
Hjalmar Schacht (1877 – 1970)
Sylos Labini spiega come funzionava il MEFO, la moneta fiscale che permise al Terzo Reich di riguadagnare la sovranità monetaria dopo la depressione economica di Weimar (1921-1923) e Bruning (1930-32).
La tesi dell’economista è che questo meccanismo, i Certificati di Credito Fiscale, potrebbe essere usato di nuovo per portare l’Italia e i paesi del Sud Europa fuori dalla stagnazione in cui versano a causa degli squilibri dell’euro, possibilmente prima che la xenofobia nazista si prenda una seconda opportunità. Tratto da IlSole24Ore.
Credo che ci sia un tema importante, che bisognerebbe portare all’attenzione dei tedeschi. Ogni anno c’è il giorno della memoria, in cui si ricordano le atrocità del nazismo, ma in realtà bisognerebbe riflettere su che cosa ha determinato l’ascesa del nazismo e perché poi il nazismo ha trovato un grande consenso nella popolazione ed è stato in grado di lanciarsi nella seconda guerra mondiale con una forza industriale e militare spaventosa.
E la risposta è semplice: il Trattato punitivo di Versailles, che umiliò la Germania e la politica economica di Hjalmar Schacht, che permise di migliorare le condizioni di vita dei tedeschi e di ricostruire un apparato militare-industriale potentissimo. Attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, in cinque anni il Terzo Reich riuscì a trasformare un’economia in bancarotta, gravata da rovinosi obblighi di risarcimento postbellico e dall’assenza di prospettive per il credito e gli investimenti stranieri, nell’economia più forte d’Europa. In Billions for the Bankers, Debts for the People, Sheldon Emry ha commentato:
La Germania iniziò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi ed è questo che spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le operazioni belliche senza aver bisogno di oro né debito e fu necessaria l’unione di tutto il mondo capitalistico e comunista per distruggere il potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei banchieri.
Debiti e depressione dell’economia: questi furono i problemi di ieri e sono i problemi che stanno mettendo in ginocchio il progetto della moneta unica. Oggi in Europa sarebbe necessaria una vasta alleanza per cambiare radicalmente l’impostazione della politica economica. Nel frattempo, prendendo ad esempio l’esperienza della Germania degli anni ’30, sarebbe auspicabile che il nostro Paese lanciasse la moneta fiscale a circolazione interna per aumentare il potere d’acquisto e quindi la capacità di spesa privata e pubblica all’interno dell’euro. Affinché la proposta della moneta fiscale abbia successo, essa dovrebbe essere promossa dalle forze economiche – sindacati, imprese e banche – attraverso un Patto per la crescita.
1. L’economia della Germania tra le due guerre

Franklin Delano Roossevelt (1882 – 1945)
Tra il 1933 e il 1938, dunque, si realizzò uno dei più grandi miracoli economici della storia moderna, persino più significativo del tanto celebrato New Deal di F.D. Roosevelt, e questo miracolo fu promosso da Hjalmar Schacht che ricoprì sia la carica di presidente della Banca Centrale del Reich sia quella di ministro dell’Economia.
L’obiettivo fondamentale di Schacht fu quello di eliminare la disoccupazione, e fino al 1939 ebbe carta bianca da Adolf Hitler. Ciò gli permise di gestire la politica monetaria e finanziaria del regime nazista in modo geniale e fuori dagli schemi.
In una lettera del 1° settembre 1938 ad Adolf Hitler, il ministro delle Finanze, conte Schwerin von Krosigk, scrisse:
Sin dai primi giorni di governo è stata coscientemente seguita la strada del finanziamento di grandi progetti per la creazione di nuovi posti di lavoro e per il riarmo, mediante l’assunzione di crediti. Quando ciò non era possibile col normale intervento del mercato dei capitali, il finanziamento veniva effettuato a mezzo di cambiali MEFO che erano scontate dalla Reichsbank.
