la vita umana. Non si tratta di proporre una ‘logic of politics’, una ‘logica della politica’, ovvero di forzare il pensiero politico entro un formalismo logico ad esso estraneo, ma di portare alla luce la dimensione intrinsecamente politica della logica. Scopo di Livingston è la definizione di una ‘politics of logic’, ‘politica della logica’, secondo la quale l’indagine sul logos è ‘simultaneamente sia logica che politica’ (p. 60):

La questione ultima di questa indagine […] è lo sviluppo di una “politica della logica” che tenti di comprendere il logos stesso – ciò che Eraclito ha definito tempo addietro come il ‘comune’ – come ciò che è l’immediata e necessaria forma di ogni esistenza linguistica (p. 8 ).

[…]

L’indagine sulla nozione di forma di vita fa da filo conduttore all’intero progetto: a partire da essa, Livingston definisce il rapporto tra linguaggio, politica e vita. Contro due delle interpretazioni ad oggi più diffuse – l’una che fissa la nozione di forma di vita entro una matrice puramente antropologica, ed una che la definisce in termini puramente biologici – l’autore propone una terza interpretazione. Il rifiuto sia del convenzionalismo intrinseco all’analisi antropologica, che del riduzionismo biologista, conduce Livingston a sostenere che:

il problema sollevato da Wittgenstein nell’invocare la nozione di forme di vita non va analizzato  semplicemente rispondendo alla questione della natura della vita né tanto meno a quella della sua forma, ma piuttosto in ciò che risiede tra questi due termini; ovvero cosa significhi per una forma essere una forma di vita, cosa significa che qualcosa come una forma plasmi una vita (umana). (p.3)

WittgensteinSe il logos è ciò che plasma, dà forma, alla vita, questo atto non può che essere considerato come un atto politico. Come scrive già Agamben in Homo sacer:

La domanda: “in che modo il vivente ha il linguaggio?” corrisponde esattamente a quella: “in che modo la nuda vita abita la polis?” […] La politica si presenta allora come la struttura in senso proprio fondamentale della metafisica occidentale, in quanto occupa la soglia in cui si esprime l’articolazione fra il vivente e il logos[4]

È proprio a partire dalla nozione di forma di vita – come intreccio inscindibile tra politica, linguaggio e vita – che Livingston propone un collegamento tra tradizione continentale ed analitica:

Uno degli obiettivi principali del presente lavoro è, quindi, sostenere che questi due vettori di riflessione sul linguaggio – l’analisi metalogica da parte “analitica” e il post-strutturalismo nella sua forma decostruttiva dal lato “continentale” – posso essere allineati ed essere considerati entrambi utili fonti per una riflessione critica sulle implicazioni politiche del formalismo in quanto tale. Il loro intreccio può produrre, in particolare, una comprensione formalmente chiara della costruzione e della struttura delle comunità politiche, come del resto, delle loro possibilità di alterazione e delle loro dinamiche interne di cambiamento (p.8)

La possibilità e, forse, la necessità di questa operazione risiedono nella centralità che il poststrutturalismo ed  alcuni orientamenti della logica contemporanea  attribuiscono alla nozione di aporia. In logica, il dialeteismo assume l’esistenza di enunciati sia veri che falsi,  mettendo così in discussione il principio di non contraddizione, pilastro portante del pensiero logico classico, definito dallo stesso Aristotele come ‘il principio più saldo di tutti’. Il termine di-aletheia è stato coniato proprio per rimarcare l’idea che vi siano enunciati dalla doppia verità. Il risultato aporetico a cui giunge il dialeteismo è per molti versi equiparabile all’esito aporetico della filosofia francese che, nel ventesimo secolo, elabora un pensiero fondato sull’intrinseca paradossalità del linguaggio. Si consideri, ad esempio, la celebre frase di Derrida ‘non c’è un fuori dal linguaggio’. La paradossalità di tale enunciato è evidente: nel linguaggio si afferma qualcosa sul linguaggio. Questa affermazione solleva un problema topologico che può essere identificato con la seguente domanda: da dove parli?  Domanda che rappresenta forse uno dei fili conduttori più interessanti per ricostruire la storia di buona parte della recente filosofia francese e italiana. È precisamente questa la domanda rivolta da Derrida a Foucault, che sarà poi posta a Derrida da Vattimo e, prima ancora da Foucault stesso. Per Livingston l’esito più significativo del poststrutturalismo è rappresentato da quelle forme di pensiero che non neutralizzano la paradossalità di simili interrogativi, ma la assumano come imprescindibile. Il pensiero aporetico diventa quindi il presupposto per definire la libertà, ovvero quell’eccesso di soggettività che non si lascia imbrigliare completamente entro le maglie di un dato sistema sociale, ma è in grado in occupare una posizione paradossale, di essere sia dentro che fuori il sistema stesso. Pensare questo movimento oscillatorio è possibile proprio a partire da un’indagine formale sul linguaggio.

