4 agosto 1789: la notte che soppresse i privilegi

by gabriella

Tratto dall’articolo di Laurent Bonelli, Il 4 agosto 1789 abdicazione dei ricchi benestanti uscito su  Le Monde Diplomatique, agosto-settembre 2011, n. 118 (traduzione José Padova).

La posterità non vorrà mai credere a ciò che l’Assemblea Nazionale ha fatto nel tempo di cinque ore. Ha soppresso abusi che esistevano da novecento anni e che un secolo di filosofia aveva combattuto invano.

Joseph M. Pellerin

pallacordaSe si studiano, come fa lo storico americano Timothy Tackett (1), i membri dei tre ordini – clero, nobiltà e Terzo Stato – convocati nel maggio 1789 per gli Stati Generali, si stenta a trovare gli abituali sospetti di sedizione. Sono riuniti, al contrario, individui fra i più rispettabili del regno: principi, duchi, marchesi, conti, baroni, arcivescovi, vescovi, magistrati, avvocati, medici, professori d’università, banchieri… A eccezione di un centinaio di deputati del Terzo Stato e di una parte del clero costituita da preti di parrocchia, la stragrande maggioranza del migliaio di delegati che convergono a Versailles appartiene alle categorie più privilegiate dell’Ancien Régime. Eppure, sono loro che in qualche settimana rovesceranno le fondamenta stesse del sistema monarchico. Anni dopo i fatti, il membro della Costituente Malouet si stupiva ancora per l’opera portata a termine nel 1789:

Non si sa come, senza piani, senza obiettivo determinato, uomini divisi nelle loro intenzioni, nelle loro abitudini, nei loro interessi hanno potuto percorrere la medesima strada e arrivare di concerto alla sovversione totale (2).

Per spiegare questo fenomeno, storici come Albert Soboul o Michel Voyelle hanno posto l’accento, in un contesto di crisi finanziaria profonda dell’Ancien Régime, sull’antagonismo fra la borghesia economica e la nobiltà terriera. La prima in effetti finanzia i debiti costantemente in crescita della monarchia, senza per questo accedere al potere politico, monopolizzato dalla seconda in virtù della sua nascita.

Andando nel profondo, quella analisi trascura troppo le concatenazioni attraverso le quali i delegati degli Stati Generali sono diventati rivoluzionari e hanno concluso, collettivamente, che il mondo politico e istituzionale che avevano sempre conosciuto doveva essere rovesciato.

La Rivoluzione si svolge per scossoni, senza che alcuno riesca a dominarla completamente. All’inizio essa passa attraverso il rafforzamento dell’unità del Terzo Stato, che paradossalmente sarà favorita dall’atteggiamento del clero e della nobiltà. Effettivamente, rifiutando di incontrare i rappresentanti del Terzo Stato e obbligandoli a riunirsi separatamente, gli ordini privilegiati hanno contribuito a sviluppare nei primi una coesione che le loro diversità di origine e di aspirazioni rendevano poco probabile. L’intransigenza dei nobili, trascinati dalla loro frazione più conservatrice, provoca una virulenta ostilità nei loro confronti. La loro boria e il loro disprezzo irritano perfino i più moderati dei delegati del Terzo Stato, tanto che questi il 17 giugno si costituiscono in Assemblea Nazionale, senza i rappresentanti degli altri due ordini.

Il decreto fondatore di questa assemblea determina che essa controlla la totalità della riscossione delle imposte. La risoluzione, notevolmente rivoluzionaria, scatena immediatamente l’ostilità del re. Quest’ultimo lascia intendere che scioglierà l’Assemblea e schiera le truppe attorno alla sala del Consiglio. Ma il braccio di ferro è così avviato: i deputati prendono sul serio la loro nuova funzione e, incoraggiati dal sostegno entusiastico di centinaia di versagliesi e di parigini che assistono alle sedute, dichiarano che chiunque tentasse di disperderli o di arrestarli sarebbe «colpevole di crimine capitale». L’audacia di questo atto collettivo accelera il ritmo della mobilitazione: una buona parte del clero e poi quarantasette nobili si uniscono all’Assemblea Nazionale. Il re allora fa un voltafaccia. Ordina alla totalità del clero e della nobiltà di sedere congiuntamente in quelli che egli ancora chiama Stati Generali. I deputati dei tre ordini si mettono al lavoro in molteplici uffici e commissioni, limando a poco a poco gli antagonismi che li opponevano l’un l’altro qualche giorno prima.