La creazione di nuovi posti di lavoro dunque richiedeva una grande quantità di danaro di cui però non esisteva alcuna disponibilità. Poiché i crediti diretti allo Stato avrebbero messo a rischio il controllo della Reichsbank sulla politica monetaria, Schacht escogitò un sistema monetario non convenzionale. In questo sistema, i fornitori dello Stato emettevano ordini di pagamento che venivano accettati da una compagnia denominata Metallforschungsgesellschaft (MEFO, società per la ricerca in campo metallurgico), creata dal Terzo Reich per finanziare la ripresa economica tedesca e, nel contempo, il riarmo, aggirando i limiti e le imposizioni del Trattato di Versailles.
Di qui l’origine delle cambiali-MEFO che erano garantite dallo Stato, potevano circolare nell’economia ed essere scontate presso la Reichsbank. In pratica, le cambiali MEFO rappresentarono uno strumento monetario parallelo, come lo potrebbero essere oggi i Certificati di Credito Fiscale. Con la ripresa dell’economia e il conseguimento della piena occupazione, le nuove entrate fiscali e la crescita del risparmio permisero allo Stato di riscattare le obbligazioni MEFO in scadenza senza determinare l’esplosione del debito pubblico (Schacht 1967).
«MEFO» era dunque l’acronimo riferito a una scatola vuota formalmente privata, dotata di un capitale di appena un milione di marchi e partecipata da Siemens S.p.A., Gutehoffnungshutte, Rheisenstahl S.p.A. e Krupp, in nome della quale vennero create obbligazioni senza gravare sul bilancio pubblico. Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che non si trattò né di un diretto finanziamento monetario del Tesoro, né di un immediato aumento del debito pubblico. Tuttavia, tanto lo Stato quanto la Reichsbank ebbero un ruolo determinante perché autorizzarono le emissioni e diedero la garanzia. Così venne creato un meccanismo monetario in grado di fornire i capitali all’industria tedesca.

Trattato di Versailles, 1919
Prima di esaminare la politica economica del nazismo è opportuno ripercorrere le vicende più importanti degli anni successivi alla fine della Prima guerra mondiale. Nel 1921, in seguito al Trattato di Versailles, la cifra per le riparazioni della Prima guerra mondiale che doveva essere pagata dalla Germania fu quantificata in 33 miliardi di dollari.

John Maynard Keynes
John Maynard Keynes criticò duramente il trattato: non prevedeva alcun piano di ripresa economica e l’atteggiamento punitivo e le sanzioni contro la Germania avrebbero provocato nuovi conflitti e instabilità, invece di garantire una pace duratura.
Keynes espresse questa visione nel suo saggio The Economic Consequences of the Peace. Queste misure punitive furono all’origine di tutte le sciagure che seguirono – dall’iperinflazione di Weimar (1921-1923) all’austerità deflattiva del governo Bruning (1930-1932) – le quali generarono un profondo sentimento di rivalsa nel popolo tedesco, che si manifestò pienamente con il sostegno al nazionalsocialismo di Adolf Hitler.
Quando Hitler salì al potere nel gennaio del 1933, la Germania si trovava in una situazione economica disastrosa: oltre 6 milioni di persone (circa il 25% della forza lavoro) erano disoccupate e al limite della soglia della malnutrizione, mentre la Germania era gravata da debiti esteri schiaccianti con riserve monetarie ridotte quasi a zero.
Ma, tra il 1933 e il 1938, si verificò una spettacolare ripresa dell’economia e dell’occupazione (si veda la Figura 1). E non furono le industrie d’armamento ad assorbire la quota più grande di manodopera: i settori trainanti furono quello dell’edilizia, dell’automobile e della metallurgia. L’edilizia, grazie ai grandi progetti sui lavori pubblici e alla costruzione della rete autostradale, creò la maggiore occupazione (+209%), seguita dall’industria dell’automobile (+117%) e dalla metallurgia (+83%).

Figura 1 – Andamento del PIL e dell’indice dei prezzi al consumo in Germania e in Olanda nel periodo 1922-1939 (tassi di variazione %). (Da: Mahe, 2012 ).