Stabilire cosa sia il linguaggio sembra richiedere un metalinguaggio dal quale offrire una risposta. La conseguenza è un regresso all’infinito di metalinguaggi, ciascuno atto a definire le condizioni di esistenza del precedente. Così facendo, non solo si evita di rispondere alla domanda inerente il linguaggio in quanto tale, ma si reifica anche la risposta alla questione topologica. L’orientamento critico-paradossale prede una strada diversa ed afferma che il linguaggio è un’entità completa, ma paradossale; quindi ogni risposta sul linguaggio viene sempre data nel linguaggio stesso, non in un metalinguaggio. La risposta alla questione topologica è la dialetheia, ovvero il trovarsi nell’oscillazione tra un dentro ed un fuori. L’esito paradossale a cui si giunge non è da considerarsi né il segno di un errore logico, né l’abisso di un caos che forza al mutismo dell’indicibile. L’aporeticità del linguaggio è, invece, un inizio attorno al quale un altro pensiero può, forse deve, mettersi al lavoro.  Questo pensiero è il punto di contatto che Livingston individua tra poststrutturalismo, Wittgenstein e Priest.

All’orientamento critico-paradossale viene contrapposto quello generico. Livingston individua in Badiou la manifestazione più sofisticata di quel pensiero che egli stesso prende a modello per il suo lavoro, ovvero una filosofia in cui logica e politica sono tra loro da sempre intrecciate. In un’intervista rilasciata nel 2007[5], il filosofo francese sostiene che ogni ‘pensiero creativo’ è in realtà l’invenzione di un nuovo modo di formalizzazione, quindi il ‘pensare è l’invenzione di una forma’. Platone, per primo, affermò che ‘il pensare è pensare forme’. Il paradigma per questo pensiero è la matematica. L’intervista continua così:

Rimango fedele a questa idea, ma allo stesso tempo, il cuore dell’esperienza più radicale è la politica. La politica stessa, in un senso, è anche pensare attraverso forme. Non è il pensare accordi, contratti o la vita buona. No, è il pensare forme. (p. 9)

Nonostante il merito per aver proposto quella che ad oggi è la più completa formulazione della politica della logica, Livingston critica Badiou in quanto

il suo modo di intendere il formalismo comporta, in diversi punti, scelte teoreticamente fondamentali, che spesso vengono lasciate implicite (p. 10).

Il punto di frattura riguarda il giudizio sulla svolta linguistica, che Badiou considera un sofismo postmoderno in cui, alla ricerca filosofica della verità, si sostituisce uno spurio gioco retorico. Il recupero di un pensiero della forma – in quanto formalismo matematico extra-linguistico e capace di cogliere l’essere in quanto essere – è chiaramente in linea con il giudizio che Badiou dà della filosofia postmoderna. A differenza di Platone, però, Badiou individua nell’incompletezza l’esito necessario di questo formalismo e – a partire dall’incompletezza  – teorizza l’evento, ovvero la possibilità di vero cambiamento. In altre parole, ‘la matematica è ontologia’, ontologia del molteplice: da qui l’idea di un progetto filosofico che si definisce come ‘Platonismo del molteplice’.[6]

Lo scarto che Livingston rintraccia tra l’orientamento generico e quello critico-paradossale può esser definito nel modo seguente. In primo luogo, l’orientamento critico-paradossale propone una ‘formalizzazione matematica del linguaggio’, mentre quello di Badiou una ‘posizione formale extra-linguistica della matematica’(p. 190). In secondo luogo, tra questi due orientamenti vi è una frattura nell’interpretazione del paradosso dell’autoreferenzialità. Mettendo in relazione, con dovizia e inventiva, la storia della logica moderna e quella della filosofia continentale, Livingston dimostra che questi due orientamenti partono da uno stesso punto: i paradossi dell’autoreferenzialità. A venir messo in discussione attraverso questi paradossi è la possibilità che un sistema che soddisfi contemporaneamente le proprietà di coerenza e completezza. Riconosciuto il presupposto che nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza, secondo Livingston:

la differenza fondamentale tra l’orientamento generico di Badiou e quello critico-paradossale è la seguente: a partire dalla scelta a cui forzano i paradossi, dove l’orientamento generico di Badiou opta per la coerenza e contro la completezza, l’orientamento critico-paradossale si fonda sulla decisione della completezza contro la coerenza (p. 56).

Se quindi Badiou rimane fedele al progetto filosofico di un pensiero della coerenza, l’orientamento critico-paradossale afferma la completezza, riconoscendo che tale scelta inevitabilmente conduce ad un esito paradossale. Per l’orientamento critico-paradossale, il linguaggio costituisce un sistema completo e quindi non c’è nulla che in esso non possa essere articolato. La matematica è quindi una tecnica linguistica e non un formalismo extra-linguistico attraverso cui sancirne l’incompletezza.  Proprio questo assunto conduce ad affermare l’inconsistenza come caratteristica strutturale ed inevitabile del linguaggio stesso: se nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza e non si dà la possibilità di un metalinguaggio da cui stabilire la coerenza del linguaggio, allora il linguaggio, inteso come totalità, deve essere inconsistente.