La lenta pacificazione dei rapporti a Versailles contrasta però con il degrado della situazione generale del Paese. Il 12 luglio scoppia a Parigi una violenta insurrezione popolare. La Bastiglia è presa il 14 e le scene di linciaggi (fra i quali quello dell’Intendente di Parigi e di suo genero, accusati di essere responsabili delle difficoltà nell’approvvigionamento di derrate) si moltiplicano. I saccheggi e le sommosse si estendono alle provincie, provocando ciò che verrà chiamata la Grande Paura. L’amministrazione reale sembra essere sull’orlo del baratro e in ogni caso incapace di riportare la calma. Turbati – e a volte inorriditi – dalla situazione i deputati inaugurano una serie di dibattiti sulle misure da prendere per far cessare i disordini. E la storica seduta del 4 agosto 1789 comincia in realtà con l’esame di un decreto mirante a restaurare l’ordine e la legge… Nel tempo di cinque ore, l’Assemblea Nazionale annienta privilegi vecchi di novecento anni.

Nel bel mezzo dei dibattiti, due rappresentanti dell’alta aristocrazia, il visconte di Noailles e il duca d’Aiguillon – facendo eco alle rimostranze dei rivoltosi – propongono allora, fra la sorpresa dei loro omologhi, di farla finita con i diritti dominicali e d’instaurare un’imposta proporzionale ai redditi. Il duca di Châtelet, uomo di Corte e Pari del Regno, comandante in capo delle truppe che avevano represso i disordini a metà luglio e considerato un intransigente, si fa avanti a sua volta e dichiara ufficialmente di rinunciare ai diritti sulle sue terre, con la riserva di un «giusto compenso».

Una sorta di euforia afferra l’Assemblea e l’uno dopo l’altro i deputati vengono a esporre le loro «offerte»: instaurazione di un sistema giudiziario gratuito, soppressione dei diritti aggiuntivi per il clero, del diritto di caccia, riforma dei dazi e delle cambiali, abolizione di certi privilegi provinciali o comunali… Alle 2 del mattino non resta praticamente più nulla da offrire. Durante un breve istante una curiosa miscela d’idealismo, d’inquietudine e di fraternità ha riunito i deputati di ogni ordine. Un momento che, a notte fonda, il deputato Pellerin così descriveva nel suo diario:

La posterità non vorrà mai credere a ciò che l’Assemblea Nazionale ha fatto nel tempo di cinque ore. Ha soppresso abusi che esistevano da novecento anni e che un secolo di filosofia aveva combattuto invano (3).

Certamente, gli antagonismi risorsero in seguito, in occasione dei dibattiti sulla nazionalizzazione dei beni del clero o quando, il 19 giugno 1790, l’Assemblea vota l’abolizione della nobiltà ereditaria, provocando la partenza di una buona parte degli aristocratici verso gli eserciti di emigrati che lottano contro la Rivoluzione. Ma la notte del 4 agosto 1789, che vide l’abolizione dei privilegi, rimane nondimeno un’illuminante illustrazione del modo in cui, in una situazione di crisi, le peculiari dinamiche dell’Assemblea e della rivoluzione hanno potuto trascinare i deputati ad adottare posizioni rivoluzionarie che, qualche settimana prima, sarebbero loro parse totalmente inconcepibili.

(1) Timothy Tackett, Par la volonté du peuple. Comment les députés de 1789 sont devenus révolutionnaires (Per volontà del popolo. Come i deputati del 1789 sono diventati rivoluzionari), Albin Michel, Paris, 1997.

(3) Ibid., p.113.

(4) Ibid., P. 168.

 

Risorse sulla Rivoluzione francese e sul pensiero politico francese dell’800

E’ disponibile sul sito dell’Uqac (Univ. del Québec) un’importante collezione di scritti politici della – e sulla – Rivoluzione e del periodo successivo.

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