2. La politica economica di Hjalmar Schacht e gli effetti MEFO
Schacht era fermamente convinto che il compito della banca di emissione consistesse nel mettere a disposizione tanto denaro quanto fosse sufficiente allo scambio di beni. Per questa ragione, scrive in The Magic of Money, tutte le leggi che regolano le banche di emissione hanno introdotto la cambiale a pagamento delle merci quale elemento fondamentale della loro politica. La cambiale-merci attesta la vendita e lo scambio di una merce; pertanto, Schacht riteneva che la concessione di crediti da parte della banca di emissione contro cambiali merci non comportasse alcun pericolo d’inflazione e difatti le voci attive della Reichsbank consistevano principalmente in cambiali a pagamento merci.
I fornitori dello Stato, dunque, iniziarono a emettere ordini di pagamento (tratte) che venivano accettati dalla società MEFO che pagava con «cambiali-MEFO». Trattandosi di forniture di merci, le cambiali MEFO erano effetti commerciali cui prestavano triplice garanzia i fornitori, la società MEFO e lo Stato, giustificando così il loro sconto presso la Reichsbank. I funzionari della società MEFO controllavano che tutte le cambiali fossero state emesse solamente per forniture di merci e non per altri motivi: a ogni cambiale MEFO era legato uno scambio di merci proprio per compensare la circolazione monetaria con quella di beni. Le cambiali, che normalmente erano a tre mesi, ricevevano dalla Reichsbank il permesso di rinnovo fino a 19 volte per un periodo complessivo di 5 anni. Ciò era necessario perché la ricostruzione economica avrebbe richiesto un certo numero di anni.
Con queste promesse di pagamento spendibili come il denaro ma unicamente entro i confini nazionali, gli imprenditori pagavano i fornitori. In teoria, questi ultimi potevano scontarle presso la Reichsbank in ogni momento e per qualsiasi importo a un interesse del 4% il che rendeva le cambiali MEFO non solo una «quasi moneta corrente» ma anche un denaro fruttifero che poteva essere ritenuto da banche, casse di risparmio e aziende. Non vi è dubbio che se gli effetti MEFO fossero stati presentati all’incasso massicciamente e rapidamente, oltre al rischio di inflazione, sarebbe diventato evidente ai paesi stranieri che la Germania stava incrementando le emissioni di moneta accrescendo i sospetti che la finalità fosse anche il riarmo. Ciò però non avvenne nel Terzo Reich poiché gli industriali tedeschi si servirono degli effetti MEFO come mezzo di pagamento fra loro: fino al 1938, in media, la metà degli effetti MEFO fu sempre assorbita dal mercato senza passare all’incasso presso la Reichsbank. Così queste obbligazioni diventarono una vera moneta a circolazione fiduciaria per le imprese che si protrasse per 4 anni, raggiungendo nel 1938 l’importo complessivo di 12 miliardi di marchi, con una media annuale di erogazioni pari a circa 3 miliardi l’anno.
Questa fu la mossa determinante che fece ritornare sotto il controllo politico la sovranità monetaria della Germania. Si realizzò in tal modo un mutamento fondamentale della strategia economica nazionale che permise allo Stato di riprendere in mano le leve del finanziamento dello sviluppo sostituendo la sua autorità a quella del mercato. Un esempio da manuale di come una politica di sostegno alla domanda finanziata da un’espansione monetaria non convenzionale abbia permesso all’economia di uscire dalla depressione e di conseguire la piena occupazione. La nuova moneta emessa dal Governo non produsse affatto l’inflazione prevista dalla teoria classica poiché offerta e domanda crebbero di pari passo lasciando i prezzi inalterati.
Schacht in The Magic of Money ha scritto:
L’economista inglese John Maynard Keynes ha studiato il problema dal punto di vista teorico e l’operazione MEFO ha dimostrato possibile la sua applicazione. Ma le condizioni alle quali l’applicazione del sistema può essere effettuata senza danno non sussistono sempre. Sussistevano in Germania nel periodo della depressione economica degli anni trenta quando mancavano del tutto le scorte di materie prime, le fabbriche e i depositi erano vuoti, le macchine erano ferme e sei milioni e mezzo di lavoratori erano disoccupati. Non si aveva a disposizione neppure capitale liquido risparmiato da poter investire. Con una produzione tanto limitata anche la produzione di nuovo capitale era evidentemente impossibile. Soltanto quando le inoperose ma ingenti forze produttive furono rimesse all’opera, fu possibile una rapida formazione di capitale. Questo capitale “sperato” fu, nell’operazione MEFO, anticipato dal credito. Mancando la produzione che con questo credito era stata avviata, l’esperimento MEFO sarebbe fallito. Il sistema MEFO non poteva essere un “perpetuum mobile”. Raggiunta la piena occupazione ogni altra concessione di credito avrebbe portato a eccedenze di circolante e all’inflazione. (pp. 160, 162.)