Al contrario, Badiou propone l’incompletezza di ogni linguaggio esistente, in nome della coerenza logico-matematica. La nozione di incompletezza chiama in causa il pensiero di uno dei matematici più influenti della storia della moderna: Kurt Gödel.  Pur non essendo possibile in queste poche pagine rendere giustizia dell’accurata analisi svolta da Livingston sui teoremi del matematico austriaco, è comunque importante sottolineare, almeno brevemente, la relazione tra gli esiti dei teoremi dell’incompletezza e il pensiero di Badiou.

Riconoscere un collegamento tra la filosofia di Badiou e la nozione di incompletezza di Gödel permette di individuare quale sia il dubbio sollevato da Livingston in merito all’orientamento. Non va dimenticato, infatti, che l’obiettivo filosofico di Gödel era quello di sostenere una forma di realismo di matrice platonica. La mossa matematica che gli permise di supportare la sua teoria filosofica era lo scarto tra la nozione di dimostrabilità e di verità. Incompletezza significa che ogni sistema formale coerente non può dimostrare la sua stessa coerenza, per farlo deve necessariamente ricorre ad un metasistema. Affermare l’incompletezza significa che il linguaggio, in ultima analisi, non è in grado di dire tutta la verità su se stesso. Già Wittgenstein, commentando i risultati del teorema di Gödel,[7] riconobbe la problematicità di una tale conclusione:

la matematica non può essere incompleta; come un senso non può essere incompleto. Quello che posso comprendere devo comprenderlo interamente[8]

Se quindi la prospettiva di Badiou sembra portare con sé lo spettro di un resto metafisico, nemmeno la prospettiva critico-paradossale appare scevra da problemi. Dal momento che Wittgenstein, Derrida, Agamben, Deleuze, Lacan e Priest portano la contraddizione alle sue massime conseguenze – negando la possibilità di una metateoria che sia esonerata da questa stessa contraddizione – rimane in parte aperta la questione su come questa scelta non conduca ad una forma di trivialismo[9]. In altre parole, negare che il principio di non contraddizione possa valere in alcune situazioni, comporta il rischio di non avere più un terreno sul quale affermare la validità della propria posizione rispetto alle altre. Se politica e logica sono tra loro legate, la conseguenza è proprio che una logica ed una politica aporetica finiscano per non consentire una reale possibilità di scelta e quindi di cambiamento.[10]

Nonostante i dubbi sollevati dall’orientamento critico-paradossale, come scrive Livingston, esso sembra essere l’unico in grado di render giustizia

al modo in cui ciò che possono sembrare le infinite possibilità del senso umano sono destinate a vivere il vincolo della loro espressione in forme finite del linguaggio (p. 233).

NOTE

[1] P. Livingston, The Politics of Logic: Badiou, Wittgenstein, and the Consequences of Formalism, Routledge, 2012.

[2] Per una presentazione in lingua italiana del pensiero di Priest si veda F. Berto, Teorie dell’assurdo. I rivali del principio di non-contraddizione, Carocci, 2009.

[3] Per una introduzione chiara e competa al poststrutturalismo ed alle sue affinità con la filosofia italiana si veda D. Tarizzo, Il Pensiero libero. La filosofia francese dopo lo strutturalismo, Raffaello Cortina Editore, 2003.

[4] G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 1995, p. 11.

[5] Intervista con Tzuchien Tho. The concept of Model, Forty Years later: An interview with Alain Badiou. In The Concept of Model. Trans. By Tzuchien Tho e Zachary Luke Fraser. Victoria, Australia: re.press, p. 102-3.

[6] A questo riguardo si veda A. Badiou, Manifesto per la filosofia, trad. it di F. Elefante, Cronopio, 2008.

[7] A tal riguardo si veda, ad esempio, F. Berto, Tutti pazzi per Gödel. La guida completa al Teorema di Incompletezza, Laterza, 2008. In particolar modo l’ultimo capitolo: Gödel contro Wittgenstein e l’interpretazione paraconsistente, pp. 223-251.

[8] L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, Einaudi, 1976, p. 111.

[9] Trivialismo è la teoria per cui ogni proposizione è vera. Se tutte le affermazioni sono vere, allora, lo sono anche tutte le contraddzioni della forma ‘p e non p’.  Si veda, ad esempio, Paraconstency and Dialetheism, In D. Gabbay, , j. Woods, The Many Valued and Nonmonotonic Turn in Logic. Elsevier. p. 131; F. Berto, Teorie dell’assurdo, I rivali del principio di non-contraddizione, Carocci, 2009, p. 235.

[10] Per una trattazione dei recenti approcci logici al principio di non contraddizione si veda a cura di G. Priest, JC. Bell e B. Armour-Garb,  The Law of Non-Contradiction. New Philosophical Essays, Oxford University Press, 2004.

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