Propongo questa riflessione di Stefano Guglielmin, opportunamente segnalatami da Pietro, alla quale aggiungo soltanto che l’abbandono del riferimento alla resistenza e la sua sostituzione con la retorica risorgimentale cominciò con Ciampi per essere poi rafforzato da Napolitano, il presidente uscente al quale il Ministro Profumo offre oggi l’insegnamento obbligatorio dell’Inno di Mameli.
L’inno di Mameli è un canto ispirato al bisogno di libertà dallo straniero. Mameli infatti fu un irredentista che collaborò con i milanesi durante la guerra contro gli austro-ungarici e fu con Garibaldi e Mazzini per liberare Roma dai francesi e dall’assolutismo di papa Pio IX.
Divenne inno nazionale provvisorio nel 1946, per volontà del ministro della guerra Cipriano Facchinetti. Tale provvisorietà è tuttora in atto, non essendo ancora inserito, nell’articolo 12 della Costituzione repubblicana, un rigo che lo confermi in via definitiva. La consuetudine, tuttavia, aveva deciso da un pezzo la sua funzione: quell’inno, musicato da Michele Novaro, già si cantava nei momenti più patriottici del Risorgimento, sino alla Resistenza ossia in circostanze di guerra o, perlomeno, di organizzazione ideologica delle coscienze in funzione unitaria. Infatti il canto, composto nel 1847, è fortemente bellicoso, così come voleva il romanticismo politico del XIX secolo.
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