In un periodo di depressione erano proprio i fondi a mancare nelle casse delle imprese e Schacht sapeva che la prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti con elevato interesse a nazioni in difficoltà economica. Gli economisti si sono chiesti come sia potuto avvenire il miracolo economico della Germania nazista e alla fine la risposta è stata che il sistema funzionava grazie alla fiducia che il regime riscuoteva presso i suoi cittadini e le sue classi dirigenti, una fiducia ottenuta non solo con la propaganda nazionalista e con il terrore, ma anche attraverso il progressivo miglioramento delle condizioni economiche della popolazione.
Un economista britannico, C.W. Guillebaud, ha spiegato in modo chiaro il meccanismo che consentì di rilanciare l’economia tedesca negli anni Trenta:
Nel Terzo Reich, all’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono la domanda di lavoro nel momento in cui la domanda effettiva è quasi paralizzata e il risparmio è inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti (con gli effetti MEFO che sono pseudocapitale); l’investimento rimette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea redditi e risparmi grazie ai quali aumentano le entrate nelle casse dello Stato e si possono pagare gli interessi sul debito.
La ripresa dell’economia dunque determinò l’aumento delle entrate fiscali e la formazione di patrimoni che permisero di pagare le cambiali alla loro scadenza dopo 5 anni. Negli anni dal 1933 al 1938, le entrate dello Stato crebbero a oltre 10 miliardi di marchi. I mezzi per il pagamento delle MEFO furono largamente disponibili: a partire dal 1939 e per 5 anni vennero pagati annualmente 3 miliardi di marchi.

Disoccupati tedeschi nel 1929
Hitler raggiunse così il suo scopo primario: il riassorbimento della disoccupazione e la crescita dei salari del popolo tedesco senza alimentare l’inflazione e senza far esplodere il debito pubblico. I risultati furono spettacolari per ampiezza e rapidità: nel gennaio 1933, quando Hitler salì al potere, i disoccupati erano oltre 6 milioni; a gennaio 1934, si erano quasi dimezzati e a giugno erano ormai 2,5 milioni; nel 1936 diminuirono ancora, a 1,6 milioni e all’inizio del 1938 non erano più di 400 mila. Fu questa ripresa economica ad accrescere il consenso di Adolf Hitler e a permettere, purtroppo, alla Germania di lanciare negli anni successivi una politica di riarmo ancora più massiccia che portò allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Schacht decise di chiudere l’esperienza delle cambiali MEFO nel 1938 quando la piena occupazione aveva iniziato a determinare i primi aumenti dei prezzi. Questa decisione fu motivata anche dal fatto che le banche, a causa della crescente richiesta di crediti e della conseguente scarsità di capitali, non furono più in grado di trattenere gli effetti MEFO in portafoglio e si videro costrette a presentarli sempre in maggior numero alla Reichsbank. Ma il Führer si oppose e il 19 gennaio 1939 estromise Schacht dalla carica di presidente della Reichsbank. Dopo la guerra, Schacht fu processato a Norimberga, ma venne assolto dalle accuse di crimini contro l’umanità e cospirazione a danno della pace grazie alla sua seppur tardiva opposizione al regime. Morì nel 1970 a 93 anni.
Conclusioni
Considerando l’avversione del governo tedesco a qualsiasi forma di politica fiscale espansiva, il nostro paese deve procedere in modo autonomo per rilanciare la crescita ispirandosi proprio al miracolo economico della Germania negli anni trenta, un’esperienza che è stata completamente rimossa dalla memoria del popolo tedesco.
Siamo convinti che oggi un risultato analogo potrebbe essere conseguito con i Certificati di Credito Fiscale. Ovviamente, l’intervento che proponiamo tiene conto delle grandi differenze con gli anni trenta, prima fra tutte il peso molto più alto della spesa pubblica e della tassazione sul PIL nel periodo attuale (il 50% contro il 20% degli anni trenta). La nostra proposta della moneta fiscale si differenzia da quella di Schacht perché i MEFO bond circolavano solo tra aziende e pubblica amministrazione, mentre i CCF sono assegnati anche ai consumatori e hanno quindi un impatto sulla domanda finale.
Nel nostro progetto, dunque, viene dato ampio spazio alla crescita del potere d’acquisto delle fasce sociali più deboli e alla riduzione delle tasse sulle imprese, anche se non è trascurato il sostegno alla domanda (finanziamento dei lavori pubblici). Un’altra differenza sostanziale sta nel fatto che il valore monetario dei CCF viene garantito dallo Stato, che si impegna ad accettarli per il pagamento delle tasse al valore nominale dell’emissione, mentre nel progetto MEFO era la Banca Centrale del Reich che assicurava il valore monetario delle cambiali permettendo la conversione in marchi con un tasso di interesse fissato al 4% (1). Entrambi i progetti comunque sono basati sull’emissione di titoli a circolazione interna, paralleli alla valuta ufficiale (il marco degli anni trenta e l’euro al giorno d’oggi), e hanno lo stesso obiettivo: riportare l’economia in una situazione di piena occupazione (2).
È fondamentale, dunque, che il maggiore reddito disponibile generato dalle assegnazioni di CCF si tramuti in acquisti di beni e servizi per ottenere la massima espansione dell’economia e quindi del gettito fiscale per compensare le mancate entrate che si avrebbero quando i CCF giungono a scadenza. In questo quadro, si potrebbe immaginare che i CCF si possano convertire in euro solo quando vi è l’intenzione di comprare un bene di consumo o d’investimento. In tal caso, i CCF assumerebbero la funzione di «buoni merce» anche se questa opzione li renderebbe meno liquidi e quindi potrebbe provocare un aumento dello sconto sul mercato finanziario. Per questo si potrebbero studiare dei meccanismi per favorire l’uso diretto dei CCF senza che siano convertiti in euro dal momento che le imprese potranno aumentare le vendite ottenendo dei titoli con cui possono pagare le tasse sul territorio nazionale.
Infine, è cruciale stabilire un forte vantaggio nell’aliquota di assegnazione ai lavoratori con redditi inferiori, per esempio a 15.000/20.000 euro, i quali hanno un’elevata potenzialità di espandere i consumi. Le possibilità operative sono dunque molteplici e vanno considerate con la massima attenzione per valutarne i pro e i contro.
Note
1) Nel progetto dei CCF la conversione in euro avviene sul mercato finanziario (principalmente attraverso le banche private) con uno sconto che può variare, mentre il ruolo della Banca d’Italia è praticamente irrilevante.
2) I CCF, così come furono le cambiali MEFO, sono concepiti per il tempo che serve a riportare l’economia alla piena occupazione. Una volta raggiunto questo obiettivo, il sistema dei CCF può essere chiuso.
Riferimenti bibliografici
Keynes J.M., «Il problema degli squilibri finanziari globali. La politica valutaria del dopoguerra (8 Settembre 1941)», in Keynes J.M., Eutopia, Luca Fantacci et al. (a cura di), 2011, pp. 43-55.
Mahe E., «Macro-economic policy and votes in the thirties: Germany (and The Netherlands) during the Great Depression», Real-World Economics Review Blog, 12 June 2012.
Ruffolo G., Sylos Labini S., Il film della crisi. La mutazione del capitalismo, Einaudi, Torino 2012.
Schacht H.H.G. The Magic of Money, Oldbourne, London 1967.
5 Marzo 2017 at 19:02
Premesso che chi scrive ha difficoltà con una divisione con la virgola, passo a un nodo che non è economico, ma politco e antropologico. Hitler sapeva che la chiave del suo successo politico stava nella toppa di un risanamento economico e che il consenso tedesco, di un popolo con le pezze anche sui ginocchi e con un’attitudine, allora come oggi, al sacrficio e al risparmio, sarebbe durato a condizione di rimettere a lavorare i disoccupati, e denari nei portafogli a chi il lavoro non lo aveva perso. Hitler non vinse perché sbraitava sugli ariani o sulla guerra che non poteva lasciar intendere a nessuno, nemmeno ai tedeschi, ma per le promesse, mantenute, che altri meglio di me hanno descritto. A so modo il terzo Reich fu uno stato sociale. Questa è storia che tutti sanno. Detto questo non si vede oggi in Italia, un Hitler in ascesa, ovvero una forza politica che si occupi di economia, sul serio, che abbia a cuore i cittadini e non allineata cioè ai dettami biblici e del FMI e della BCE che favoriscono tutti da anni una classe dirigente pirata, funzionale all’arricchimento sempre più totale di poche minoranze mondiali già ricche e che dei poveri preparano la soluzione finale, ma a rate. Si legga in proposito il libello di Elisabetta Grande, “Guai ai poveri” Edizioni Gruppo Abele. Inoltre, per quanto non sia a conoscenza della reale situazione tedesca di quegli anni, dubito con forza che in Germania fosse diffusa a livelli macroscopici la corruzione che caratterizza, inettitudine totale a a parte, una classe dirigente che non ha eguali oggi nemmeno in America Latina, mi pare. In breve, viviamo in uno stato mafioso e camorrista retto da figuri di cosca che trovano consenso grazie alla corruzione di ogni gradino di potere nella società. In sintesi sono sicuro che qualunque intervento meramente economico sia mera chimera se non avviato e sostenuto da un soggetto politico inteso, mi spiace dirlo, a punire il malaffare e la delinquenza, ripulire e oliare gli ingraggi statali, magistratura, scuola, università proteggere l’onesto e il povero restituendo al welfare la centralità che lo rende pilastro del vivere civile, eliminare le spese militari, investire nell’ecologia e qui la lista si sospende da sé perché mi pare già abbastanza esaustiva di un cahier de doléance di gran lunga più voluminoso.
9 Marzo 2017 at 22:57
Ciao,
sono anch’io piuttosto impacciata in aritmetica, ma curiosa di economia politica.
Condivido la tua descrizione sull’uso del risanamento economico a fini di consenso, ma non la tesi che il Terzo Reich fu uno stato sociale: può esserci stato sociale, infatti, solo dove c’ è redistribuzione e non fu il caso del nazismo, né del fascismo (incluse le protestate pensioni, colonie, bonifiche e chi più ne ha).
Concordo anche sulla qualità di una classe politica europea che non teme di dare in pasto alla deflazione milioni di greci pur di salvare i dividendi, ma Marine Le Pen e Trump hanno ricette economiche e non mi pare siano in discesa. Il che purtroppo non impedisce che i nostri “figuri” abbiano costruito un sistema di mungitura sistematica che sta liquefacendo la ricchezza di più generazioni di avi nostrani.
Sono sempre più convinta, però che ciò che riescono a rapinarci, per quanto ingente e sufficiente a farci imbestialire per un secolo, non è nulla davanti alla potenza di un meccanismo (economico, fiscale, finanziario) che schiaccia chi non ha e solleva chi ha: è lì il baratro, lì l’ingiustizia.
Da due giorni abbiamo anche noi la flat tax per i miliardari stranieri che vogliono accasarsi nella penisola, bagnarsi nel nostro mare, curari nei nostri ospedali, eludendo qualunque prelievo e facendoci la mancia di qualche spiccio. E non sento levarsi una voce.
10 Marzo 2017 at 11:29
A Gabriella vorrei dire questo. Il nazismo ed il fascismo furono stati sociali senza dubbio ma all’interno di una concezione mercantilista che sempre è sfociata in sopraffazione e guerre. Ora per giudicare la capacità di una politica economica di raggiungere uno scopo preciso si deve evitare il luogo comune ovvero fare tutto un mucchio del grano e del loglio. La genialità di hjalmar schacht ci dice cose importanti. Si può aggirare l’ostacolo politico della volontà di dominio esclusivo della monete da parte di caste finanziarie ampliando il ventaglio dei mezzi di pagamento, il MEFO ne è un esempio che però venne sostenuto allora da una volontà indiscutibile di ridare lavoro e dignità alla popolazione tedesca ( stato sociale). Da quel tempo ad oggi mi sembra che manchi questa seconda condizione ovvero la volontà del ceto occidentale dominante di ridare lavoro; al contrario mi pare che vedremo ancora ed ancora lo svolgersi di una politica economica fintamente orientata allo sviluppo ma in realtà ferreamente indirizzata alla spoliazione dei beni di cui ancora dispongono gli stati ( diritto di saccheggio si chiamava ed è stato praticato dall’antichità classica fino dai vertici nazisti alla fine della seconda guerra ma anche da quelli anglo-americani sulle materie prime di paesi aggrediti e sconfitti). Il futuro è nella colonizzazione finanziaria e purtroppo per molti motivi non vedo crescere movimenti di resistenza. La voce che tu vorresti sentire alzare è coperta da mille canali radiotelevisivi con migliaia di annunciatori, gatekeepers,fantasisti, articolisti, nani, ballerine e politici scelti per svolgere un ruolo via via minore fino ad apparire miserabili marionette, figuranti, comparse. Non mancano in questo bailamme che sconvolge le menti di una popolazione anestetizzata i perfidi esecutori di un piano politico preciso che si sta svolgendo d parecchi anni con grande successo e soddisfazione in Italia ma non solo. Questo è il problema finale.
10 Marzo 2017 at 14:20
Caro Marcello, forse non usiamo la stessa definizione di stato sociale (tale, nell’accezione che impiego, solo se redistribuisce e modifica la condizione materiale dei cittadini sfavoriti), ma condivido il senso e lo spirito del tuo messaggio. Grazie per aver scritto a me e ai miei studenti.
13 Marzo 2017 at 14:32
“Non mancano in questo bailamme che sconvolge le menti di una popolazione anestetizzata i perfidi esecutori di un piano politico preciso che si sta svolgendo d parecchi anni con grande successo e soddisfazione in Italia ma non solo. Questo è il problema finale.”
Cara Gabriella, è ovvio che per stato sociale si intende in quell’accezione (di tutto c’è l’interpretazione), uno stato non diverso dalla Turchia di Erdogan o dall’Unione Sovietica, uno stato che abbaglia di provvidenze i molti per mascherare gli interessi, e oggi gli imbrogli, dei pochi e mantenere lo status quo il più in equilibrio statico possibile. Al resto pensa la polizia. Tutte le dittature serie, quindi quelle africane escluse, hanno sempre saputo che non si può tenere in pugno una nazione senza darle molto in frigoriiferi in cambio della coscienza. In questo senso da anni vando dicendo che quello degli Statai Uniti è uno stato societico senza soviet, retto dalle corporation. Ma da fuori sembra libero un posto dove si è liberi di essere miserabili. Credo peraltro che la sintesi di Marcello, che cito in apertura, sospenda la risposta sul carattere del progetto politico. Che è il seguente, a mio avviso, farci fuori, o fisicamente o intellettualmente. Non ci sono risorse per tutti, e dunque le sfrutti, detenga e ci campi chi può, vuole, e ha il coltello per il manico per cavarle al pianeta. Nella sua piccineria è il progetto di liberismo estremo, velato come vecchi pederasti, imbracciato dal PD in Italia e abbracciato dalle massonerie di destra. Ma la politica, con la televisione e la stampa, che è di regime per definizione, è solo il braccio esecutivo del progetto. Ringrazio per avere definito alte delle considerazioni così da cucina di casa. Caramente. D’As
13 Marzo 2017 at 20:40
Infatti 🙁
15 Marzo 2017 at 08:10
Infine Gabriella suggerisco la lettura di una mente che stimo, quella del Fusaro filosofo, abile nel sintetizzare in concreto un reale che ormai ha solo dell’immaginario. Buone cose. Ecco il link
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/14/il-pd-orlando-e-lelogio-dellimmigrazione-al-servizio-del-capitale/3451273/
15 Marzo 2017 at 11:43
Tesi importanti che è bene tenere presenti. Grazie per avermi inviato l’articolo.
13 Marzo 2017 at 14:35
Chiedo perdono per il refuso alla sesta riga, vando per vado. Alla settima riga societico è voluto, ma avrebbe voluto un accento esplicativo, dunque sociètico. D’As